“Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che nascessero le Muse; quando poi nacquero le muse e comparve il canto, alcuni di loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono piu’ di cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro seguito ebbe origine la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non avere bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare senza cibo nè bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire chi tra gli uomini di quaggiu’ le onora e quale di esse onora.
Platone, Fedro
Adamo
Potrebbe apparire indelicato approcciarsi a discorrere di uomini omettendo di rivolgere un pensiero ai nostri progenitori e in particolare a Lui, Adamo, il primo essere umano di sesso maschile comparso sulla faccia della terra, le cui gesta conosciamo attraverso la storia delle storie narrata all’umanità, quella della Creazione.
Senza scomodare religione,antropologia,castighi divini e atavici sensi di colpa, per tratteggiare Adamo mi avvalgo del pensiero di uno dei piu’ grandi umoristi del Novecento: l’americano Mark Twain. E vado a prendere, dallo scaffale della mia biblioteca dedicato ai classici, un libretto nato un secolo fa come opuscolo omaggio atto a promuovere il turismo alle cascate del Niagara: Il diario di Adamo ed Eva.
Per gustare fino in fondo il fine umorismo di questo genio della satira, bisognerebbe calarsi nell’animo di un lettore di inizio XX secolo. Mentre lo scapestrato ragazzino Tom Sawyer – che altri non è se lo scrittore da piccolo – nelle sue avventure riusciva a ottenere una Bibbia in omaggio, commerciando attestati di studio delle Sacre Scritture con i suoi amichetti, il mondo apprendeva con scetticismo l’idea di un tale Darwin recante l’ipotesi che l’uomo discendesse dalla scimmia.
Con l’intraprendenza letteraria che lo contraddistingue,Twain concepì,dunque,in quel contesto storico,una specie di diario della coppia in questione (prima quello di Adamo nel 1904 poi quello di Eva l’anno dopo.) E siccome nel mondo della fantasia tutto è concesso, il giardino dell’Eden venne trasferito, per l’occasione,proprio nei pressi del tanto pubblicizzate cascate del Niagara. Ciò che ne scaturì è un’ imperdibile parodia fuori dal tempo e da ogni stereotipo, così attuale da sembrare scritta ai nostri giorni.
In questa provocatoria descrizioni delle orogini della razza umana recitata da due adulti di lingua ebraica e un serpente parlante,Adamo somiglia piu’ a un rozzo e solitario pioniere del Far West che a un uomo con tale responsabilità sulle spalle.Egli no sa a chi confidare le sue stravaganti perplessità e li affida ad alcuni appunti vergati sporadicamente tra un escursione venatoria e una scoperta, insistendo nell’affermare,con un certo candore,che la sua vita non è piu’ felice come un tempo da quando, nella tenuta di sua proprietà,è apparsa Lei,il nuovo essere non meglio identificato, che dice di chiamarsi Eva.
Costei parla in continuazione,se egli si allontana lo rincorre,sistema gli alberi e li classifica,mangia troppa frutta,vuole dare il nome a ogni cosa; è stucchevole,romantica,non vede altro che fiori e tramonti e, se viene contraddetta, con rumori penosi versa acqua dai buchi con i quali guarda,infrangendo il silenzio del quale lui ha estremamente bisogno.
Il povero Adamo, stressato e inquieto,da quando è comparsa Eva,crede di capire a cosa serva la settimana: a dare il tempo di riposarsi per la stanchezza della domenica.Dubita che lei sia stata ricavata,come vogliono fargli credere,da una costola del suo corpo, a lui no sembra di averne smarrita nessuna…Ed è sollevato quando si accorge che la rompiscatole inizia a farsela con i serpenti: per fortuna ce nè uno che parla,questo gli permette di riposarsi un pò.
E’ sempre lei – creatura coraggiosa che oltrepassa i confini dell’ignoto per consegnarci la nostra umanità – a mangiare la mela per prima, ma riesce a dare la colpa ad Adamo se da quel momento in poi l’Albero della Vita diverrà quello della Conoscenza; sarà lei a spiegargli che adesso dovranno lavorare per vivere e lui bofonchia:<<mi sarà utile.Coordinerò>>.Si sconvolge quando la sua compagna, a un paio di miglia dalla loro capanna,trova uno strano esserino che produce anch’esso diabolici rumori: non è un uccello perchè non vola; non è un ranocchio perchè non salta; non è un serpente perchè non striscia.Somiglia a un canguro,forse,e Adamo, visto che l’ha scoperto lui e vuole addomesticarlo,gli dà un nome: Kangurum Adamiensis.
Ma alla fine gli mettono il nome di Caino.Lui è indifferente al figlio,mentre a Eva quel cucciolo misterioso cambia la vita.Si accorge,comunque,osservandola con fastidio,che l’arrivo del piccolo sembra averle stravolto completamente il carattere.
Già nell’incipit Adamo afferma,senza neanche rendersene conto,di esistere solo da quando si identifica con la femmina dai capelli che gli sta intorno.
<<Gira continuamente e mi segue dappertutto>>,si sfoga: <<non mi piace questa faccenda; non sono abituato alla compagnia,vorrei che stesse con gli altri animali>>.
E via di questo passo… in una esilarante attualissima schermaglia di coppia convergente in un paradosso: i due,malgrado tutto si amano! LO scrive Adamo,alle prese con la perdita della tenuta, affermando di essersi sbagliato sul conto della strana creatura; meglio vivere fuori dal Giardino con lei che dentro senza.E lo conferma Eva, chiedendo a se stessa come diavolo faccia ad amare un essere così imperfetto: unicamente perchè è un uomo.
Interi trattati di psicologia moderna viaggiano condensati in questo godibile volumetto,un’opera in cui alle parole è stata conferita un’incredibile potenza da uno scrittore così eclettico e moderno.
Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens,anch’egli come il suo Adamo,si rivelò essere un uomo del tutto singolare,aperto al mondo come ci si sarebbe aspettato da un grande americano della sua generazione.Fece mille mestieri: fu tipografo,giovane marinaio sui battelli che percorrevano il Mississippi,soldato nella Guerra Civile dalla parte dei Confederati,reporter,cercatore d’oro,conferenziere nelle università.Ma, soprattutto,fu un uomo libero,innamorato della scienza e disobbediente al punto di affermare in uno dei suoi celebri aforismi: “Non abbandonare le tue illusioni.Se le lascerai,continuerai ad esistere,ma cesserai di vivere.”
E da far concludere il diario di Adamo ed Eva con questa epigrafe:
DOVUNQUE ERA LEI,
LA’ ERA L’EDEN
ADAMO
Il primo uomo
Tornando ai nostri giorni,concordo con chi ribadisce che,per una figlia femmina il piu’ importante modello maschile cui fare riferimento sia fuori da ogni dubbio la figura paterna.
Ne sono sempre stata un eclatante esempio: è stato lui,papà,il primo uomo sul quale i miei occhi si sono posati,sue le braccia diverse da quelle materne che mi hanno stretto per la prima volta,cullato,sorretto.
Fui una neonata alquanto vivace e appresi,da racconti familiari,che nel mio primo anno di vita,fu lui – processato per direttissima per l’incontestabile reato di avermi viziato tenendomi sempre in braccio – l’addetto alle ballatine e alle ninne nanne.
Alle tre di notte,scapigliato e con la barba ispida,con indosso un pigiama di flanella a righe di una taglia piu’ grande,volteggiava in corridoio con me in braccio che avevo scambiato il giorno per la notte,sussurrandomi all’orecchio con voce intonata brani di opera lirica tipo La donna immobile,Nessun dorma e Il barbiere di Siviglia spacciati per ‘ninne nanne.
Quando mia mamma iniziava a protestare sindacando sulla scelta del repertorio musicala,tirava fuori l’asso nella manica, sfoderando un’antica nenia che non ho mai sentito cantare a nessun altro:
Maria lavava,Giuseppe stendeva,
il Figlio piangeva che fame aveva…
Sta’zitto mio Figlio,che adesso ti piglio,
il pane non ho,ma il latte ti do!
La neve dai monti cadeva leggera,
Maria col suo velo copriva Gesu’.
Quello che provavo per lui, crescendo,era un amore assoluto,ovviamente cieco,vista la mia età da bambina,distillato dagli inevitabili difetti che ogni essere umano reca in sè.Su quell’uomo ai miei occhi piu’ bello,piu’ bravo,piu’ capace,unico e insostituibile,riversavo un amore sconfinato.
Il fatto che mia madre,sua moglie, platealmente non la pensasse come me,instaurò nella psiche di quella bambina un disagio psicologico; una sorte di infelice sicurezza scompaginò le tessere di un puzzle arduo da ricostruire,edificò muri di inevitabile malinconia,usurpatori di quel calore e conforto che per convenzione si attribuiscono alle pareti domestiche…
“Di ciò che è stato,niente piu’ rimane,niente sopravvive.Ogni cosa nasce e si perde nello stesso momento: le nostre azioni,le parole,i sentimenti,tutto come un rapido fiume il vento si porta via…
La memoria,per noi,è l’udito di cose ormai sorde,la vista di cose ormai cieche.”
Plutarco,Il tramonto degli oracoli