<< A Iddio onnipotente questo tempio delle Arti e delle Muse dedicano, sotto la direzione di Sir John Reith, i primi Governatori alle Trasmissioni nell’ anno del Signore 1931, con preghiera che la seminagione porti buona messe, e che ogni cosa immonda e nemica della pace sia bandita e che, a quantunque vi sia di bello e sincero e a quantunque abbia buona reputazione prestando aure, il popolo calchi il sentiero della virtu’ e della sapienza.>>
ISCRIZIONE LATINA NELL’ATRIO DELLA SEDE DELLA BBC
<< Z come Zero, l’ora che oggi incombe,
in cui sorgerà un’Inghilterra nuova,
e la vecchia calerà nelle tombe.>>
DALL’ALFABETO DI GUERRA DEL RIGHT CLUB
1981
L’ora dei bambini
<<Miss Armstrong? Miss Armstrong? Mi sente?>>
Sentiva, ma non sembrava in grado di replicare. Era gravemente ferita. Spezzata. Era stata investita da un’ auto. Magari era stata colpa sua , si era distratta, con tutto il tempo in cui era vissuta all’estero probabilmente aveva guardato dalla parte sbagliata, attraversando Wigmore Street al crepuscolo di mezz’estate. Tra il buio e la luce.
<<Miss Armstrong?>>
Un poliziotto? O un paramedico. Qualcuno di autorevole, qualcuno che evidentemente aveva guardato nella sua borsetta e aveva trovato qualcosa col suo nome. Era appena stata a un concerto. Sostakovic, tutti e quindici i quartetti, anatomizzati e ammanniti a porzioni di tre al giorno alla Wigmore Hall. Oggi, mercoledì, era toccato al VII, all’ VIII e al IX. I successivi, a quel punto, poteva darli per persi.
<<Miss Armstrong?>>
Nel giugno del 1942 era andata alla Royal Albert Hall per la prima della Sinfonia n°7, la cosiddetta Leningrado. Un conoscente le aveva procacciato il biglietto. La sala era gremita e l’atmosfera era elettrizzante, magnifica, sembrava di essere lì con gli assediati. E con Sostakovic. Un afflato collettivo. Quanto tempo era passato. Quant’era insignificante, ora.
I russi erano stati nemici, poi alleati, poi di nuove nemici. E la Germania lo stesso: la grande nemica, la peggiore di tutti, adesso era un’amica, uno dei pilastri d’Europa. Che spreco di fiato. Guera e pace. Pace e guerra. E così via all’infinito.
<<Miss Armstrong, adesso le metto questo collarino cervicale.>>
Si sorprese a pensare a suo figlio Matteo, ventisei anni, nato da una breve relazione con un musicista italiano. Juliet aveva abitato in Italia per molti anni. L’amore per Matteo era stato uno dei travolgenti prodigi della sua vita. Era preoccupata: suo figlio viveva a Milano con una ragazza che lo rendeva infelice. Si stava appunto arrovellandosu quello, quand’era stata investita.
Stesa in mezzo a Wigmore Street ,attorniata da passanti turbati, capì che non c’era via d’uscita. Aveva solo sessant’anni, ma probabilmente erano piu’ che abbastanza. Eppure all’improvviso tutto sembrava un’illusione, un sogno capitato a qualcun altro.
Che cosa strana, l’esistenza.
Stava per esserci un matrimonio reale. Perfino ora, mentre lei era stesa su quest’asfalto londinese, circondata da questi gentili sconosciuti, in un punto imprecisato di queste strade c’era una vergine che veniva preparata per il sacrificio, per soddisfare esigenze di cerimoniale ostentazione. Bamdiere del Regno Unito ovunque. Non c’era dubbio: Juliet era proprio a casa. Finalmente.
<<Quest’Inghilterra …>> mormorò.
Mr Toby! Mr Toby
Juliet risalì dalla metropolitana e s’incamminò lungo Great Portland Street . Guardando l’orologio, si rese conto di essere in sorprendente ritardo. Non si era svegliata in tempo, colpa di una lunga serata al Belle Meunière di Charlotte Street con un uomo che si era dimostrato sempre meno interessante via via che si faceva notte.. Era rimasta al tavolo per inerzia – o per tedio, forse – sebbene con l’incentivo delle specialità della casa, boeuf Diane e crépes Suzette. Il commensale, scialbo, anzichenò, era un architetto che sosteneva di<< costruire la Londra prebellica>>. <<Tutto da solo?>> gli aveva chiesto lei, pittosto impetuosa. A fine serata, mentre lui l’aiutava a salire in taxi, gli aveva concesso un “fugace” bacio, piu’ pro forma che per desiderio. Le aveva pur sempre pagato la cena, e lei lo aveva trattato con superflua perfidia,, anche se non pareva che lui se ne fosse accorto. L’intero appuntamento le aveva lasciato l’amaro in bocca. Deludo perfino me stessa, pensò, mentre la Broadcasting House compariva nel suo campo visivo.
Juliet lavorava nella produzione esecutiva della Scolastica, e giunta nei pressi di Portland Olace si sentì cadere le braccia all’idea dell’uggiosa giornata che l’attendeva: una riunione con Prendergast, seguita dalla registrazione di Vite passate, la serie che stava curando al posto di Joan Timpson, assente per un intervento chirurgico. (<< Una sciocchezza,eh, cara.>>)
La scolastica aveva appena dovuto traslocare dal seminterrato della Film House di Wardour Street, e Juliet sentiva la mancanza della scapestrata decadenza di Soho. La BBC però non aveva spazio nella sede principale, perciò erano stati piazzati nel palazzo dirimpetto, al civico 1, e guardavano – non senza invidia – la nave-madre, il grande il grande transatlantico della Broadcasting House, appena ripulita a fondo della livrea mimetica di guerra, con la prora protesa in un nuovo decennio e verso un futuro ignoto.
Anzichè l’ incessante via vai della sede centrale, Juliet trovò il silenzio entrando alla Scolastica. La caraffa di rosso condivisa con l’architetto le aveva lasciato un certo annebbiamento, e fu un sollievo non dover prendere parte al consueto scambio di saluti mattutino. La receptionist lanciò un occhiata eloquente all’orologio nel vedere Juliet varcare la soglia. La giovane aveva una relazione con un produttore del World Service e sembrava credere che la cosa l’autorizzasse a essere sfacciata. Alla reception della Scolastica c’era un ricambio di ragazza sorprendentemente rapido. A Juliet piaceva immaginare che venissero divorate da qualcosa di mostruoso – magari un minotauro – nelle labirintiche viscere dell’edificio, ma in realtà venivano solo trasferite in uffici piu’ chic, dall’altro lato della strada nella Broadcasting House.
<< Oggi la Circle Line era in ritardo>>, disse Juliet, pur senza sentirsi in dovere di fornirle una spiegazione, veritiera o no.
<<Ancora?>>
<<Sì, su quella tratta il servizio lascia molto a desiderare.>>
<<Eh, vedo.>> ( Ma che faccia tosta!) <<La riunione con Mr Prendergast è al primo piano, immagino che sia già cominciata.>>
<<Eh, immagino anch’io.>>
Londra, 1981. Una donna giace sull’asfalto. È stata investita da un’auto mentre attraversava la strada, proprio il giorno del suo ritorno in Inghilterra, dopo anni passati all’estero. È un tragico incidente, che presto verrà dimenticato da una città in fermento per l’evento del secolo, le nozze reali tra il principe Carlo e Diana Spencer. O forse non è così. Perché quella donna era depositaria di tanti, troppi segreti. Londra, 1940. Rimasta orfana, la diciottenne Juliet Armostrong viene reclutata dai servizi segreti per un compito all’apparenza semplice: sbobinare registrazioni. In realtà, si tratta di un compito delicato, perché quelle registrate sono le conversazioni di un agente infiltrato con cittadini inglesi al soldo del Reich. Per il governo, è essenziale individuare e tenere d’occhio una potenziale quinta colonna filonazista in patria. Soprattutto ora che Londra è il bersaglio delle bombe tedesche. Dapprima disorientata, Juliet s’immerge sempre più in un mondo infido in cui ogni gesto, ogni parola è ambigua e pericolosa. E dopo alcuni mesi ha l’occasione di mettersi alla prova come agente operativo, in una rischiosa missione sul campo. E nulla andrà come previsto… Londra, 1950. A cinque anni dalla fine delle ostilità, la crisi economica e le conseguenze nefaste della guerra opprimo ancora il popolo inglese. Juliet adesso lavora per la BBC, e il suo compito è dare vita a programmi d’intrattenimento per sollevare lo spirito degli ascoltatori. Ma anche per lei è difficile liberarsi del passato, che riemerge nella forma di un messaggio lasciato sotto la porta di casa: La pagherai. Dopo tutto quello che è successo dieci anni prima, Juliet non è sorpresa. E riprende contatto con alcune conoscenze del tempo di guerra, che però non le sono di nessun aiuto. Anzi, un uomo misterioso la coinvolgerà ancora una volta in una missione segreta. Il tavolo da gioco è sempre lo stesso, ma è cambiato uno dei giocatori: non più la Germania nazista, bensì l’Unione Sovietica…