Il libro
Indimenticabile in Vacanze romane, icona di stile in Colazione da Tiffany e Sabrina, Audrey Hepburn è una delle star del cinema più amate. Della sua vita, dei suoi film e del suo impegno come ambasciatrice dell’UNICEF, giornali e rotocalchi hanno raccontato molto, dando l’idea che, nonostante la sua estrema riservatezza, di lei non ci fosse più nulla da scoprire. Ma così non è.
Figlia di una baronessa olandese e di un sedicente conte inglese, dopo alcuni anni in Inghilterra, la giovane Audrey si trova in Olanda proprio negli anni dell’occupazione tedesca. Sarà l’uccisione da parte dei nazisti dell’amato zio Otto, unica figura maschile di riferimento dal momento che il padre viveva in Inghilterra dopo la separazione dalla moglie, ad avvicinare la ragazzina alla Resistenza. Mettendo a rischio la propria vita, Audrey comincia a consegnare cibo ai soldati britannici, a fare da staffetta per le informazioni e i giornali clandestini, a danzare per raccogliere fondi per i gruppi di resistenti nelle Serate nere, così chiamate perché le finestre venivano oscurate.
Di questo impegno, Audrey parlò pochissimo e con vaghe allusioni. Né amava parlare della fame e degli stenti che aveva dovuto sopportare in quegli anni, la “dieta di guerra” la chiamava, e che ne avevano segnato la salute e il fisico.
Con tenacia da investigatore e accuratezza da storico, Robert Matzen ha ricostruito gli eventi di quegli anni, perlustrando archivi, confrontando documenti – tra cui il diario dello zio Otto – e facendo rivivere in una narrazione avvincente e ricca di rivelazioni una Audrey Hepburn segreta e inedita, dal coraggio e dalla generosità infiniti.
LA GUERRA DI AUDREY
Alla gente di Velp
Introduzione:
di Luca Dotti1
Quando mi chiedono di mia madre, spesso la mia risposta preferita è: «Io non conosco Audrey Hepburn».
Le mie parole creano sempre un po’ di scalpore, e mi danno l’opportunità di spiegare meglio quanto siamo stati fortunati mio fratello e io a crescere con una mamma presente e affettuosa anziché con una star del cinema fascinosa ma assente.
In effetti, quando mia madre parlava di se stessa e di ciò che la vita le aveva insegnato, Hollywood non compariva mai. Invece di menzionare luoghi famosi di Beverly Hills, ci nominava località olandesi oscure e a volte impronunciabili. I ricordi del red carpet erano sostituiti da episodi della Seconda guerra mondiale, che lei era capace di trasformare in favole per bambini. Consideravamo le sue lezioni delle perle di saggezza, ma sapevamo che ci mancava la storia completa della sua vita durante la guerra finché – “somewhere over the rainbow” – Robert Matzen non mi ha scritto presentando se stesso e il suo libro.
È stato un vero e proprio caso di serendipità, perché il messaggio di Robert è arrivato proprio mentre stavo cercando di stabilire un legame tra le storie raccontate dalla mamma e il mio archivio personale e le mie ricerche. Ero comprensibilmente emozionato – chi non lo sarebbe? – perché sapevo che l’essenza più profonda di mia madre, quella che aveva fatto di lei la Audrey che conoscevo, era racchiusa in quei puntini che presto sarebbero stati collegati dalle ricerche di Robert.
Questo libro mi ha fatto entrare in un mondo di guerra che non è in bianco e nero come spesso i film hollywoodiani suggeriscono. Persino io mi sono immediatamente dimenticato che ci sarebbe stato un lieto fine per Audrey. Mentre leggevo mi rendevo conto che quella bomba, quel proiettile, quel camion tedesco col suo carico di prigionieri potevano semplicemente rappresentare la Fine.
Ora capisco perché le parole Bene e Male, Amore e Misericordia, erano così fondamentali nei suoi racconti. Perché lei parlava apertamente di certe cose e ne serbava tante altre in una parte segreta del suo essere.
Davvero non conoscevo Audrey Hepburn, ma adesso ne so di più, e mi manca più che mai.
Grazie, Robert, il tuo libro è un vero regalo.
1 Luca Dotti è figlio di Audrey Hepburn. Ex grafico, oggi presiede l’Audrey Hepburn Children’s Fund. Creata dalla famiglia di Audrey nel 1994, la fondazione assiste bambini bisognosi in tutto il mondo.
Prefazione
Dalla sua morte all’inizio del 1993, la storia di Audrey Hepburn è stata raccontata tante volte. Se cercate su Amazon i libri col suo nome troverete più di mille risultati. La carta stampata ha coperto ogni aspetto della sua vita tranne uno: gli anni della Seconda guerra mondiale, quando lei viveva in Olanda. Ci sono parti della sua storia durante la guerra di cui non voleva discutere, e parti che sentiva di non poter discutere. Di conseguenza i biografi hanno inventato alcune situazioni e male interpretato delle altre, perché non avevano alcuna base nella storia della guerra. Posso dire con certezza che nelle precedenti biografie la maggior parte delle pagine dedicate agli anni di guerra contiene degli errori sulla vita di Audrey in quel periodo.
Nel 1993 il biografo più autorevole della Hepburn, Barry Paris, dedicò una gran quantità di tempo e di risorse alla ricostruzione della parte olandese della storia di Audrey, e il suo lavoro accuratamente documentato è diventato il punto di partenza del mio progetto. Paris era avvantaggiato dalla sua vicinanza agli anni della guerra: molte persone coinvolte nella vicenda, che allora erano vive, oggi non lo sono più. Ma aveva anche un grosso svantaggio: non c’era ancora una rete internet che permettesse di accedere a importanti archivi olandesi con un semplice clic. E poiché lavorava negli Stati Uniti (affidando a un ricercatore olandese il compito di muoversi nei Paesi Bassi), Paris non si è reso conto dell’importanza del villaggio di Velp nella storia di Audrey. Velp si trova appena fuori dalla città di Arnhem, e si rivelò fondamentale in questa storia, per ragioni che presto saprete.
Adoro scoprire fatti che riguardano i personaggi di Hollywood durante la Seconda guerra mondiale, specie quando quei fatti si sono persi nel corso del tempo perché per chiarire le cose era necessaria una ricerca approfondita. Nel caso di Audrey Hepburn, gran parte di quella ricerca poteva essere effettuata solo sul campo, nei Paesi Bassi, il che è un forte deterrente per gli autori americani. Inoltre gli adulti che lottarono per sopravvivere alla guerra sono deceduti; i testimoni oculari non ci sono più. La cosa più grave è che alcuni documenti qui negli Stati Uniti sono scomparsi, e questa è una storia a sé. Questi dossier, che dovrebbero essere negli archivi dell’FBI e della CIA (nota come OSS durante la Seconda guerra mondiale), riguardano una cittadina olandese, la baronessa Ella van Heemstra, che era la madre di Audrey. Quando ho iniziato a lavorare al mio progetto ho spedito la mia ricercatrice a Washington a caccia di questi documenti, ma lei non è riuscita a trovarli e dopo approfondite indagini ha stabilito che non esistono più. La sua opinione professionale è che siano stati distrutti molto tempo fa, e questa conclusione ha fatto emergere un paio di domande: perché questi documenti sono stati rimossi dagli archivi, e chi li avrebbe rimossi? Dopo due anni di indagini, le risposte sono diventate evidenti.
Il padre di Audrey Hepburn ha vissuto nell’ombra gran parte della sua esistenza, e sua madre ha nascosto le tracce delle sue attività dal 1935 al 1941, quindi non c’è da stupirsi che i biografi abbiano evitato di raccontare quegli anni della vita di Audrey o si siano basati su lavori preesistenti. La pista si era dissolta o era stata cancellata.
La famiglia di Audrey Hepburn era ricca? Il suo patrimonio fu confiscato dai nazisti? Audrey è cresciuta in magnifici castelli olandesi? Ha visto mettere al muro e uccidere suo zio e altre persone? Si è esibita in spettacoli di danza clandestini per finanziare la Resistenza olandese e ha rischiato la vita in altre attività anti-naziste quando aveva quattordici o quindici anni? La mia indagine è stata piena di colpi di scena e alla fine ha fornito risposte sorprendenti.
Il contesto è determinante nella storia di guerra di Audrey Hepburn, quindi ho descritto l’epoca e le circostanze storiche che hanno fatto da sfondo agli eventi. Sono riuscito a raccogliere oltre 6.000 parole pronunciate da Audrey sulla Seconda guerra mondiale, e al termine le ho inserite nella storia del conflitto e del ruolo che i Paesi Bassi hanno avuto in esso. E, accidenti, le sue parole avevano un senso, comprese tutte le storie che raccontava sulla Resistenza.
I combattimenti entrarono nel mondo di Audrey nel settembre del 1944, e io mi sono posto l’obiettivo di ricreare per il lettore l’esperienza da lei vissuta nel corso di otto terribili mesi. Volevo che chi già amava Audrey sapesse cos’aveva visto, udito, sofferto e temuto quella ragazza olandese sotto l’occupazione, e conoscesse le battaglie che avrebbero fatto di Audrey una forza a livello internazionale. Volevo che il lettore si rendesse conto di com’era fatto il suo mondo. Pur avendo visto tanto sangue e tanta morte prima dei suoi sedici anni, ha vissuto una vita piena di decoro senza mai rivelare ciò cui aveva assistito. La guerra ha fattoAudrey Hepburn, e dunque la sua esperienza, specie in quegli ultimi mesi del conflitto, è una storia che vale la pena di raccontare, giorno dopo giorno e colpo dopo colpo.
Sotto certi aspetti è un miracolo che sia uscita viva dalla guerra; sotto ogni aspetto questa è la storia di una ragazza fuori dal comune destinata a diventare un’icona di pace.
PARTE PRIMA
IL CROGIOLO
Capitolo 1
Estasi
Germania 1935
Nell’ufficio di Adolf Hitler, la baronessa Ella van Heemstra porse la mano all’uomo più famoso del mondo, l’uomo il cui nome era sulle labbra di tutti. Gli occhi azzurro intenso di Hitler avrebbero potuto trafiggerla, tanto era il loro potere. Era così pallido, così composto mentre sfoderava il suo sorriso enigmatico, pieno di umiltà, quello che si vedeva così spesso nei cinegiornali proiettati sugli schermi di tutto il mondo. Lui allungò la mano e prese delicatamente quella di lei. Poi, con un gesto ereditato da generazioni e secoli di tradizione europea, si inchinò e sfiorò con le labbra la pelle della donna. Ella aveva sentito spesso descrivere il contatto con quell’uomo come una scossa elettrica, e ora eccola lì, nell’ufficio del Führer presso il quartier generale del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi, meglio conosciuto come Braunes Haus, a Monaco, in Germania. La baronessa aveva lasciato i suoi due figli maschi e la figlioletta nel villaggio olandese di Oosterbeek per essere lì con il marito e cogliere quella che prometteva di essere un’opportunità irripetibile.
Quante donne avrebbero dato la loro vita per quel momento! Ma la baronessa si era guadagnata quell’udienza grazie a un articolo che aveva scritto per «The Blackshirt», il settimanale dell’Unione Britannica dei Fascisti, esaltando le virtù di Hitler e del suo discepolo nazionalsocialista in Gran Bretagna, sir Oswald Mosley.
Inoltre Ella aveva la fortuna di avere, nella sua stessa classe sociale inglese, dei cari amici che ammiravano il grand’uomo. Il giornalista britannico Micky Burn del «Gloucester Citizen» si era fatto rapire dal fascino del Führer, che lo lasciò senza fiato autografandogli una copia del suo Mein Kampf. Unity Mitford, una delle sorelle Swinbrook Mitford, era pazza di Hitler ed era diventata la sua ultima conquista. Unity aveva presentato al Führer la sua elegante sorella Diana, e ora erano entrambe cotte di lui. Una terza Mitford, Pamela, si era unita al branco, anche se sembrava perplessa sull’intera faccenda.
Naturalmente, Hitler aveva i suoi motivi per corteggiare gli inglesi e cercava ogni occasione per sedurre i sudditi della Gran Bretagna. Unity raccontava che una volta, quando fu suonato l’inno nazionale britannico, il Führer «lo fischiettò dall’inizio alla fine». Quindi sì, Hitler ammirava tutto ciò che era inglese, comprese le donne, e corteggiare le affascinanti Mitford, le cosiddette “sorelle scandalose”, non gli dispiaceva affatto. Cosa vedeva, ora, in Ella van Heemstra? Un modo per introdursi nell’élite della società olandese? Forse, ma non aveva importanza, perché Ella era lì ed era determinata a godersi quel momento fino in fondo. Sperava che a sua eccellenza non dispiacesse vederla col rossetto e la cipria – tutti sapevano che detestava le donne truccate – ma lui non badò al maquillage delle sue ospiti straniere in quel momento. Rivolse a Ella una frase di cortesia, e lei rispose in un tedesco impeccabile.
Ella aveva accanto a sé il marito, Joseph Ruston, e Unity Mitford; la sua mano era in quella di Hitler. Il Führer era così galante e simpatico, coi suoi stupefacenti occhi azzurri e il suo bel viso. Dio, che epoca esaltante, con la Germania rinata che indicava la strada all’intera Europa dopo i disastri della Grande Depressione! Il nazismo dava una risposta all’umanità. Il nazismo era un faro per chi era abbastanza saggio da vedere. Il nazismo aveva riportato la Germania alla piena occupazione nel giro di pochi anni, dimostrando che i suoi ideali erano più potenti e inarrestabili del cataclisma economico. Bandiere rosso sangue con l’emblema nazista sventolavano ovunque a Monaco; vessilli di fuoco erano appesi a ogni palazzo e ogni asta. Le viuzze dell’antica città pulsavano di energia come le arterie di una belva inquieta.
La magia di tutto ciò che aveva visto e di tutte le persone che aveva incontrato convinse Ella a lasciare la sua casa in Belgio per tornare di nuovo in Germania nel settembre di quell’anno; ancora una volta parcheggiò i suoi figli a Oosterbeek per partecipare al Congresso annuale del Partito Nazista, il Reichsparteitag, a Norimberga. Grazie a Triumph des Willens, il film del 1935 di Leni Riefenstahl, aveva visto le immagini sfolgoranti del congresso del 1934, e aveva giurato di assistervi di persona. Immaginate una città di mezzo milione di abitanti invasa da altrettanti visitatori. Gli alberghi si riempirono troppo rapidamente, e tutti coloro che non riuscirono a trovare uno spazio al chiuso o una sistemazione nei nove accampamenti di tende all’aria aperta furono piazzati in fabbriche requisite, chiese e scuole. Lì l’infatuata Ella si immerse in un’intera settimana di attività fasciste, dal suono a distesa delle campane delle chiese cittadine a una rappresentazione di Die Meistersinger di Richard Wagner, oltre a una serie ininterrotta di incontri e discorsi. Assistette alla parata della Gioventù Hitleriana nell’immenso Campo Zeppelin, lo stadio di Norimberga, in cui il Führer si rivolse a 60.000 giovani uomini dall’uniforme impeccabile e perfettamente allineati. La sua voce echeggiò dagli altoparlanti dicendo: «Dovete imparare a soffrire le privazioni senza mai crollare. Qualunque cosa creiamo oggi, qualunque cosa facciamo, noi moriremo, ma la Germania continuerà a vivere in voi. Quando non rimarrà più niente di noi, voi dovrete stringere nel pugno le bandiere che noi abbiamo issato dal nulla. So che non può essere altrimenti, perché voi siete carne della nostra carne, e sangue del nostro sangue. Nelle vostre giovani menti arde lo stesso spirito che ci guida».
Il congresso del 1935 era il Congresso della Libertà, intesa come libertà dalle restrizioni dell’orribile Trattato di Versailles che aveva messo fine alla Grande Guerra sedici anni prima, privando la Germania della sua ricchezza e potenza militare, e di buona parte del suo territorio. Il Führer fece sfilare la sua Wehrmacht, il suo magnifico esercito, davanti alle duecentocinquantamila persone riunite nello stadio. In alto gli aerei da guerra tedeschi volavano così numerosi che sembravano oscurare il sole, mentre i cannoni della contraerea sparavano salve dimostrative manovrati da squadre di uomini calmi ed esperti.
Il Reichstag aveva approvato la Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco, che proibiva i matrimoni e i rapporti sessuali fra tedeschi ed ebrei e l’impiego di donne tedesche sotto i quarantacinque anni nelle case degli ebrei. La Legge sulla cittadinanza del Reich stabiliva che solo gli individui di sangue tedesco o affine potevano essere cittadini tedeschi; gli altri – compresi gli ebrei, specialmente gli ebrei – erano classificati come sudditi dello Stato senza diritti di cittadinanza. Ella aveva molti amici ebrei in Belgio e altrove, ma Diana Mitford riassunse la questione a meraviglia citando il suo caro amico Putzi Hanfstaengl: «Se agli ebrei non piace, se ne vadano. Hanno contatti e soldi in tutto il mondo. Che lascino la Germania a noi tedeschi». Fu l’unico momento di esitazione di Ella in una storia per il resto positiva, e fu facilmente risolto.
Allo stadio, Hitler udì il giuramento dei membri del servizio di lavoro obbligatorio e commemorò gli uomini morti nell’insurrezione armata nazista del 1923 nota come Putsch di Monaco, quando sedici membri del partito furono uccisi in una via della città bavarese. Fu una commovente manifestazione di amore, memoria, e soprattutto potere. Ella sentì nel profondo del suo essere che in un futuro non troppo lontano avrebbe fatto parte di un’Europa unita sotto Adolf Hitler, l’uomo che aveva generato tutto questo con la sola forza della sua volontà e che aveva messo fine ai quindici anni di disperazione della Germania dopo la Grande Guerra.
Nel giorno conclusivo del Reichsparteitag, il Campo Zeppelin si riempì di oltre 300.000 persone, con centinaia di bandiere che sventolavano, aerei che volavano, carri armati che sfilavano, tamburi che rullavano e bande che suonavano; i sedili sembravano vibrare al passaggio delle truppe compatte del Führer che battevano gli alti stivali neri nel passo dell’oca. Le bandiere, svastica in bianco e nero in campo rosso, scorrevano come un fiume di sangue, così rosso da far male agli occhi. Il tintinnio dello Schellenbaum, l’albero dei campanelli che precedeva alcune unità dell’esercito, si levava col suo suono argentino al di sopra delle note sorde dei tamburi e degli stivali.
Finalmente Hitler prese la parola e mise a nudo la sua anima parlando del suo amore per la Germania e delle sue speranze e dei suoi sogni per il futuro. Sostenne che i problemi del mondo erano incentrati sugli ebrei che avevano trascinato le nazioni nella Grande Guerra, culminata nella sconfitta della Germania e poi nella Grande Depressione. Il Parteitag si concluse con una parata militare e un’emozionante, virile esibizione della banda, poi Hitler salì su un’auto scoperta e fece il giro all’interno dello stadio per raccogliere il tributo della folla.
Concluso il congresso del partito, Ella tornò a Monaco per godere della presenza di Hitler – in particolare nel suo ristorante preferito, l’Osteria Bavaria – passando il tempo con Unity Mitford e il suo fidanzato, l’SS Erich Widmann, e il reporter del «Citizen» Micky Burn. Unity era così incredibilmente possessiva nei confronti di Hitler che teneva gli altri a distanza per avere il Führer tutto per sé, ma Ella non aveva bisogno dell’attenzione del grand’uomo; lo aveva già incontrato, e quando tornò a casa in Belgio prese la penna in mano.
Scrisse: «Le cose che mi hanno colpito di più tra le mille impressioni che ho provato sono state: (a) la straordinaria forma fisica di tutti gli uomini e le donne che vedevi, nelle parate o per la strada; e (b) l’atmosfera rigenerante che ti circondava, l’assoluta libertà da ogni forma di pressione psicologica o di depressione».
Le parole di Ella sarebbero apparse sul bollettino nazionalsocialista di sir Oswald, Action, con la seguente conclusione: «Adolf Hitler può andare giustamente orgoglioso della rinascita di questo grande paese e del rinnovamento dello spirito tedesco. La Germania di oggi è un paese più presente, e i tedeschi, sotto il regime nazista, sono uno splendido esempio per le razze bianche del mondo, un popolo potente, retto e fiero e che ha tutti i diritti di esserlo». E in calce a queste parole entusiastiche appose il suo nome nella variante belga: baronessa Ella de Heemstra, Bruxelles1.
1. Si rimanda alle note per capitolo in fondo al volume per la descrizione delle fonti consultate.
Capitolo 2
Il sangue della Frisia
Audrey Kathleen van Heemstra Ruston, futura fulgida stella di Hollywood, venne al mondo sotto una stella di tipo diverso, una stella nera, il 4 maggio 1929. Sua madre, la baronessa Ella van Heemstra, era una giovane donna volitiva, schietta e allegra che a ventotto anni aveva ancora voglia di divertirsi, sebbene avesse ormai tre figli contando anche i due maschi avuti dal primo matrimonio, Alexander e Ian. Nelle vene di Ella – nelle vene di tutti i van Heemstra – scorreva sangue frisone. La Frisia, Friesland per gli olandesi, è una provincia particolare situata nell’estremo nord dei Paesi Bassi. Ancora oggi molti frisoni provano fastidio nel sentirsi definire olandesi, sono troppo speciali e indipendenti per rientrare in una denominazione così comune.
Il fatto che Audrey Hepburn fosse destinata a diventare un personaggio di successo noto in tutto il mondo non stupisce, se si considerano i suoi ascendenti nella nobiltà frisona1. Il primo van Heemstra della Frisia di cui si ha notizia precede di molto l’avvento di Guglielmo d’Orange, sotto il cui regno si realizzò l’unità dei Paesi Bassi. I van Heemstra furono riconosciuti come nobili fin dall’inizio, dal Medioevo, e il titolo di barone fu concesso ufficialmente nel 1814 a Willem Hendrik van Heemstra, il cui figlio Schelto rappresentò la Frisia alla Camera dei Rappresentanti olandese prima di diventare primo ministro dei Paesi Bassi nel 1861. Anche il fratello di Schelto, Frans, fu membro della Camera dei Rappresentanti. W.H.J. van Heemstra, figlio di Frans, ebbe due maschi, uno dei quali era il barone Aarnoud Jan Anne Aleid – o A.J.A.A. – padre di Ella e di altre quattro femmine e un maschio. Il barone era il nonno di Audrey, ovvero il suo opa, come si dice in olandese.
Nel 1900 il nome dei van Heemstra aveva ormai assunto un rilievo nazionale in Olanda. Per gli olandesi la via della ricchezza passava attraverso le Indie Orientali, ma Aarnoud scelse una strada tutta sua e prese un dottorato in legge nel 1896, lo stesso anno in cui sposò la baronessa Elbrig Wilhelmina Henriette van Asbeck. Aarnoud divenne procuratore e poi giudice ad Arnhem, una prospera cittadina sul Reno capoluogo della Gheldria, provincia a circa sessanta chilometri a ovest del confine con la Germania. Mentre lui esercitava la sua professione, la baronessa van Asbeck sfornava bambini: Wilhelmina Cornelia (1897), Geraldine Caroline (1898), Ella (1900), Marianne Jacqueline (1903), Willem Hendrik (1907), e Arnoudina Johanna (1911). Nel frattempo il padre di sei figli era diventato borgomastro, ovvero sindaco, di Arnhem, una carica che mantenne per dieci anni fino al 1920. La famiglia viveva in una magnifica villa vicino al Lauwersgracht, un lago che costituiva l’unico avanzo del fossato che un tempo circondava l’antica città fortificata di Arnhem. Ora il lago faceva parte del parco del Musis Sacrum Park, nel centro cittadino, il luogo più pittoresco di tutta Arnhem. La casa dei van Heemstra era una delle tre ville del “Paadje van Bleckmann”, di proprietà di una facoltosa famiglia della zona di nome Bleckmann. Un’altra di queste ville, nota come “de Nijenburgh”, era occupata dalla contessa Cornelia van Limburg Stirum. Nel 1918 Wilhelmina, figlia del barone van Heemstra, sposò Otto Ernst Gelder van Limburg Stirum, nipote della contessa, rafforzando la forte presenza della famiglia van Heemstra nel centro di Arnhem. Ventisei anni dopo, le tre splendide ville dei van Heemstra e dei van Limburg Stirum avrebbero conosciuto sangue e distruzione nella più leggendaria battaglia della Seconda guerra mondiale.
Arnhem fiorì sotto la guida del borgomastro van Heemstra. L’associazione per lo sviluppo agricolo Nederlandsche Heidemaatschappij la scelse come sede del suo quartier generale, furono fondati l’Openluchtmuseum – poi diventato celebre – e il Burgers’ Zoo, e la città si riempì di abitazioni a buon mercato.
Nel marzo del 1920 Aarnoud diede sua figlia Ella in sposa a Hendrik Gustaaf Adolf Quarles van Ufford, originario di Oosterbeek, il paese vicino. Hendrik era un ex soldato di cavalleria diventato dirigente petrolifero con assegnazione nelle Indie Orientali Olandesi. Dopo il matrimonio la coppia salpò per l’Estremo Oriente per cominciare una nuova vita insieme. In quello stesso anno il borgomastro van Heemstra, che era piuttosto taccagno, lasciò di colpo il suo incarico dopo una disputa col comune sul suo compenso, affermando che «il magro salario non mi consente di continuare a svolgere il mio lavoro in modo appropriato». Tornò al suo lavoro di magistrato, ma non per molto. Guglielmina d’Orange, regina dei Paesi Bassi, lo nominò governatore del territorio olandese del Suriname, sulla costa nord-orientale del Sudamerica; così il barone, la baronessa e tre dei loro figli partirono per la remota capitale del Suriname, Paramaribo, dove avrebbero trascorso otto anni tumultuosi.
Aarnoud era un nobile carismatico. Ella diceva che suo padre era «forse l’uomo più bello che abbia mai visto. Dicono che sia dotato di un’intelligenza brillante. Fa battute di spirito come un francese. La domenica è tranquillo ma sempre pronto a qualche birichinata. Ha denti bianchissimi dietro i baffetti neri».
Dopo una vita trascorsa fra i nordeuropei, ora il nuovo governatore del Suriname doveva misurarsi con un melting pot sudamericano che comprendeva indios e schiavi fuggiaschi, chiamati cimarroni, che avevano fondato dei villaggi indipendenti nelle vaste foreste pluviali dell’interno. Amministrare quell’area selvaggia significava garantire che le miniere di bauxite continuassero a produrre alluminio e anche assicurare la stabilità dei raccolti di riso e banane, tutte attività che richiedevano un grande impegno fisico da parte di uomini liberi o di servi a contratto. I governatori precedenti erano stati mere figure di rappresentanza; non così il governatore van Heemstra, che intraprese varie spedizioni nell’interno, posti dove raramente si vedevano dei bianchi europei. Il barone si dava da fare perché era un visionario che capiva il potenziale economico del Suriname. Spingeva fortemente per l’indipendenza economica da un governo olandese che considerava a ragione disinteressato a quella porzione “irrilevante” di territorio: la vera ricchezza doveva venire dalle fiorenti imprese delle Indie Orientali Olandesi che producevano caffè, tè, cacao, tabacco e gomma.
Il governatore van Heemstra rimase un progressista che lavorava instancabilmente per il bene della sua colonia. La sua etica del lavoro sarebbe riemersa una generazione dopo nella giovane nipote. Nel 1922 van Heemstra vide con favore l’arrivo della Aluminum Company of America – meglio conosciuta come Alcoa – nella foresta di Moengo per estrarre bauxite.
Ma la luna di miele tra il governatore e l’Alcoa fu di breve durata: il barone si rese conto quasi subito che la compagnia americana rischiava di monopolizzare le risorse del Suriname…
Robert Matzen è scrittore e documentarista, vincitore di premi e riconoscimenti in entrambi gli ambiti della sua carriera. Ha diretto anche molti documentari per la NASA. Tra i suoi libri, molti bestseller. La guerra di Audrey sarà una delle fonti della fiction in corso di preparazione sugli anni giovanili di Audrey Hepburn, prodotta dalla Wildside, la stessa di The Young Pope e L’amica geniale.