Cannella,pepe,cumino,anice,coriandolo,zafferano,sommacco,cassia…
No,non servono solo per cucinare,le spezie. Sono farmaci,sono cosmetici, sono veleni, sono profumi e memorie di terre lontane che in pochi hanno visto.
Per raggiungere il bancone di una rivendita, una stecca di cannella deve passare per decine di mani, viaggiare a dorso di mulo su lunghe carovane, attraversare l’oceano.
Ovviamente i costi lievitano a ogni passaggio.
Ricco è chi può acquistarle, ricco è chi riesce a venderle. Le spezie per la cucina – e ancor di piu’ quelle per le cure mediche e per i profumi- sono cosa per pochi eletti.
Venezia ha fondato la sua ricchezza sul commercio delle spezie e sui dazi doganali. Ora, all’inizio XIX secolo, a commerciarle, sono gli inglesi e i francesi. Dalle loro colonie d’oltremare, arrivano navi cariche non solo di erbe medicinali, ma anche di zucchero, e tè, e caffè, e cioccolato.
Il prezzo scende, il mercato si diversifica, i porti si aprono, la quantità di spezie aumenta. Non solo Napoli, o Livorno, o Genova. A Palermo gli aromatori fondono una corporazione. E cresce anche il numero di coloro che possono permettersi di venderle.
Ignazio trattiene il fiato.
E’ sempre così.
Ogni volta che lo schifazzo arriva in vista del porto di Palermo, sente una morsa allo stomaco, proprio come un innamorato. Sorride, stringe il braccio di Paolo e suo fratello ricambia il gesto. No, non lo ha lasciato a Bagnara, Lo ha voluto con sè.
<<Contento?>> chiede. Lui annuisce, gli occhi che brillano e il petto che si lascia invadere dalla bellezza di quella città.
Ha lasciato la Calabria, la sua famiglia o quel che ne resta.
Ma ora, con gli occhi pini di cielo e di mare, non ha piu’ timore per il futuro. Il terrore della solitudine è un fantasma.
Il respiro si ferma davanti al sovrapporsi di sfumature diverse di un medesimo azzurro su cui spiccano le mura che racchiudono il porto, immerse nel pomeriggio.
Davanti a lui, la città si svela. Prende forma.
Cupole di maiolica, torri merlate, tegole. Ecco la Cala, affollata di feluche, brigantini, schooner, un’insenatura a forma di cuore, stretta tra due lingue di terra. Attraverso la selva di alberi di navi, s’intravedono le porte, incastonate dentro palazzi, letteralmente costruiti sopra di esse: porta Doganella, porta Calcina, porta Carbone. Case abbarbicate, affastellate, come a cercare di farsi spazio per trovare un pò di vista sul mare. A sinistra, seminascosto dai tetti, il campanile della chiesa di Santa Maria di Porto Salvo; poco oltre, s’intravedono la chiesa di San Mamiliano e la torre stretta della chiesa dell’Annunziata, e poi ancora, quasi a ridosso delle mura, la cupola ottagonale di San Giorgio dei Genovesi. A destra, un’altra chiesa, piccola e tozza, Santa Maria di Piedigrotta, e la sagoma imponente del Castello a Mare circondato da un fossato; poco oltre, su una lingua di terra che s’inoltra in mare, il lazzaretto per la quarantena dei marinai malati.
Su ogni cosa incombe il monte Pellegrino. Dietro, una cintura di montagne coperte di boschi.
C’è un profumo che arriva dalla terra e aleggia sull’acqua: un misto di sale, frutta, legna bruciata, alghe, sabbia. Paolo dice che è l’odore della terra ferma. Ignazio, invece, pensa sia il profumo di questa città.
Arrivano i rumori di un porto in piena attività. L’aroma del mare viene soppiantato da un tanfo acre: letame, sudore e pece, insieme con quello dell’acqua morta.
Nè Paolo nè Ignazio si accorgono che Giuseppina ha ancora gli occhi fissi sul mare, quasi potesse vedere Bagnara.
Non sanno che lei ricorda l’abbraccio di Mattia.Quella donna, per lei, non è solo una cognata: è amica, è certezza, la voce che l’ha guidata nei primi difficili mesi del matrimonio con Paolo.
Giuseppina aveva sperato che pure Barbaro e Mattia potessero seguirli a Palermo, ma era stata una speranza morta presto. Paolo Barbaro aveva dichiarato che lui sarebbe restato a Bagnara e avrebbe fatto avanti e indietro da Palermo: per commerciare con il Settentrione e avere un altro porto sicuro. E che aveva bisogno di una femmina che gli curasse la casa e i figli. Giuseppina, in verità, sospettava che lui volesse allontanare la moglie dai fratelli: Barbaro non amava molto la loro vicinanza, soprattutto il legame tra Ignazio e Mattia.
Una lacrima solitaria cade dalla guancia, s’infrange sullo scialle. Giusepina ricorda il fruscio degli alberi che dalle montagne arrivava quasi al mare, le corse per le strade di Bagnara fino alla torre di Re Ruggero, con il sole che si rifrangeva tra l’acqua e i ciottoli della spiaggia.
Là, sul molo sotto la torre, Mattia le aveva dato un bacio sulla guancia. <<Non devi pensare di essere sola. Io chiederò allo scrivano di mandarti le lettere e tu farai la stessa cosa. Ora non piangere piu’ così, ti prego.>>
<<Non è giusto!>> Giuseppina aveva sretto i pugni. <<Non voglio!>>
L’altra l’aveva abbracciata. <<Cori meu, questo è. Noi siamo dei nostri mariti, non abbiamo potere. Fatti forza.>>
Giuseppina aveva fatto cenno di no con la testa, perchè per lei non era possibile essere sradicata così dalla sua terra. Sì, le donne erano dei mariti, erano loro a comandare. Ma i mariti spesso non capivano come tenersi strette le proprie femmine.
Così era per lei con Paolo.
Poi Mattia aveva cambiato espressione. Aveva lasciato l’abbraccio di Giuseppina per andare incontro a Ignazio. <<Sapevo che sarebbe arrivato questo giorno. Questione di tempo era.>>
L’aveva baciato sulla fronte, poi aveva unito in un solo abbraccio Giuseppina e Ignazio. <<Stai attento a nostro fratello Paolo. E’ troppo duro con tutti, specie con lei. Digli di essere piu’ paziente. Tu puoi farlo, sei suo fratello e sei maschio. A me non mi ascolta.>> A ripensarci, Giuseppina sente un nodo allo stomaco.Aveva soffocato lacrime di tenerezza sulla spalla della cognata, strofinando il viso sulla stoffa ruvida del mantello.
<<Grazie, cori di lu me cori.>>
La risposta era stata una carezza.
A quelle parole, Ignazio si era rabbuiato. Si era voltato indietro a guardare Paolo Barbaro. << E tuo marito,Mattia? Tuo marito è paziente, ti rispetta?>> Aveva sbuffato piano. <<Non sai che pena ho di lasciarti qui da sola con lui.>>
La sorella aveva abbassato lo sguardo.<<Quello è. Si comporta come deve comportarsi.>> Una frase. Un sibilo, simile a quello di paglia che brucia.
E Giuseppina aveva letto in quel gesto ciò che già sapeva.
Che Barbaro era manesco con lei, che la trattava con asprezza. Il loro matrimonio era stato combinato dalle famiglie per motivi di soldi, com’era avvenuto per lei e Paolo.
Non lo possono capire, gli uomini, che loro due hanno il cuore spezzato.
Vittoria, la chiama: <<Zia, guardate! Stiamo arrivando!>> E’ felice, entusiasta. Il pensiero di una città nuova, lontana da Bagnara, l’ha riempita di gioia sin dall’inizio. << Sarà bellissimo,zì>>, aveva detto a Giuseppina il giorno prima della partenza.
La zia aveva replicato con una smorfia: <<Sei troppo piccola per capire. Non è come qui in paese…>>
<<Appunto>>Vittoria non si era fatta scoraggiare. <<Una città, una città vera.>>
Giuseppina aveva scosso la testa mentre pena, rancore e rabbia le rosicchiavano lo stomaco..
La bambina salta in piedi, indica qualcosa. Paolo annuisce, Ignazio si sbraccia.
Dalla massa d’imbarcazioni si stacca una lancia che li guida all’attracco. Al momento dell’approdo, si è già radunata una piccola folla di curiosi. Barbaro allunga un braccio per prendere la cima e assicurarla alla bitta. Un uomo si fa avanti,li accoglie.
<<Emiddio!>>
Paolo e Barbaro saltano a terra, lo salutano con confidenza e rispetto. Ignazio li vede confabulare mentre allunga la passerella per far sbarcare la cognata. Giuseppina, ferma sulla tolda, stringe il bambino come se volesse difenderlo da una minaccia. Allora lui, con gentilezza, l’aiuta a scendere a terra e spiega: <<Quello è Emiddio Barbaro, un cugino di Paolo. E’ lui che ci ha aiutato a comprare l’aromaterapia.>>
Vittoria salta a terra, corre da Paolo.Lui, brusco, le fa cenno di tacere.
Giuseppina legge sul viso del marito una tensione strana, come una vibrazione profonda, una crepa in quell’atteggiamento sicuro che così spesso le fa soffocare un grido di rabbia. Ma è un istante: il viso di Paolo torna spigoloso. L’espressione è dura, le occhiate guardinghe. Se Paolo ha paura, sa nasconderlo bene.
Stefania Auci
Trapanese di nascita e palermitana d’adozione, Stefania Auci ha con Palermo un rapporto d’amore intenso e possessivo, che si rispecchia nelle appassionate ricerche da lei condotte per scrivere la storia dei Florio.
Ancora prima della pubblicazione, “I leoni di Sicilia” è stato venduto negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, in Spagna e in Olanda ed è stato opzionato per una serie televisiva.