«Una storia che invita a scoprire chi siamo veramente e ad andare sempre avanti, sperare e osare, dando una nuova possibilità alla vita.»
Arbeidets Rett
È mattina, e Fie non vede l’ora di ricevere il suo messaggio quotidiano. Poche righe che contengono un compito da svolgere per tornare a vivere davvero e rompere la monotonia di giornate sempre uguali. Da qualche settimana, infatti, segue un calendario dell’Avvento in cui a ogni casella corrispondono un consiglio, un obiettivo o una motivazione. Non è certa di farcela, ma non ha nulla da perdere, e decide di accettare la sfida: solo così, in fondo, può mettersi in gioco davvero. A inventare questo stratagemma è stata sua sorella. Sara sa bene che Fie ha bisogno di qualcuno che la sproni a uscire dal guscio in cui si è rinchiusa dopo essere stata lasciata dal marito e con un figlio che si allontana sempre di più. Seguendo le indicazioni contenute nei messaggi, piano piano, Fie vede la sua vita cambiare. Sceglie un nuovo arredamento per la casa; prepara squisiti dolci al tepore del forno; adotta un cane e fa amicizia con i vicini. Piccoli gesti dal valore inestimabile grazie ai quali si accorge che non è vero che intorno a lei c’è solo un presente grigio. Nuovi colori vengono alla luce e le mostrano come suo figlio sia solo a un passo di distanza e come, forse, separarsi dal marito non sia stata una cattiva idea. Perché c’è sempre una ragione in tutto ciò che accade. Anche se a prima vista sembra negativo. Bisogna solo trovare la forza di riscoprire valori importanti come amicizia, condivisione, realizzazione di sé.
Un grammo di felicità al giorno è un inno al potere della vita di sorprendere e alla possibilità di ricominciare. A volte ci vuole qualcuno che ci venga in soccorso, a volte bastano un messaggio, un abbraccio, la parola giusta al momento giusto. La forza è dentro ognuno di noi, dobbiamo solo trovarla.
1
Stranamente, fu un pupazzo di Babbo Natale a tirarla fuori dalla buca.
Così si sentiva Fie, come se si trovasse in una buca stretta, buia, senza alcuno spiraglio di luce. E lei era laggiù, avvolta da una nebbia fitta e pesante, oppressa da un peso che le rendeva quasi impossibili i movimenti e l’attività cerebrale. Il suo unico sostegno erano delle compresse piccole e bianche. Il medico che l’aveva imbottita di quelle pillole miracolose le aveva diagnosticato la depressione. Le aveva anche detto che le pillole in realtà non servivano a nulla, e le aveva consigliato di farsi piuttosto delle lunghe passeggiate all’aria fresca, di sottoporsi alla terapia di gruppo e… magari trovarsi anche un hobby. Lei aveva risposto che, sì, ci avrebbe provato seriamente.
Diceva tutto quello che le veniva in mente, pur di avere le sue pillole.
Ma quel giorno, un giorno grigio come tutti gli altri giorni grigi, incontrò quel pupazzo.
Quando si era svegliata, aveva scoperto di essere rimasta senza le sue pilloline miracolose. Aveva semplicemente sbagliato a contare. Non c’era da stupirsi, frastornata com’era. Pertanto era uscita, cosa che normalmente cercava di evitare, anche se nello studio del medico si vantava di fare lunghe passeggiate all’aria aperta. Ma la farmacia era chiusa. Ovvio: Fie aveva dormito senza sosta ed erano ormai le cinque del pomeriggio. Dormiva spesso troppo a lungo, oppure – come le aveva fatto notare la sorella maggiore con aria di rimprovero – non si alzava nemmeno. Ma nonostante quella buca oscura in cui si trovava e il suo malessere generale, Fie non si era data per vinta. Pur pigramente, si era trascinata fino alla farmacia successiva.
Chiusa anche quella. Da qualche parte ce n’era sicuramente una aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, ma non sapeva dove.
Quindi si era lasciata cadere davanti alla vetrina di un negozio, fissando negli occhi, con sguardo apatico, il Babbo Natale che aveva di fronte.
Era vestito come la maggior parte dei Babbi Natale: cappello rosso, giacca rossa, calzoni rossi e una barba inverosimilmente folta. Era un Babbo Natale di plastica abbastanza ordinario e piuttosto scialbo. Sedeva su un mucchio di carta crespa rossa, e quello che non aveva in altezza lo compensava sul girovita. Ma ciò che Fie notò prima di tutto il resto furono gli occhi. La fissavano con aria seria, penetrando il suo sguardo indolente. Quegli occhi le ricordavano soprattutto lo sguardo della sua nonna paterna, ma anche dei bidelli, degli insegnanti, delle zie… Tutti quegli sguardi severi e punitivi, insomma, che aveva incrociato con vergogna da bambina.
«Ma come ti comporti?!» l’apostrofò il pupazzo del centro commerciale. «Guardati! Dovresti solo vergognarti!»
Fie provò l’istinto immediato di difendersi, di spiegargli le sue buone ragioni per essersi seduta lì, davanti a una vetrina, struccata, con i capelli unti e con indosso vestiti non molto puliti.
“Non è colpa mia”, voleva dirgli.
E in aggiunta: “Ma ti sei visto allo specchio, tu?”.
Esistevano Babbi Natale di qualità, con il costume fatto a maglia e la barba di vera lana. Babbi Natale di un certo valore. Con scarpe realizzate come si deve, e non solo una specie di involucro di plastica a ricoprirgli i piedi. Sempre che lì sotto ci fossero dei piedi, cosa di cui Fie dubitava.
Perfino nelle condizioni in cui si trovava, però, capì che non avrebbe dovuto starsene lì a litigare con un pupazzo. E si rese anche conto – sebbene con riluttanza – che c’era un motivo per cui provava il bisogno di redarguirlo: lui aveva ragione. Infine le fu chiaro che il fastidio che provava era da considerarsi alla stregua di un miracolo.
Da tempo, infatti, non aveva più voglia di litigare con nessuno. E non ce n’era stato motivo, perché nulla aveva significato qualcosa per lei, fintanto che poteva starsene in pace con le sue pillole e scivolare via, giorno dopo giorno, in uno stato di dormiveglia. Quella rabbia e la voglia intensa di difendersi furono il primo spiraglio di luce in quello che era stato un lungo periodo di oscura foschia.
Fie gli fece l’occhiolino, e nella sua testa il Babbo Natale le ammiccò a sua volta.
2
Alcune cose arrivano in modo del tutto inaspettato. Catastrofi, malattie, virus, maremoti, incendi, incidenti stradali. Prepararsi a questi eventi è assolutamente impossibile e, a parte prendere qualche precauzione (vaccinarsi, non passare con il semaforo rosso), è meglio non pensarci troppo. Altre cose invece si avvicinano di soppiatto e, sebbene ci si accorga del loro arrivo, si spera sempre che non accada nulla, che si tratti solo di un’impressione. La soluzione (anche se non delle migliori) può essere chiudere gli occhi, tenersi forte e sperare per il meglio.
Proprio ciò che Fie aveva fatto prima di entrare in depressione e iniziare ad assumere farmaci. Prima che le catastrofi si abbattessero su di lei. E, ovviamente, molti mesi prima di incontrare quel Babbo Natale.
Senza rendersene conto, aveva tenuto gli occhi chiusi per parecchio tempo. Ma al momento del risveglio, brusco e brutale, non aveva potuto fare nulla. Era seduta nella sua cucina, rinnovata di recente, e vestita con cura: pantaloni blu e camicetta bianca. Stava bevendo il caffè, come ogni mattina. Di fronte a lei sedeva Carl Christian, intento, anche lui come ogni mattina, a mangiare una fetta di pane con del paté di fegato. Non stavano parlando, e in ogni caso di solito non lo facevano. Carl Christian la mattina non era molto loquace, e Fie aveva imparato a rimandare all’ora di pranzo ciò che aveva da dire.
Presto si sarebbero infilati nella loro Volvo per andare al lavoro. Carl Christian faceva il dentista e aveva uno studio ben avviato, e Fie era la sua assistente. Molto pratico, in effetti, dato che così avevano bisogno di un’unica auto, e Carl Christian non era nemmeno costretto a pagarle lo stipendio. Avevano un figlio di ventun anni, Jens Christian, che aveva già lasciato il nido. Vivevano in una bella casa in un bel quartiere di Oslo e conducevano una bella vita. Ogni tanto Fie desiderava che la sua vita non fosse così bella, ma non quella mattina. Quella mattina si sentiva rilassata e insolitamente soddisfatta. L’avevano fatto di martedì! E non di sera, di mattina!
A Carl Christian solitamente non piaceva fare sesso di mattina. Era un uomo abitudinario, e per lui il momento ideale era il venerdì sera. A volte anche la domenica, se c’era tempo.
Ma a parte questo suo silenzio mattutino (e la sua tendenza a essere meticoloso, il che, per esempio, lo rendeva un mago con le cesoie), Carl Christian non era noioso. Era alto e bello, e Fie sapeva che qualcun’altra avrebbe potuto cercare di portarglielo via. Quand’era in compagnia gli capitava di parlare di otturazioni e ponti, argomenti di cui la stragrande maggioranza della gente non voleva sapere nulla, ma lui lo faceva in maniera così avvincente che al suo pubblico, ora della fine, veniva voglia di prendere un appuntamento dal dentista. Da Carl Christian, ovviamente.
Siri Østli è laureata in letteratura francese e russa, e in psicologia. Autrice e giornalista pluripremiata in patria, esordisce in Italia con Un grammo di felicità al giorno. Vive a Oslo con il marito e cinque figlie.