Trama
Cos’hanno in comune un diciannovenne, appena diplomato, che si gode scampoli d’estate, nel 1990 dei mondiali di calcio in Italia, e un quarantenne, chiamato da tutti Il Ragazzo, che si muove con aria trasognata nelle atmosfere di un inoltrato autunno dei primi anni Dieci del Duemila? Entrambi, con lo stesso batticuore adolescenziale, inseguono una «Lei», diventata il baricentro delle loro esistenze. Superando incertezze e tentennamenti, il lieto fine sembra a portata di mano, finché una drammatica svolta, nella sera che dovrebbe ripagare tutte le attese, inizia a svelare un incrocio di destini. Tra Milano e la Puglia delle radici, con rapidi cambi di scena e indimenticabili canzoni, si tesse una trama sottile, che coinvolge anche un Paese appena «al di là del mare», reso ancora più vicino dalle burrasche della storia. Da qui un giorno è partita avventurosamente, insieme a tanti altri, una ragazza bellissima e ingenua, già sola al mondo. Su un tempo che balza avanti e indietro, proprio come le onde, incombe una strana «profezia», che ha fatto irruzione quasi per gioco in una spensierata serata pre natalizia tra amici, riportando a galla fantasmi lontani: «L’ultimo giro del cielo»…
Antonio Maldera è nato a Milano, dove tuttora risiede, nel 1971. È laureato in lettere moderne e lavora da anni nel settore dell’editoria. Scrittore per passione, ha pubblicato le raccolte di poesie Lontananze sfuggenti (Montedit, 2000) e Luce del Firmamento. Pensieri d’amore (Kion Editrice, 2013), le raccolte di racconti Per la gloria di domani (Montedit, 2008) e L’eccezione. Anime allo specchio (Eidon Edizioni, 2010), il romanzo Qualcuno che ti aspetta (Youcanprint, 2016). Un suo racconto ha conseguito il secondo posto nella XII edizione del concorso letterario “Le Nuvole-Peter Russell”.
Approfondimenti e contatti: www.antoniomaldera.it; Facebook: Antonio Maldera – Pensieri che ti aspettano; antmaldera@gmail.com.
Estratto
I
amarti è l’immenso per me
1
La luce mi attraversa / quanto male fa / ma nel parco si muove già / una brezza che pettina il prato / e si allarga felice / là più in là nell’infinito va…
Non appena si sono allontanati dall’uscita del cimitero quel tanto che basta per non mancare di rispetto ai nonni materni e ai loro compaesani lì sepolti, Raffaele accende a manetta l’autoradio su una stazione che trasmette Nella mia città di Mango, raffinato successo dell’estate. Il sollievo di Tommaso, con quella musica che rompe l’inquietudine del silenzio, cresce a ogni metro, a ogni curva che li porta fuori dalla zona del camposanto e li immette nell’abitato dei vivi. È la sua reazione abituale, la stessa che ha quando, a bordo di un’auto, incrocia un carro funebre. Recita in cuor suo una devota Requiem aeternam per l’anima di turno. Da bravo cristiano un «riposi in pace» non lo nega a nessuno, neanche se va via il peggiore dei criminali. Ma ritrovarsi la lugubre vettura dell’ultimo viaggio giusto al suo fianco proprio non gli piace. Trattiene il fiato, turbato dalla scomoda compagnia, sospende i pensieri. E torna a respirare a pieni polmoni non appena l’autista fa il santo piacere di svoltare a destra o a sinistra. Una liberazione. Così come quando, in un film, magari un film comico, c’è una scena al cimitero. Non vede l’ora che finisca, che l’inquadratura la smetta di indugiare su quelle lapidi e passi ad altro. E che il carro giri alla prima curva. Finalmente! La morte prende un’altra strada, lontano da lui. Lui che è un ragazzo di diciannove anni, un bel giovanotto, come dicono in tanti, e deve vivere e amare. Che in fondo sono la stessa cosa.
Questa vacanza di agosto dai cugini, con sua sorella Lucrezia, un po’ più grande di lui, nella terra dei suoi genitori, tra mare e uscite serali, è una specie di allenamento, di rifinitura generale, prima del rientro in città, prima del grande evento, dell’attesa ora X: l’appuntamento con Lei. Stavolta farà sul serio. Nessun tentennamento. Lei è tutto e tutto è Lei. La vede anche lì, tra quelle case bianche e basse (Nella mia città / c’è una casa bianca / con un glicine in fiore…), quelle stradine strette, quei paesini dove la vita è così diversa e insolita, dove la gente, nelle sere d’estate, mette le sedie fuori di casa e si ferma a parlare con genuina amicizia.
E di tutte le belle, formose ragazze sulla spiaggia, dalla pelle mediterranea delicatamente ambrata, di tutte le amiche graziose dei cugini che fanno passerella la sera, il pensiero che resta alla fine, evaporata ogni epidermica attrazione, è uno solo: Lei è un’altra cosa.
A cercare la voce tua / che riecheggia per tutto il selciato / lungo il viale alberato / nell’infinito va…
Belli davvero questi giorni al mare, ma adesso con la mente è già sul treno del ritorno e poi a Milano e poi l’attesa minima indispensabile per chiamarla, salutarla, invitarla. E poi… poi no, questa volta non può davvero finire come le altre volte. Questa volta bisogna proprio farcela. Andare fino in fondo. Tutto o niente, perché Lei è proprio un’altra cosa.
2
«Però è proprio un bel cimitero!» esclama l’anziana signora, dopo avergli raccontato delle visite che ha fatto alle tombe di personaggi famosi e dopo avergli chiesto informazioni, che lui non è in grado di darle, sull’unica che manca alla sua «collezione»: una grande donna di spettacolo recentemente scomparsa. Per poco non scoppia a riderle in faccia davanti a una frase del genere. Ma come si fa a dire certe cose? Neanche avesse detto: come si mangia bene in questo ristorante, è un gran bel cinema, che film avvincente, che splendida partita. Ma lo spirito e la soddisfazione con cui ha pronunciato la frase sono del tutto simili.
Che tipa bizzarra! Però… Però… che ci sia un briciolo di verità in quella sconcertante affermazione? In fondo anche lui è sorpreso dalle dolci sensazioni di quella giornata autunnale, vigilia dei Santi, in cui è andato a fare visita ai nonni paterni nel grande cimitero alla periferia di Milano. Un bel sole da estate di San Martino e un senso di accoglienza, di intimità, di conversazione confidente. Non ha fretta, non ha paura di intrattenersi, forse perché ha abitato a lungo al confine dei due mondi e sente di appartenere un po’ a entrambi.
Forse la signora ha ragione: c’è qualcosa di bello in questo posto. Qui tacciono tutti i potenti e i prepotenti, gli arroganti e i carnefici di questo mondo. Questo silenzio pieno di mistero prima o poi attende e vince anche loro, come ognuno di noi. Questo silenzio immenso non si lascia comprare, non si lascia corrompere, non si lascia impressionare dai soldi, dalle armi o dalle minacce.
E poi, strana cosa, quel posto non gli suggerisce lugubri pensieri, lo fa pensare all’amore.
Poco prima, vicino ai suoi nonni, ha visto la lapide dei nonni di un suo compagno di giochi dell’infanzia. Lui del Cancro, lei dell’Ariete. Strana combinazione di segni, ha pensato, eppure sono stati insieme una vita. Che insolito pensiero là dentro, quasi come quello dell’anziana signora.
Eppure anche quegli alberi, fra lontananze che evocano e nascondono un altrove, lo fanno pensare all’amore, una sorta di richiamo all’Eden primordiale. L’amore vince anche la morte. Ora lo sa, ora non è più semplice poesia. Ha dovuto trascorrere anni interminabili nella terra di confine, o nella terra di nessuno. Ma ora lo sa. A quarant’anni suonati. Anche se in tanti continuano a chiamarlo «Il Ragazzo» e ormai è diventato quasi un soprannome, che in fondo gli fa piacere. «Porta il caffè al ragazzo» dice la signora del bar. «Proviamo a chiedere a quel ragazzo lì» dice qualcuno per strada. «Me l’ha detto il ragazzo del piano di sopra» dice un inquilino del
palazzo. È Il Ragazzo, insomma. Come se, durante il «grande sonno», il suo tempo fosse stato sospeso, in modo da farlo svegliare più giovane della sua età anagrafica. «Ben conservato, a temperatura ambiente» ci scherza sopra lui. «Dite che sembro più giovane? Forse perché mentre dormivo non ho visto tante brutte cose che avete visto voi» dice agli amici. «Anzi, a volte penso che avrei fatto meglio a continuare a dormire ancora un bel po’.»
Si avvia all’uscita, sale sull’autobus che porta verso il centro, fra tanta gente e molti anziani. Il mezzo si dirige verso il quartiere, passando dal parco, bello e lussureggiante di preziosi rossi autunnali. Si procede senza fretta, senza ansia, da una dimensione all’altra, nell’agglomerato dei vivi. L’unico pensiero che incalza, che preme nel suo cuore è Lei. Lei è la luce alla fine del tunnel, Lei è tutto e tutto è Lei. Mandarle un messaggio? Una mail? Chiamarla? Invitarla, questa è la sola cosa che conta. È sopravvissuto per Lei. Non può finire come le altre volte. Bisogna andare fino in fondo. Tutto o niente, perché Lei è proprio un’altra cosa.
3
C’è un cuore che batte nel cuore di Roma, che vive e che perde ed io ti amo ancora…
Il cugino Raf ha messo sullo stereo l’album di Venditti con i successi degli anni Ottanta. È una sorpresa per Tommaso e Lucrezia vederlo tutto preso dal romanticismo del testo. Raffaele ha l’aria di uno che non va troppo per il sottile con le donne. Un avventuriero, uno che «castiga» a destra e a manca, a ogni latitudine, dove capita. E se ne vanta con tutti: con gli amici, con le amiche soprattutto. E naturalmente con i cugini. Gli credono tutti sulla parola, nessuno chiede di esibire le prove di quella continua «caccia alla femmina». Gli credono, perché in compagnia diventa puntualmente il leader, quello che dà i tempi, quello che «chiama» le risate per ogni sua battuta, anche quando non è propriamente irresistibile. È quello attorno a cui tutti si muovono, come trascinati da una forza irrefrenabile.
Tommaso lo osserva come si osserva un oggetto misterioso, un libretto di istruzioni scritto in una lingua incomprensibile. Qual è il segreto del suo successo? Non è brutto suo cugino, certo, ma nemmeno un divo di Hollywood. Simpatico? Sì, d’accordo, ma a volte anche eccessivo, istrionico, gigione. Bonario, ma anche impietoso: sa andare giù pesante per il gusto di una battuta. Eppure sembra sempre aver ragione lui.
Invidioso Tommaso? Nemmeno per sogno. Vuole solo capire da dove nasca tanta disinvoltura, tanto successo. E forse proprio questo è il suo limite: voler capire. In certe cose non c’è niente da capire, bisogna prenderle così come sono. Con le donne, soprattutto, non c’è niente da capire: bisogna prenderle così come sono. «E come sono, le donne?» gli ha chiesto una sera una delle fascinose amiche di Raf, cinque anni più di Tommaso, con un sorriso tenero e malizioso al tempo stesso, con un lampo di sensualità nei suoi occhi caldi e mediterranei. Tommaso ci ha pensato un attimo, poi ha risposto con insolita determinazione: «Meravigliose». Risposta esatta, pare, stando almeno all’espressione della bella ragazza, il cui seno rotondo sembrava sussultare nell’abitino essenziale. «E bravo Tommy! Hai visto che cugino che tengo?» ha detto con aria paternalistica Raf, che ha alcuni anni più di lui. Ecco com’è Raf. Si è intestato anche questa sua battuta felice, è riuscito a rubargli la scena anche con quella ragazza, gli ha sottratto anche la soddisfazione platonica di un momento di complicità.
In fondo la verità è che Raf piace perché è leggero. In un periodo che ha ancora addosso l’odore degli anni Ottanta va bene così. Chissà come sarebbe stato Raf nei Settanta dell’impegno? Avrebbe dovuto inventarsi un altro personaggio? Chissà. E anche questo è uno dei difetti di Tommaso: fissarsi sui chissà e sui forse. Mentre Raf resta agganciato alla realtà, va dritto allo scopo. Sono due mondi diversi, opposti, che passano del tempo insieme non per affinità ma per caso. Eppure Tommaso si ostina a cercare un punto di contatto, una vaga possibilità di comunicazione, qualcosa che lontanamente li unisca. Una volta, un’altra estate, gli ha chiesto consiglio su una ragazza che gli piaceva ma che era impegnata. Restare alla finestra? Mantenersi in contatto con lei e vedere se cambia qualcosa? «Assolutamente no, ma che stai scherzando? E che ti metti a fare la riserva, il ripiego? Anche, dico per dire, se si lasciasse col ragazzo e si mettesse con te, non andrebbe bene. Cercatene subito un’altra. Tu non devi fare la riserva di nessuno.» E anche questo è Raf: deciso, si va avanti, non ci si ferma mai, non si aspetta nessuna. Ma che stai scherzando? Gli è sembrato persino premuroso nel rimprovero, preoccupato per lui. Bravo Raf, così si fa, hai fatto bene a farmi il cazziatone, a me che sono un povero pirla che crede alle favole. O forse il tuo tono era così accorato perché il rimprovero era rivolto in realtà a te stesso?
E poi c’è quella strana frase che ti è scappata una volta con Lucrezia, mentre ascoltavamo la radio in macchina: «Questa canzone mi ha aiutato tantissimo quando stavo male per Francesca».
Ah, ma allora sei stato male anche tu per qualcuna. Hai sofferto, come ho sofferto io la prima volta ai tempi del ginnasio per Gemma, con The taste of your tears – proprio il titolo giusto – dei King. Che dopo quella canzone sono spariti. Com’è sparita Gemma. E adesso però chi si ricorda più, sia di Gemma che dei King. Anzi, dei King qualcuno si ricorda ancora per Love and pride, la loro hit, anche se The taste of your tears è molto più bella e struggente. The taste of your tears / tears me apart / the bittersweat salt cracks my heart / Il sapore delle tue lacrime mi lacera / Il sale agrodolce mi spezza il cuore.
Va be’, chissà allora se anche Raf ha sofferto per una ragazza. E comunque, a pensarci bene, chi se ne frega. Avrà anche sofferto, ma intanto lui si diverte. E pazienza se il divertimento a volte è una maschera. Le sue ragazze non sono certo maschere, ma sono di carne e ossa, verosimilmente più carne che ossa. Buon per lui.
Tommaso si prepara ormai a congedarsi da Raf, dai fratelli di Raf e dall’unica loro sorella, Paola, inseparabile compagna di Lucrezia durante le vacanze, dagli zii, dai bei paesaggi mediterranei, dalla gente affettuosa del paese, e anche dalle tante belle ragazze. Belle sì, ma a Milano c’è Lei…