Thriller – romanzo (127 pagine) – Chi avrebbe mai detto che la parte migliore della mia esistenza l’avrei vissuta da morto?
Il fantasma del cambusiere narra le vicissitudini di un fantasma scozzese scorbutico e misogino – Julian Moore – morto assassinato in casa, che vede all’improvviso il proprio cottage abbandonato preso in affitto da una bella donna inglese e dal fratello di dieci anni.
Lui, che in vita era un accreditato cambusiere sulle baleniere e con un carattere tutt’altro che socievole, dovrà fare i conti con inquilini rumorosi che, per colmo di sventura, sono persino incapaci di cucinare.
Il fantasma farà di tutto per mandarli via, però Lady Margareth è testarda e non vuole saperne di andarsene, soprattutto perché è in fuga. Qualcuno minaccia di ucciderla. Non solo: qualcosa tuttavia lega il fantasma alla donna visto che lei è l’unica che può sentirlo senza che lui lo voglia. Di sicuro c’è un segreto nella vita di Lady Margareth e un mistero attorno alla morte violenta di Julian Moore. Entrambi dovranno imparare a far conto uno sull’altra per riuscire a convivere e, soprattutto, a far luce sui troppi enigmi che li circondano.
CAPITOLO 1
Non c’è più tempo da perdere, devo fermarli! Vento, fulmini, tempesta, a me! Fuggite via marmaglia! Vi travolga la bufera come una gigantesca onda marina, non abbia pace il Monsignore che trattiene sulla testa l’assurdo tricorno, o il giudice che insegue il mantello. E voi, parenti manigoldi, che la mia furia vi precipiti nell’abisso più nero e il vortice vi consumi assieme ai vostri oscuri propositi.
– Che vento demoniaco è questo?
– Il fantasma! Il fantasma del vecchio Moore non ci vuole in casa sua!
Li sento belare come pecore impaurite e intanto penso a lei, che ha perso tutto eppure non si è data per vinta nemmeno di fronte al più pericoloso dei delinquenti.
– Eccoli che arrivano! – Il piccolo Jonathan sta di vedetta e allerta la ciurma.
Gli fa eco Mary – Siamo perduti. Oh Milady, non riusciremo mai a fermarli.
Nemmeno io riesco a immaginare un finale felice a tutta questa assurda storia; del resto, chi avrebbe mai detto che la parte migliore della mia esistenza l’avrei vissuta da morto?
Cominciamo dal principio, ovvero dal giorno del mio funerale. Non c’è cosa peggiore che assistere alle proprie esequie. Avevo la sensazione che mi stessero strappando la pelle di dosso. Prima ancora s’erano dati un gran daffare i cerusici, strana razza di macellai. M’avevano aperto da parte a parte, rovistando nelle viscere e togliendo ogni cosa per poi analizzarla alla luce delle lanterne, nemmeno fosse un vinello francese e intanto scribacchiavano indaffarati in quei loro caratteri cinesi, Dio sa cosa.
Terminarono facendo un bel lavoro di cucito con tanto di ritocco finale; vale a dire che mi spennellarono sul corpo una specie di unguento per rendermi presentabile a quei quattro gatti presenti alla funzione.
Onestamente non ero malaccio, anzi a ben vedere facevo ancora la mia figura: i capelli erano tutti al loro posto e nerissimi; i capelli sono molto per un uomo e anche i denti. Il becchino aveva fatto la bara più lunga di un paio di pollici perché sono alto. Ero alto. E con un gran bel fisico: atletico e scattante; anche per forza, sulle baleniere mica puoi saltare in coperta se hai l’agilità di una foca. Come minimo rischi di finire in acqua o arpionato per sbaglio.
Quelli delle pompe funebri poi, mi rivestirono meglio di un damerino, corpo di bacco! Spruzzarono persino del profumo, ma lo fecero per coprire l’odore di pesce che, se lavori su una baleniera, ti porti dietro fino alla tomba. Per l’appunto.
Non ero mai stato così elegante nemmeno all’appuntamento con Nessie. Se m’avessero portato da lei in quel momento, capace che m’avrebbe fatto gli occhi dolci senza accorgersi di nulla e come niente sarebbe di sicuro uscita con me anche così. Quella usciva con tutti.
Brutta storia quando mi calarono nella nuda terra. Non fece male, ecco se c’è una cosa buona è che non avvertivo dolore, né nulla. Solo tristezza. Vorrei vedere! Morire a trent’anni… puah, che cosa ridicola, che spreco.
Il vecchio reverendo, che per inciso pareva una salma ben più di me, prese a recitare qualcosa dalbreviario, ma nemmeno la ricordo più quella nenia.
Per tutto il tempo dell’omelia, me ne stetti sotto la quercia a guardare i miei compagni dell’ultimo imbarco: una dozzina di omaccioni della baleniera Dukas dall’aria rozza persino nei vestiti buoni, tutti scappellati e nessuno che piangeva. Per fortuna. Gli unici elegantoni erano il signor Hobbs primo ufficiale di bordo e i secondi, più a disagio e ancora storditi per l’accaduto, che commossi.
Non mi aspettavo certo una folla, eh. Del resto avevo passato in solitudine buona parte della vita e tenendomi alla larga dagli altri. Fratelli e sorelle? No, ero pure orfano e appena ne ebbi l’occasione, mollai quello schifoso lavoro alla conceria dove la puzza di pelle ti entrava nelle ossa, per imbarcarmi sulla prima goletta in partenza da Glenn Port.
Da allora ho passato quindici anni in mare.
Fiammetta Rossi nasce a Roma nel 1972. Dopo aver trascorso l’infanzia in Sud Africa torna in Italia e si laurea in Economia e Commercio.
Attualmente vive a Vigevano, cura una rubrica radiofonica dedicata ai libri per DeejayFoxRadio e collabora con il MassaCarraraNews. Ha pubblicato diversi racconti d’appendice con il Giallo Mondadori, una raccolta di favole dal titolo Ancora nonna! (Kimerik 2014), e i romanzi per ragazzi: La strana bottega del signor Balaji (Leucotea 2018), Breinen e il segreto della Fonte (Il seme bianco, 2019) e 200 ORE (Delos Digital, 2022).