Trama
Un grande thriller
Autrice del bestseller La ex moglie
Quando ho posato per la prima volta gli occhi su Westhill House, collocata in quella posizione mozzafiato a strapiombo sul mare, ho capito che io e jack avremmo potuto vivere lì per sempre. Ero certa che con un po’ d’impegno sarei riuscita a riportarla all’antico splendore. E ristrutturando la casa avrei potuto aggiustare anche le cose tra me e Jack. Lui, però, è troppo preso dal suo lavoro… Se non fosse per Lori sarei già crollata. È venuta qui in cerca d’aiuto e di un posto sicuro in cui rifugiarsi, ma adesso sono io ad avere bisogno di lei. Mi dà una mano e mi tiene compagnia e insieme, poco alla volta, stiamo scoprendo i segreti di Westhill House. Come i disegni infantili coperti dalla carta da parati o gli appunti nascosti sotto le assi del pavimento. Ho il sospetto che Lori sappia molto più di quello che dice… La domanda è: perché?
Un thriller in vetta alle classifiche
Era la casa dei suoi sogni
Finché questi non si sono trasformati in incubi
Hanno scritto di La ex moglie:
«Nel mare magnum dei thriller, bisogna pescare bene. Ecco un romanzo da leggere, arrivato in vetta alle classifiche.»
Il Venerdì di Repubblica
«Cupo ed enigmatico, tiene con il fiato sospeso fino al finale, che lascia a bocca aperta.»
Estratto
Per tutte coloro che sono sopravvissute alla violenza domestica
Prologo
Il cielo notturno era un campo di battaglia, folgorante per le collisioni di colori e fiamme. Le esplosioni crepitanti continuavano a farle sobbalzare il cuore. Le girava così tanto la testa che pensò che potesse scagliarsi nello spazio e scoppiare in un milione di pezzi scintillanti. Era una candela romana, un petardo, una fontana sfavillante di pioggia dorata.
L’aria era pregna di fumo, quel tipo sulfureo che si sente solo durante la Notte dei Falò, quello che filtra nei vestiti e si attacca ai capelli per giorni. L’odore le evocava ricordi d’infanzia: quando i vicini si ritrovavano nei loro giardini sul retro e lei scriveva il suo nome con le stelle filanti, pestando i piedi sul terreno per riportare in vita le dita. Le ricordava salsicce bruciate, cipolle fritte e ketchup. I papà che portavano con sé scatole di latta e scatenavano spettacoli pirotecnici fiacchi: girandole che non giravano, razzi che scoppiettavano e poi cadevano nel cespuglio di rose. Erano tempi semplici e innocenti, pensò lei. Ma adesso l’odore della polvere da sparo sarebbe stato per sempre associato a quella notte straordinaria.
Il terreno era morbido dopo giorni di pioggia. Si diresse verso la fine del giardino, l’erba alta bagnata le lambiva le caviglie, il fango le inzuppava la suola delle pantofole. Era strano che non riuscisse a sentire il freddo. Aveva il respiro accelerato e corto: il bambino era così grande che lei non riusciva a riempire i polmoni. Si appoggiò a un paletto della staccionata. Il nascituro diede un calcio, premendo il piede contro la parete dell’utero.
Bang, swoosh, ffsss, wiiiiii… Il cielo era in fiamme. Scintille calde tremolavano attorno a lei, illuminando la sua sagoma mentre camminava intorno al mucchio di compost, testando il terreno. Si accovacciò, lasciando che l’orlo della vestaglia sfiorasse il terreno umido, e raccolse qualche foglia morta, che la pioggia aveva trasformato in pacciame.
Sì, era il posto giusto. Nessuno era presente per assistere; erano tutti al parco. Avrebbero guardato il gran finale, si sarebbero fatti qualche altro giro sulle giostre e tra le bancarelle, poi si sarebbero dispersi lentamente, fermandosi a prendere le patatine o gli ultimi ordini. Una volta tornati a casa, sarebbero andati spediti a letto. Sarebbe potuta restare lì tutta la notte e non un’anima se ne sarebbe accorta.
Era una notte che lui aveva preannunciato, di cui era stata avvertita circa mille volte. L’ultimo attacco che stranamente lei voleva avesse luogo, ma solo perché non poteva più sopportare la tensione di non sapere quando sarebbe arrivato.
La paura che provava nei suoi confronti era costante, un tatuaggio su una parte del corpo che solo lui aveva mai visto. Nonostante i lividi, le bruciature e i segni dei morsi fossero sbiaditi, non sarebbero mai andati via del tutto. Per lui il suo corpo era un’opera in divenire. «Un giorno ti darò il colpo di grazia», diceva spesso, e non c’era motivo di dubitarne.
Un forte urlo trafisse l’aria. La donna alzò lo sguardo e vide un enorme
razzo che sfrecciava verso il cielo. Il fuoco d’artificio trattenne il respiro per un momento, poi esplose, schizzando il cielo con gocce di fuoco rosso sangue.
Il nuovo essere dentro di lei – sperava fosse una femminuccia – si tirò le ginocchia al petto.
«Sono solo i botti, stupidino», bisbigliò lei, accarezzandosi la pancia tesa. «Non devi avere paura. Siamo al sicuro ora».
Capitolo uno
Stella
Oggi
Mi rannicchio sotto la coperta e fisso il mare. Questa è la mia stanza preferita: una piccola torretta angolare arroccata in cima alla casa. Dalla finestra a golfo circolare si può ammirare il sole che si sposta da est a ovest. Sono così in alto, posso guardare direttamente l’acqua e ignorare tutti i segni dell’esistenza umana nel mezzo: le doppie linee gialle, la pensilina dell’autobus, la zona verde disseminata di panchine, i tetti delle cabine sistemate a zig-zag sulla spiaggia. Posso fare finta di essere in mezzo alla natura, circondata solo da fango, mare e cielo.
O meglio, potrei se il muratore non facesse tutto questo fracasso. Mi copro le orecchie in un inutile tentativo di attutire il rumore di tutti quei colpi. Va avanti dalla mattina, non v’è modo di sfuggirgli, nemmeno quassù. È dentro la mia testa, a martellare contro le pareti del mio cervello.
Questa piccola stanza nascosta sotto la grondaia è il punto più caldo della casa. Salgo fin qui ogni mattina, dopo che Jack è uscito per andare al lavoro, per osservare la marea avanzare e ritirarsi. A quanto pare, non riesco a stare lontana da quel panorama. Anche quando il mare è mosso e c’è una tempesta in arrivo, sembra comunque una vista pacifica rispetto a quello che sta succedendo di sotto.
Un frastuono di seghe, trapani, martelli, tonfi, cose che vengono distrutte e fatte a pezzi; la casa è un cantiere di demolizione, ma, a differenza del nostro muratore, alla fine della giornata noi non torniamo a casa. Da settimane siamo accampati in uno dei salotti al piano di sotto, con una caldaia inaffidabile e soltanto una doccia elettrica che gocciola. Fa così freddo che la sera non sopporto di togliermi i vestiti.
Gennaio è uno stupido periodo dell’anno per iniziare i lavori edili, ma non abbiamo avuto scelta. Ci sono voluti sei mesi per perfezionare l’acquisto della casa, perché il proprietario era un ente di beneficenza e gli amministratori hanno dovuto votare per ogni minima decisione. Poi non riuscivamo a trovare un muratore che fosse pronto a fare il lavoro per un prezzo che ci potevamo permettere. Alla fine, ho affisso un annuncio sulla bacheca dello spaccio locale e, per fortuna, Alan ha risposto. È un tipo a posto, ma è un factotum, quasi sessantenne, e non è l’operaio più veloce del pianeta.
Prima di trasferirci, ho creato delle tavole di stile per ogni stanza, con tabelle cromatiche e ritagli di tessuto, campioni di carta da parati, immagini di tappeti e impianti di illuminazione ricavate da riviste. Sapevo con esattezza come volevo che fosse ogni spazio,
quali mobili avremmo comprato e dove li avremmo posizionati. Ma dal nostro arrivo, il mio entusiasmo è scemato. Faccio fatica a immaginare i monolocali malridotti al primo piano trasformati in quattro camere da letto di dimensioni decenti. Più tempo trascorro nella tetra cucina anni Settanta, più mi è difficile visualizzare l’ampliamento luminoso e arioso che abbiamo intenzione di realizzare, con splendidi lucernari e porte a due ante.
Un gabbiano atterra sul tetto appena fuori dalla finestra, le sue piume oleose si increspano nel freddo. Tengo il mio sguardo fisso sull’orizzonte slavato e provo a ricatturare l’emozione che ho provato la prima volta che abbiamo visto la casa. Era giugno, uno dei giorni più caldi dell’anno. Il sole splendeva, il cielo era di un bel blu fiordaliso e la Manica scintillava come il Mediterraneo.
Non eravamo mai stati a Nevansey prima; sapevamo solo che era a pochi chilometri dall’elegante Whitstable con i suoi ristoranti di ostriche, gallerie d’arte e negozi vintage, e che le case erano molto più economiche. Abbiamo dato un’occhiata al molo sgangherato con i suoi chioschi di souvenir, la gigantesca giostra gonfiabile a forma di castello, e abbiamo capito il perché. La cittadina sarà anche stata una piacevole località balneare una volta, ma aveva ormai superato da un bel pezzo la data di scadenza.
Jack voleva fare dietrofront e tornare alla stazione ferroviaria, ma avevamo un appuntamento con l’agente immobiliare della proprietà e pensavo che sarebbe stato scortese non presentarsi. Avevo anche una strana sensazione segreta che, nonostante la zona non promettente, quella sarebbe stata “la casa”.
Ci siamo allontanati dalle sale giochi pacchiane e avviati per la strada del lungomare dall’altisonante nome di Promenade. Con quella calura estenuante, mi sentivo disidratata e rimpiangevo la bottiglia di birra che avevo bevuto con il mio fish and chips. Mentre risalivamo la collina, mi facevo aria con i documenti informativi della casa. Abbiamo superato diversi bungalow noiosi e mi sono domandata dove potesse essere Westhill House. Poi abbiamo imboccato una curva e tutt’a un tratto era di fronte a noi, meravigliosamente isolata su un ampio terreno d’angolo.
È stato amore a prima vista. Per me, almeno… non altrettanto per Jack. La casa sembrava persino più grande che nelle foto online. A doppia facciata, si ergeva fino a tre livelli. Otto camere da letto, quattro saloni al piano di sotto, una cantina, una veranda e un ampio giardino incolto. In necessità di una totale ristrutturazione, ma con il potenziale illimitato di trasformarsi in una splendida casa di famiglia, o almeno così dichiarava l’agenzia immobiliare. Siamo rimasti meravigliati, notando in silenzio la muratura in pietra crepata e le cornici marcescenti delle finestre, le tegole rotte intasate di muschio, le telecamere di sicurezza che penzolavano dalle pareti e la centralina di allarme arrugginita sopra la porta d’ingresso. Striature arancioni correvano lungo la sudicia facciata bianca come lacrime sul viso di un bambino.
«È perfetta», ho detto.
Jack ha sbuffato con sprezzo. «Il panorama è fantastico, te lo concedo, ma la casa cade a pezzi. Si papperà ogni centesimo della tua eredità».
«Non mi interessa», ho sussurrato. «È quello che avrebbero voluto per me».
Sono quasi le due, ancora nessun segno del furgone delle consegne. Dovrei andare in cucina e prepararmi il pranzo, ma Alan sta facendo così tanto rumore che non sentirò mai bussare alla porta. Con lo stomaco che gorgoglia per la fame, lascio riluttante la mia alta torre di guardia e scendo al primo piano.
Come al solito, Alan ha la radio a tutto volume, sintonizzata permanentemente sul passato. Canta, colpendo a tempo con il suo martello da fabbro. Faccio capolino dalla porta appena in tempo per vedere un tramezzo schiantarsi sul pavimento. Blocchi di intonaco si disperdono ovunque e una nuvola di polvere grigio-rosa sale nell’aria, facendomi tossire.
«Non entrare!», grida l’uomo sovrastando la musica. «È pericoloso. Il resto potrebbe cadere da un momento all’altro».
«Sto preparando il tè, ne vuoi anche tu?».
Alan fa un gran sorriso. «Non dico mai di no a un buon tè. Grazie, cara».
Lasciandolo ai suoi lavori di demolizione, scendo di un altro piano
verso la cucina, facendo una smorfia come sempre alla vista dei vecchi fornelli unti, il rivestimento di pino laccato e le piastrelle marroni aranciate. Metto su la teiera e faccio per prendere la scatola del tè quando sento il rumore di un veicolo che si immette nel vialetto.
Un freddo getto di aria di mare mi schiaffeggia in pieno viso appena spalanco la porta. Sui ciottoli incrinati è parcheggiato un furgone di medie dimensioni, su cui campeggia la scritta rosa SOGNI D’ORO in un font elaborato. Il conducente scende e viene verso di me.
«È questa Westhill House?». Annuisco con entusiasmo. Un secondo tizio esce e apre gli sportelli posteriori. «Un giroletto matrimoniale e un materasso in memory foam. Lo vuole montato, vero?»
«Sì, grazie. Al momento dormiamo al piano di sotto, quindi potete portarli qui, per favore». Sollevano il materasso e mi seguono nella nostra camera da letto di fortuna.
I loro sguardi guizzano sul disordine e mi sento arrossire per l’imbarazzo. Scatoloni sono impilati alle pareti e i nostri vestiti sono appesi a ganci come discutibili opere d’arte. Un cartone della pizza di ieri sera è rimasto abbandonato sulla scrivania; i cavi elettrici scorrono pericolosamente sul pavimento. Il materasso gonfiabile su cui ultimamente dormiamo è sfatto, e i panni sporchi sono ammucchiati in un angolo. Avrei dovuto riordinare prima che arrivassero, immagino… non che abbia mobili in cui riporre le cose…
Jess Ryder, ha lavorato per anni come sceneggiatrice e la sua passione è guardare serie TV investigative. Ha pubblicato numerosi libri di successo, molti dei quali per bambini e adolescenti, ma la sua vera passione sono i thriller. La Newton Compton ha pubblicato La ex moglie e I segreti di Westhill House.