L’opera descrive lo stato emotivo e i meccanismi tipici di chi vive un Disturbo Alimentare. Non si presta ad illustrare specificatamente i criteri diagnostici o terapeutici piuttosto si focalizza sui pensieri, le azioni e le sofferenze determinati da tali problematiche. Il testo ha lo scopo, quindi, di permettere a coloro che soffrono di questi disturbi di rispecchiarsi nelle dinamiche rappresentate così da sentirsi meno soli, pensando “allora questa cosa non succede solo a me”, e meno isolati, cogliendo anche possibilità di speranza e rinascita.
Senso di colpa per quello che hai fatto.
Senso di colpa per quello che non hai fatto.
Senso di colpa per quello che si farà dopo.
Quando si termina di abbuffarsi, lo stato di shock ti porta ad uno stato delirante ma anche
sorprendentemente depressivo in pochissimo tempo. Piangi. Piangi perché ci sei ricascata,
perché non ce l’hai fatta, non hai resistito, non sei stata abbastanza forte. Piangi perché ti
ritrovi punto e accapo, a ricominciare dall’inizio, a recuperare le forze per riandare in contro
alla guerra con la speranza di poterla vincere. Sei esausta. Non vuoi ripercorrere le stesse
battaglie tutte uguali, tutte ogni volta con lo stesso esito. Non senti le forze per lottare ancora
contro il mostro. In quei momenti, vuoi far vincere lui. Lo vuoi far vivere liberamente senza
più cercare di ucciderlo. Però, se vive lui, muori tu. E, in quello stato, di fronte all’ennesima
sconfitta, vuoi morire, mettere fine a quell’agonia. Sei stanca, distrutta, esausta, perché si
prova, si lotta, si riprova, e nel mentre soffri, non hai più il controllo di te stessa e della tua
vita. Una vita che è una finzione, che non esiste. Una vita a cui mettere fine.
Lo si vuole fare. Morire. Uccidersi. Mettere la parola fine a quella lotta quotidiana, a quella
sofferenza, a quella perdita totale di controllo. Mi butto? Non ce la faccio. Le vene? Si, quelle
vene che pulsano forti, sono gonfie. Richiamano alla vita. Una vita che non c’è, è confusa.
Meglio interrompere quel flusso vitale. Basta far scorrere un’anima che non può essere
libera. Ma non si ha il coraggio. Quella piccola luce di speranza ti guarda, lì giù, lontana.
Allora, chiudi gli occhi. Ti lasci andare. Ti abbandoni. Lo stato confusionale unito ai livelli
maligni biologici che quell’enormità di cibo ha alzato negativamente nel corpo, non fanno
capire più nulla. Crollare in una lunga fase dormiente senza accorgersene. Un intervallo di
tempo in cui il mostro è più tranquillo perché stato momentaneamente soddisfatto ed è
allora che la speranza cerca di farsi avanti. Quest’ultima ci sarà sempre, spingerà sempre al
risveglio, alla lotta. È per questo che si fa strada in questo momento di stallo perché si tratta
del lasso di tempo in cui il corpo riacquista le energie dopo la battaglia, possibilmente
pronto alla rinascita. La speranza ha fede nella persona ed è per questo che ci riprova adesso,
fiduciosa che le forze riacquisite possano bastare ancora.
Ilaria Iannucci nasce, vive e lavora a Roma. Laureatasi in Psicologia delle organizzazioni e gestione delle risorse umane e iscritta all’Albo A degli Psicologi Del Lazio, è funzionario analista di organizzazione presso la Pubblica Amministrazione. Attiva, dinamica e intraprendente, svolge attività di volontariato per gli
animali e la natura, in particolare nei canili, e si dedica alla scrittura nei suoi più svariati generi.
La sua esperienza di vita l’ha spinta a scrivere questo libro con la speranza di riuscire a far sentire meno sole persone che, come lei, hanno vissuto nell’ incertezza che genera un disturbo alimentare o che ne soffrono ancora.