La Missione del Cuore: Un’intensa confessione tra due solitudini nella Spagna in Guerra
Dopo Ricordo di un’isola, I soldati piangono di notte, nella sua prima traduzione italiana, è il secondo volume della trilogia di Ana María Matute: una delle maggiori scrittrici del Novecento spagnolo, amata da Mario Vargas Llosa e Julio Cortázar.
La guerra civile spagnola è giunta all’ultimo atto e Manuel, che ha trascorso anni in riformatorio per espiare colpe altrui, è tornato in libertà. «Sei troppo buono», gli hanno sempre detto tutti. Ma come sa fin da bambino, nessuno è buono e nessuno è cattivo. E lui chi è? Diviso tra un padre adottivo, José Taronjí, trucidato dai fascisti, e un padre naturale, il lupo di mare Jorge di Son Major, che lo ha riconosciuto soltanto in punto di morte, Manuel non lo sa più. L’unica cosa che sa con certezza è che ha una missione da compiere. Deve recarsi da Marta, la moglie di Alejandro Zarco, leader del bando repubblicano da tutti conosciuto come Jeza. L’uomo è stato giustiziato in carcere e lei, che dal momento dell’arresto del marito si è rifugiata nell’entroterra, è ancora all’oscuro di tutto. Quella che Manuel si troverà di fronte è una donna ancora bambina. Il loro sarà un incontro tra due solitudini che darà vita a una lunga, dolente confessione reciproca: anche Marta ha una storia terribile da raccontare, la propria, e lo farà con dovizia di particolari. Ritornano le atmosfere struggenti dell’isola di Ana María Matute, che diventa lo scenario di una storia vissuta da nuovi personaggi rimanendo però, inevitabilmente, la grande protagonista, con la sua bellezza remota di luogo sospeso nel tempo. E come la sua protagonista, questo romanzo, parte di un’opera fondamentale della letteratura spagnola, risplende.
«Un oscuro rancore lo invadeva, antico e segreto… Un rancore passivo e privo di rabbia, non scevro d’amore, lo trasformava. Aveva visto gli alberi perdere le foglie e liberarsi della corteccia; anche lui si stava lentamente, inesorabilmente spogliando della sua infanzia ingenua, dell’ultimo sopore del sonno».
È freschissimo di traduzione italiana il secondo capitolo della trilogia di Ana Marìa Matute, considerata tra le più grandi autrici spagnole del Novecento e apprezzata da Mario Vargas Llosa. È il seguito dell’indimenticabile Ricordo di un’isola ma ci si può avvicinare anche senza aver letto il primo volume perché si è trasportati in un altro tempo, con nuovi personaggi. Siamo all’epoca della guerra civile spagnola, che resta in sottofondo tranne in un’ultima tragica parentesi che chiude la storia. I protagonisti sono due: Manuel e Marta. Li accomuna la giovanissima età e una biografia spietata: entrambi sono venuti al mondo per sbaglio, mai desiderati e mai realmente amati. Manuel, il Manuelito “troppo buono” come gli ripetono tutti, è un figlio illegittimo. Il padre naturale, Jorge di Son Major, non l’ha riconosciuto se non in punto di morte. Sa Malene, la donna che l’ha partorito, rossa di capelli e ribelle di spirito, si è rifatta una famiglia e il marito Josè Taronjì ha cresciuto il bambino come fosse suo, per poi essere ucciso dai fascisti. Manuel riconosce come suo padre solo Josè Taronjì, ma la consapevolezza del rifiuto dal padre naturale gli brucia dentro, lo spinge a rigettare la definizione di “troppo buono” e ad unirsi ai ribelli. In una natura isolana, ubertosa e assolata, le atmosfere sono cariche di suggestioni, di colori e di profumi che stordiscono, nascondendo però anfratti di oscurità e di solitudine. Come quella che prova Manuel, al ricordo del vero padre che solo alla fine della vita si è ricordato di lui. La pietas che secondo tutti dovrebbe provare non riesce ad emergere ed è allora che il giovane si incarica di una missione: trovare Marta, per farle sapere della morte del suo compagno Jeza, conoscente di Josè Taronjì, imprigionato e poi ucciso.
“L’invisibile fuoco di settembre accendeva il chiostro, le foglie vellutate che non muoiono, come un sordo canto della terra”.
Il viaggio alla ricerca di Marta segna l’inizio della seconda parte del racconto. Le atmosfere cupe, che contrastano visibilmente con la luce accecante dei primi capitoli, dove sembra quasi di udire il frinire delle cicale, scandiscono la storia della ragazza. Anche lei è nata per errore, da una donna che si ostina a non invecchiare e da un italiano, un milanese bellissimo. Anche Marta è bellissima e per questo è rifiutata dalla madre, che teme il confronto con una creatura che sboccia sempre più. Marta vive repressa, letteralmente reclusa, come se non esistesse. Tutti le ripetono che è troppo stupida per qualsiasi cosa e lei ne è convinta, si adegua, fino a quando l’istinto di sopravvivenza prevale. Per non soccombere, per non impazzire, si sacrifica al primo venuto. Si dà a Raul, l’amante della madre che la porta con sé, tra alberghi sordidi e i ricordi di una vita sprecata, fino all’incontro con Jeza, il fratello di Raul. Una figura misteriosa, quasi messianica con la quale Marta avverte da subito un’affinità che va al di là del tempo, delle circostanze e delle miserie personali. Il grigiore umido, il sole che si intravvede solo come tramonto sono un’anticipazione dell’epilogo della storia, che condividono i due giovani: non ci può essere futuro per chi non ha passato.
I soldati piangono di notte è un racconto corale magistralmente scritto, con personaggi memorabili che si muovono sullo sfondo dei due soggetti principali eppure restano così vivamente impressi tanto da diventare parte stessa della personalità dei due protagonisti. La guerra civile è confinata allo sfondo, per scaturire solo in un drammatico affresco nella parte finale, narrata soprattutto attraverso le miserie dei personaggi. Lo stile è ricco, coinvolgente eppure pulito, non esiste una parola ridondante. Gli ambienti e le situazioni emergono dalle descrizioni più delle atmosfere e degli stati d’animo, un tratto distintivo di uno stile di scrittura che permette di entrare nel vivo della vicenda e di percepirne perfino gli odori e i rumori. Una caratteristica che si ritrovava anche in Ricordo di un’isola e che riconferma l’abilità narrativa dell’autrice.
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