Sette racconti scritti da sette autrici diverse, e dal modo di raccontare la storia si riesce a capire il loro stile.
Alcune storie mi sono piaciute più’ di altre…
“ Ci sono momenti, nella vita di una persona,che restano impressi per sempre,ricordi che si stratificano e ti rendono la persona che sei. C’è un prima e un dopo. Quello che sto vivendo è uno di questi istanti perfetti. La mia vita è cambiata. La consapevolezza mi riempie di forza e di un coraggio che non pensavo di possedere. Mi sento nuova, diversa, piena di energia. Diventerò madre e questa certezza apre scenari nuovi. Mi sento euforica, terrorizzata, felice. Mi sento viva in un modo che non riesco a spiegare”.
Cristina Caboni “La donna di ghiaccio”
Sono sette storie che descrivono i legami, e ci mostrano una realtà che quasi tutti hanno dovuto affrontare, affrontano o dovranno farlo.
Ci raccontano del più’ forte dei legami, quello tra una madre e una figlia: complicato, delicato e fragile, la prima sceglie di esserlo, mentre la seconda è messa al mondo senza averlo chiesto. Possono essere amiche e rivali.
“Mai, in tutta la mia vita, ho amato o amerò qualcuno tanto
quanto mia figlia. Non appena Lucia nacque, capii che
fino a quel momento non avevo mai amato veramente nessuno.
I miei genitori e i miei fratelli passarono – e uso questa
espressione per farmi capire da tutti – in serie B. Ed Enrique,
mio marito, passò in serie C. Non appena la vidi, la
mia vita si riempì di soli e di specchi in cui contemplarla in
continuazione. La sua faccetta rotonda, che con il tempo si
fece spigolosa, e i suoi occhi neri come stelle scure, il nasino
diritto e le labbra rosa e carnose erano un miracolo. Ed
era mia e soltanto mia. La chiamavo «il mio cioccolatino» e
«la mia fragolina» e me la mangiavo a furia di baci.”
Clara Sanchez “Il mio cioccolatino”
Una madre e una figlia nonostante abbiano lo stesso sangue, possiedono caratteristiche diverse e per questo nascono i conflitti…
Non è giusto che una madre senta il dovere di plasmare la figlia a suo piacimento obbligandola a fare quello che avrebbe desiderato lei da giovane solo perché l’ha partorita…i figli hanno una loro identità molto spesso diversa dalla nostra. Si può dar loro il nostro amore ma non le nostre idee.
“Lenora adesso stringe tra le mani una brioche enorme,
grondante di Nutella, quasi più grossa della sua testa.
«Mangia. Non preoccuparti dei soldi, sei tutta pelle e ossa,
mangia.»
Mangia.
Una cosa che sua madre non le ha mai detto. Mangia. Esce
dalla bocca di una sconosciuta gentile che ha capito subito
che quella che ha davanti è una ragazzina plagiata e denutrita
che mangia poco e di nascosto, e chissà chi l’ha ridotta in
quella maniera. E allora mangia.
Al primo morso la bocca si allaga di saliva.
Al secondo le fa male la lingua.
Al terzo anche le mascelle, ormai poco allenate, fanno fatica.
Al quarto le torna il colore negli occhi.
Al quinto si sente di nuovo viva. Sa che non morirà.”
Valentina D’Urbano “ Fame”
Ci raccontano di come alcune crepe si possano aggiustare con l’amore, le giuste attenzioni e la voglia di mettersi in gioco, e di come, purtroppo, alcune ferite rimangano aperte nonostante siano passati degli anni.
“L’ultima volta che la chiamai «mamma», Adua aveva ventotto
anni e io appena dieci, uno scarabocchio di bambina
dal corpo pesante affamato di carezze, felice soltanto quando
lei era nei dintorni, a segnare con i suoi baci il confine
del mondo conosciuto. Ancora oggi, mentre sediamo in silenzio
nella stanzetta della clinica che la ospita, vorrei sentire
in bocca il sapore rotondo di quella parola, madre, l’onda
di tenerezza che si porta dietro, ma poi mi rendo conto
che quel suono è morto tanto tempo fa, seppellito dall’assenza,
e soffiarci sopra il caldo della bocca sarebbe come
tentare di riportare in vita uno scheletro, ricavandone solo
la coscienza dolorosa dei propri limiti.”
Carmela Scotti “Adua”
Il piacere di ritrovarsi dopo un periodo difficile e di cercare insieme un giusto equilibrio per far sì che le cose funzionino…
Ci raccontano della difficoltà di diventare mamma, nonostante la gioia iniziale, ti fa realmente capire che è normale non sentirsi all’altezza, pensare di non farcela, sentirsi stanche e desiderare del tempo per se stesse e non bisogna assolutamente sentirsi in colpa nel pensare tutto ciò: siamo esseri umani e abbiamo le nostre fragilità! La perfezione non esiste.
“ Mi sono fermata a guardarlo. Era mio figlio. Eppure un estraneo. (…)
Ioan la mattina del Giorno Zeta non smetteva di piangere.
Prima di uscire l’ho lasciato contorcersi per un po’ nella
culla e ho acceso l’aspirapolvere, confidando nel suo potere
calmante. Ma è stato inutile. Ho lasciato la casa che erano
passate da poco le dieci e l’ho fatto anche per sfuggire
dai miei pensieri. Quando ho aperto la porta, ho avuto
l’impressione che si spalancasse un precipizio. Nell’afferrare
i manici della carrozzina, mi è venuto in mente un deltaplano
e ho pregato che non ci lasciasse precipitare.
Ioan ha continuato a piangere per strada e, da dietro gli
occhiali, ho cominciato a farlo anche io. Mi sono fermata
nel bagno di un ristorante per cambiarlo. Chiusa lì dentro,
nessuno avrebbe potuto vedere con quali gesti bruschi e
spazientiti ho compiuto quell’operazione. Nemmeno allora
ha smesso di lamentarsi, e non era per fame che continuava.
Mi sembrava un rimprovero, o un dispetto. Il bisogno di
affermare la sua presenza nella mia vita, la minaccia di possedermi
interamente, e per sempre.”
Simona Sparaco. “Il giorno zeta”
Sette racconti che parlano di ribellione, cambiamenti, confronto e ostilità, legami difficili ma che durano per tutta la vita.
Io sono figlia e madre, da figlia posso dire che non ho un rapporto idilliaco con mia madre, non la sento tutti i giorni, non è la mia confidente ( come avrei voluto che fosse) ma forse è anche colpa mia. Crescendo abbiamo preso le distanze, noi non riusciamo a stare molti giorni insieme, sotto lo stesso tetto. Non riesco a capire da cosa dipenda, se da divergenze di opinioni o perché sono andata via da casa mia quando ero troppo giovane. Con questo non vuol dire che io non le voglia bene o lei non ne voglia a me. Il bene a volte si manifesta sotto varie sfaccettature, noi siamo riuscite a trovare il nostro giusto equilibrio.
Quando sono diventata madre, però qualcosa è cambiato nel nostro rapporto, mettendomi nei suoi panni e analizzando la sua situazione ho capito le difficoltà che ha trovato nel crescere tre figli, nonostante la depressione.
Se ha commesso degli sbagli, non sono stati voluti, comprendo la difficoltà che ha trovato nel gestire una famiglia.
Io che mamma sono? Di certo non sono una mamma perfetta, quando le mie bimbe erano piccolissime e la notte non dormivano, ho avuto i miei momenti di sconforto,di inadeguatezza, ho avuto i miei pensieri che accomunano tante mamme e del quale non devono assolutamente vergognarsene o sentirsi in colpa, ho desiderato ardentemente qulche ora in piu’ di sonno, per fortuna quel periodo, anche se pur bello è passato. Ora che sono cresciute, le difficoltà non mancano, però cerco di essere una mamma presente, tento di capire i miei sbagli e di impegnarmi a migliorare giorno dopo giorno, anche se non è un compito facile! Essere genitori è un’impresa difficile: genitori non si nasce, si diventa giorno dopo giorno con l’aiuto dei propri figli. Le mie figlie, per me, sono delle grandi maestre di vita, sono cresciuta con loro, mi hanno fatto conoscere le varie sfaccettature positive e negative del mio carattere e mi hanno fatto conoscere i miei limiti.
Qual è il mestiere piu’ difficile? Secondo me fare i genitori, perché abbiamo il destino dei nostri figli nelle nostre mani, e crescerli bene significa migliorare la società in cui viviamo.
Un libro molto veritiero, scorrevole, emozionante, coinvolgente e la bravura delle autrici non si smentisce…
Lo consiglio a tutti.
Sinossi
Nulla può spezzare il legame speciale che si crea in nove mesi, quando è solo un filo a unire due vite. Un legame che si fa ancora più forte quando finalmente le mani si stringono e ci si sente al sicuro l’una nelle braccia dell’altra. Gli anni passano, le certezze si modificano, i baci cambiano il loro sapore. Si diventa amiche, complici, confidenti. Si piange e si ride all’unisono. A volte la parola «insieme» fa paura e ci si ritrova nemiche, rivali. Ci si scambiano frasi che bruciano dentro e si chiudono porte che non si apriranno mai più. Ma si resta per sempre madri e figlie. Per sempre. È così per Isabella, che ha messo in pausa la sua vita per seguire le ossessioni di Virginia e sin da piccola è cresciuta nella sua ombra. È così per la giovane Lenora, che non riesce a essere mai abbastanza perfetta per Veronique e il modello di figlia che ha in mente. C’è Cara, che ha paura dei cambiamenti e dell’influenza che possono avere sulla piccola Vita, e c’è Lucia che, con il suo arrivo, ha scombussolato in modo inatteso e totalizzante il destino della donna che l’ha messa al mondo. E poi Adua, che si è persa e vive una vita a ruoli invertiti con la figlia, e Ioan, che ha bisogno di un gesto materno che fatica ad arrivare. Infine Barbara, sorpresa da una gravidanza che le fa scoprire cose inaspettate di sé stessa. In sette racconti, sette autrici si confrontano su temi universali come la maternità e l’essere figli. Sette storie di cambiamento, ribellione, sfida, disamore. Sette donne, sette sensibilità diverse unite dal talento innato per la scrittura: Federica Bosco, Cristina Caboni, Valentina D’Urbano, Evita Greco, Clara Skichez, Carmela Scotti e Simona Sparaco. Una raccolta che mette a nudo le dinamiche reali ed emozionanti di una delle relazioni più difficili e durature di tutta la vita. La traduzione del racconto di Clara Sanchez “Mi bombón de chocolate” è di Enrica Budetta.