TRAMA
Sono donne dei nostri giorni, quelle di Dacia Maraini. Combattono una battaglia antica e attuale contro gli uomini amati che troppo spesso si rivelano incapaci di crescere, confondono la passione con il possesso e, per questo, l’amore lo rubano. Sono donne come Marina, che si ostina a cadere dalle scale; Ale, che sceglie di non far nascere il frutto di una violenza; o Angela, che sopporta una gelosia mostruosa in silenzio. Otto storie affilate e perfette, capaci di emozionare e indignare, che raccontano il nostro mondo, diviso fra chi conosce il rispetto e chi, con antica arroganza, considera l’altro un oggetto. Un libro forte e importante, che alza un velo su ciò che troppo spesso finisce nell’oblio.
ESTRATTO
Sono donne dei nostri giorni, quelle di Dacia Maraini. Combattono una battaglia antica e attuale contro gli uomini amati che troppo spesso si rivelano incapaci di crescere, confondono la passione con il possesso e, per questo, l’amore lo rubano. Sono donne come Marina, che si ostina a cadere dalle scale; Ale, che sceglie di non far nascere il frutto di una violenza; o Angela, che sopporta una gelosia mostruosa in silenzio. Otto storie affilate e perfette, capaci di emozionare e indignare, che raccontano il nostro mondo, diviso fra chi conosce il rispetto e chi, con antica arroganza, considera l’altro un oggetto. Un libro forte e importante, che alza un velo su ciò che troppo spesso finisce nell’oblio.
Marina è caduta per le scale
Il giovane dottore Gianni Lenti se ne sta seduto sullo sgabello del Pronto Soccorso con in mano un bicchiere di polistirolo pieno di caffè. Incollati alle orecchie ha gli auricolari da cui sgorga una musica dolce, di tipo orientale, di quelle che lui preferisce. Gli ricorda i quadri di Gauguin di cui ha visto recentemente una mostra. Donne a piedi nudi coi fiori fra i capelli, cavalli azzurri che riempiono l’orizzonte, palme dalle grandi foglie ciondolanti che si indovinano profumate e morbide.
Oggi finalmente si respira. Solo un ictus in tutta la mattina. Meno male. Quasi quasi me ne vado a prendere un gelato, si dice. Ma proprio in quel momento vede aprirsi la porta a vetri. Davanti a lui una ragazzina dagli zigomi sporgenti, i lunghi capelli castani, avanza trascinando un braccio evidentemente spezzato.
«È finita la pacchia» mormora andandole incontro. Ma che cavolo le è successo, manco le fosse andato addosso un camion. È tutta coperta di lividi e il braccio penzola da una spalla rigida.
«Ha detto di essere caduta dalle scale» commenta acida Ada l’infermiera, «te ne occupi tu?»
«Che scale?»
«E che ne so? Non parla. D’altronde nessuno le ha chiesto i dettagli del ruzzolone. Una firma, i documenti e basta.»
Il dottor Gianni Lenti la guarda attentamente. Gli pare di averla già vista.
«Ma lei non è venuta un’altra volta qui al Pronto Soccorso con due costole rotte e un sospetto di strangolamento?»
Marina Savina – questo il nome scritto sulla cartella d’ingresso – scuote il capo con aria testarda. Ma non ha il coraggio di reggere lo sguardo del dottore che sembra dire: sì che sei tu, ti riconosco.
«Cosa è successo?» chiede lui continuando a fissarla.
«Sono caduta dalle scale» risponde lei ma con un filo di voce, cocciuta, assente, tenendo gli occhi bassi.
«Neanche ti fossi buttata dalla finestra!» insiste lui. «Chi ti ha spezzato questo braccio?»
Nessuna risposta.
Il dottore la affida alla collega per la radiografia. Intanto prepara le stecche e le bende per l’ingessatura. Marina Savina affronta con coraggio il dolore. Stringe i denti e guarda da un’altra parte quando il dottorino le tira il braccio rotto, quando glielo fascia con il gesso bagnato, quando le tocca il naso, da cui esce il sangue, per vedere se c’è qualcosa di rotto anche lì.
«Il naso è a posto» dice con voce gentile ma anche stizzita. Ormai ne ha viste troppe di donne che vengono al Pronto Soccorso coperte di lividi e dichiarano che sono cadute dalle scale. «Dovreste inventare qualcosa di più originale» commenta accompagnandola alla porta. Quella ragazza magrissima e tutta occhi gli mette tenerezza. È il suo silenzio però che trova inquietante. Un silenzio di complicità, di paura, di difesa, di resa?
«Come vai a casa adesso?» aggiunge con voce preoccupata. Ma lei non risponde. La vede allontanarsi a piedi lungo il marciapiede affollato col braccio al collo, la borsa povera, di finta pelle, appesa alla mano libera. Si muove lesta, un poco legnosa, come una bambina timida e fiera, pensa il dottore mentre la vede scomparire tra la folla.
Circa un mese dopo, il dottor Gianni Lenti se ne sta seduto vicino alla finestra lamentandosi per il caldo. L’estate sembra essere arrivata tutta d’un tratto portando afa e sudore. Ha sempre alle orecchie gli auricolari e ascolta la stessa musica delle isole lontane che gli ricorda i quadri di Gauguin. È talmente stanco che quasi non riesce ad ascoltare le sue note predilette. In mattinata ci sono stati due incidenti d’auto con gambe rotte, bacini dissestati, un ictus, due infarti e due casi di demenza senile.
«Oggi proprio non si respira» dice guardando la porta del Pronto Soccorso che si apre e si richiude lenta su se stessa con un lamento flebile. E proprio mentre prova a concentrarsi sulla musica hawaiana pensando al fresco di una palma azzurra da cui pendono dei frutti gialli bagnati dalla rugiada, vede entrare una ragazza che si fa strada zoppicando e perdendo sangue dal naso.
Cavolo! si dice riconoscendo la tipa dal braccio rotto che era venuta il mese scorso. Ora quel braccio non porta più l’ingessatura e ciondola un poco rattrappito lungo il fianco. Ma la ragazza zoppica vistosamente e la faccia è coperta di ecchimosi. Dal naso, che tiene tamponato con un fazzolettino azzurro, cola copioso il sangue.
«Sei caduta ancora una volta dalle scale?» le chiede aggressivo e scherzoso.
Un piccolo sorriso increspa le labbra violacee della ragazza.
«Oh, finalmente ti vedo ridere. Tuo padre ti picchia, di’ la verità» aggiunge prendendola per un braccio e portandola verso la saletta attrezzata. Ma lei non risponde, chiusa com’è in un mutismo rabbioso e umiliato.
«Vabbè, non importa, se non vuoi rispondere, peggio per te… Fai un po’ vedere…» La ragazza si sfila con gesto timido la camicetta rosa mettendo a nudo una spalla su cui spiccano dei segni di frusta e il collo coperto di lividi. Il dottorino osserva con un misto di pietà e di tenerezza quella canottierina scolorita dai tanti lavaggi, con due gore sotto le ascelle.
«Chi ti concia così? Devi parlare. Non puoi continuare a dire che sei caduta dalle scale, nessuno ti crede più. Perché non parli?»
La ragazza solleva su di lui uno sguardo timido e furioso. Come a dirgli di stare zitto, di non impicciarsi, che quelli sono affari suoi.
Il dottor Gianni Lenti alza le spalle scoraggiato. Quindi la tira per un braccio, delicatamente, verso la finestra. Non osa dirle di togliersi la canottiera. Sotto non porta niente. Le scosta la bretella per osservare una ferita sulla spalla. Poi, con pazienza, afferra una garza con la pinza, la immerge in un liquido color ruggine e la passa sulla lesione.
«Ma qui ce n’è un’altra sotto l’orecchio. Con che cosa ti ha picchiata?» le chiede sapendo già che non avrà risposta. «Un bruto, ma proprio un bruto e tu non hai il coraggio di denunciarlo. Ma questa volta lo faccio io per te» dice indignato il dottor Gianni Lenti, che avrebbe preferito ascoltare la sua musica dalle onde caramellose piuttosto che affrontare questa ragazzina che sembra cieca e sorda.
Le osserva la faccia piccola, pulita, inaccessibile. Una ruga le taglia la fronte in due, proprio fra un occhio e l’altro, dall’attaccatura dei capelli verso il naso come una cicatrice.
È il solo segno di un cruccio che la abita. Per il resto sembra la faccia liscia e impenetrabile di una bambola.
Il dottore la osserva indispettito, pur ammirando il coraggio con cui affronta le cure dolorose. Da quella bocca piccola e serrata non esce un solo lamento. Ora ha finito di pulire le ferite. Prende in un cassetto di metallo dei cerotti e si appresta a coprire le piaghe.
«Per fortuna non c’è stato bisogno di punti. Ma sei piena di lividi. Ti do una crema, prendi. Usala, a casa, questa sera.»
La vicinanza di quel corpo gli mette addosso una strana sensazione di tenerezza. Voglia di proteggerla, pensa. Quasi fosse una figlia. Curioso che da quel corpicino martoriato non salgano odori di sudore, di sporco. Deve essere povera ma pulita, si dice il dottor Gianni Lenti avvertendo nelle narici un leggero sentore di sapone e mentuccia.
«E questa cos’è?» dice scostandole un poco i capelli sulla nuca. Un’altra ferita, che non aveva visto.
«Qui ci vogliono dei punti… aspetta… ti metto dell’anestetico, ma un poco di dolore lo sentirai lo stesso, ce la fai?»
La ragazza volta il capo dall’altra parte e stringe le labbra.
L’ Autrice
Dacia Maraini è una delle autrici viventi fra le più attive e impegnate dell’ultimo secolo. Nata a Fiesole il 13 novembre del 1936, protagonista di una vita frenetica, conta una produzione letteraria come poetessa, romanziera, saggista, drammaturga e sceneggiatrice, scrivendo, inoltre, racconti per bambini e impegnandosi nella promozione delle più varie iniziative culturali, anche quelle dei piccoli editori nascenti negli ultimi decenni.