Trama
Estremi rimedi è il romanzo d’esordio di Thomas Hardy, in cui già si dispiegano tutti gli elementi che faranno la fortuna del suo autore: l’ispirazione gotica, un intreccio impeccabile, la magistrale caratterizzazione dei personaggi. Protagonista di questa storia è la giovane Cytherea Graye: rimasta orfana, la ragazza decide di trasferirsi con il fratello Owen in un’altra città, per trovare una casa e un lavoro e ripartire da zero. Qui, i due conoscono Edward Springrove, un collega di Owen, di cui Cytherea si innamora. Dopo vari tentativi andati a vuoto, la ricerca di un lavoro va a buon fine, e la protagonista viene assunta come dama di compagnia presso una ricca signora, Miss Adclyffe, il cui passato, si scoprirà poi, è legato romanticamente a quello della famiglia Graye. Tra le due donne si stabilisce un rapporto a metà strada fra l’affetto, la protezione, la devozione e la gratitudine reciproca. Proprio durante il soggiorno in casa della signora, Cytherea viene a sapere che non lontano da lì vive la famiglia del suo amato Edward, che però è già promesso a un’altra donna. Delusa e sconcertata, la protagonista decide di dimenticarlo: è a questo punto che entra in scena Manston, personaggio misterioso inspiegabilmente protetto e spalleggiato da Miss Adclyffe, il quale intraprende nei confronti della ragazza un lungo e bizzarro corteggiamento.
L’intreccio narrativo, finora concentrato sul ritratto dei personaggi, si fa da qui in poi vivace e ricco di colpi di scena: incendi, fughe nella notte, inganni, suspense, persino un omicidio, fino alla conclusione, degna della migliore tradizione dei “sensation novels”, cui Hardy si ispirò per costruire questo suo primo romanzo, affermandosi subito come una delle voci più brillanti della narrativa inglese.
«Hardy eguaglia scrittori come Shakespeare, Sofocle e Tolstoj per la capacità di inserire i piccoli gesti dei suoi protagonisti all’interno del grande disegno della natura».
D.H. Lawrence
«È innegabile l’abilità di Hardy – l’abilità del vero romanziere – di farci credere che i suoi personaggi siano persone come noi, guidate dalle proprie passioni e idiosincrasie; al contempo – e questo è il dono del poeta – in loro vi è un qualcosa di simbolico che ci accomuna tutti».
Virginia Woolf
Estratto
Anche se l’evento che si verifica più spesso in natura è
una serie di avventure connesse l’una all’altra solo perché
sono avvenute alla stessa persona e dato che il campo
d’azione dello scrittore di avventure è superficiale,
da lui si esige qualcosa di più di una facile conformità
alla semplicità della natura.
SIR WALTER SCOTT
Capitolo 1
Gli avvenimenti di trent’anni
1. Dicembre-gennaio 1835-1836
Nella lunga e intricata serie di circostanze per cui vale la pena ricordare alcune delle esperienze di Cytherea2 Graye, Edward Springrove e altri, il primo avvenimento che tocca direttamente la nostra storia è una visita di Natale.
Nel summenzionato anno milleottocentotrentacinque, Ambrose Graye, un giovane architetto che aveva appena iniziato la pratica professionale a Hocbridge, una cittadina dell’interno, si recò a Londra per trascorrere le vacanze di Natale insieme a un amico che viveva a Bloomsbury. Avevano iniziato Cambridge nello stesso anno e, dopo essersi laureati insieme, Huntway, l’amico, aveva preso gli ordini.
Graye era attraente, schietto e gentile. Aveva una volubilità di pensiero che, esercitata sulla semplicità, diventava umorismo; sulla natura, diventava bizzarria; sull’astrattezza, poesia. Essendo egli, di regola, una persona con una grande varietà di interessi, aveva tutte e tre queste qualità.
Della cattiveria del mondo era fin troppo immemore. Per la maggior parte delle persone scoprire il male in un nuovo amico è solo un’esperienza in più; per lui era sempre una sorpresa.
Durante la permanenza a Londra fece la conoscenza di un ufficiale della Marina in pensione di nome Bradleigh che, insieme alla moglie e alla figlia, viveva in una stradina non lontana da Russell Square. Anche se godevano solo di un modesto benessere, la moglie del capitano proveniva da un’antica famiglia il cui albero genealogico era intrecciato con alcuni tra i più illustri e conosciuti del regno.
La giovane donna, la figlia, sembrò a Graye la creatura di gran lunga più bella e regale che avesse mai visto. Aveva all’incirca diciannove o vent’anni e si chiamava Cytherea. In realtà non era molto diversa dalle ragazze di campagna che avevano quel tipo di bellezza, se non per un particolare. Lei aveva dei modi e un portamento perfetti, loro no. Una caratteristica semplicemente distintiva, saltando all’occhio, viene spesso interpretata come la particolarità dominante ed ella gli apparve come l’assoluta perfezione, superiore sotto tutti i punti di vista alle sue rivali rurali. Graye fece una cosa in cui il rischio era l’unica macchia nella sua assoluta beatitudine: l’amò a prima vista.
Nel corso della prima settimana dopo il suo arrivo a Londra le sue conoscenze lo avevano messo in contatto già due o tre volte con Cytherea e con i suoi genitori; durante la settimana seguente il caso e l’astuzia dell’innamorato li fecero incontrare di nuovo con altrettanta frequenza. Ai genitori il giovane Graye piaceva e dato che avevano pochi amici (perché le persone simili per sangue avevano una posizione sociale superiore), venne ricevuto con grande generosità. La passione per Cytherea diventò indicibilmente forte; la ragazza, pur non incoraggiandolo in modo diretto, acconsentiva tacitamente ai suoi espedienti per starle vicino. Il padre e la madre sembravano aver perduto ogni fiducia nella nobiltà per diritto di nascita senza la presenza del denaro che la realizzava e guardarono alle future conseguenze delle occhiate reciproche tra i due giovani con tranquillità, se non addirittura favore.
Il sogno delizioso di Graye ebbe fine con un episodio triste e inspiegabile. Dopo tre settimane di dolci sensazioni, era arrivato all’ultimo stadio – una specie di Gaza morale3 – prima di piombare in un deserto emotivo. Correva la seconda settimana di gennaio ed era necessario che il giovane architetto lasciasse la città.
Mentre aveva frequentato la signora del suo cuore aveva notato nell’amore della ragazza questa distinta particolarità: era felice della sua presenza, come dovrebbe esserlo un’innamorata, e tuttavia fin dal principio aveva evitato di riconoscere la vera natura del legame che li univa, rendendosi cieca al suo significato e alla sua più che naturale tendenza, e sembrava temere che lui li rendesse espliciti. Pareva che il presente le bastasse, senza bisogno di costruire la speranza: di solito anche se l’amore è in se stesso un fine, deve essere considerato come un principio da godere.
Malgrado fossero stati addotti pretesti a mo’ di ostacolo e, anzi, proprio da questi pungolato, non volle più posticipare la faccenda. Era sera. La condusse in una piccola serra sul pianerottolo e lì, tra i sempreverdi, alla luce di alcune piccole lampade che facevano risaltare la freschezza e la bellezza delle foglie, le dichiarò un amore altrettanto fresco e bello.
«Amore mio… mia cara, sia mia moglie!».
«Adesso dobbiamo separarci», rispose lei, con voce addolorata. «Le scriverò». Liberò la mano e corse via.
In preda a una folle frenesia, Graye andò a casa e vegliò fino al mattino seguente. Chi è in grado di esprimere la sua infelicità e lo stupore quando gli fu messo in mano un biglietto contenente queste parole?
«Addio; addio per sempre. Come fidanzati ufficiali qualcosa ci divide per l’eternità. Mi perdoni; avrei dovuto dirglielo prima, ma il suo amore era dolce! Non mi nomini mai».
Proprio quel giorno, e sembrò una decisione presa per mettere fine a una situazione penosa, la giovane lasciò Londra insieme ai genitori per andare a trovare, come promesso, un parente che viveva in una contea occidentale. Nessun messaggio né lettera di supplica riuscirono a ottenere da lei una spiegazione. Lo implorava di non seguirla e la cosa più stupefacente era che il padre e la madre sembravano, dal tono di una lettera che Graye ricevette da loro, ugualmente afflitti e tristi per questa improvvisa rinuncia. Una cosa era evidente: senza riconoscere la validità del motivo della figlia, conoscevano la natura del motivo e non intendevano rivelarla.
Una settimana dopo Ambrose Graye lasciò la casa dell’amico Huntway e non vide mai più l’amata di cui piangeva la partenza. Di tanto in tanto l’amico rispondeva alle domande che Graye gli poneva per lettera e che riguardavano la ragazza. Ma per un innamorato le notizie della donna amata ricevute attraverso il filtro di un amico rappresentano un cibo assai poco nutriente. Huntway non era in grado di riferire nulla di definito. Riteneva che in precedenza ci fosse stato un amore tra Cytherea e il cugino, un ufficiale di Marina, due o tre anni prima che Graye la conoscesse, improvvisamente troncato dalla partenza del cugino per l’India; per tutta l’estate seguente la giovane donna aveva viaggiato per il continente insieme ai genitori a motivo della salute cagionevole. Alla fine Huntway riferì che le circostanze avevano reso l’amore di Graye ancora più impossibile. La madre di Cytherea aveva inaspettatamente ereditato una grossa fortuna e delle proprietà nell’Inghilterra occidentale a causa della scomparsa di alcuni eredi intermedi. Questo li aveva portati a traslocare dalla piccola casa di Gower Street e, a quanto pareva, a rinunciare alle antiche amicizie di quella zona.
Il giovane Graye concluse che la sua Cytherea aveva dimenticato sia lui che il suo amore. Lui però non riusciva a dimenticarla.
2. Dal 1843 al 1861
Otto anni dopo, sentendosi solo e depresso – non aveva parenti, conosceva molte persone, ma non aveva amici – Ambrose Graye incontrò una giovane donna di diverso genere, fornita di molto denaro e tante buone doti. Dopo la perdita di Cytherea gli era assolutamente impossibile amare profondamente un’altra donna. Le belle cose del mondo ci diventano più preziose quando eludono la nostra ricerca; ma per certi caratteri la fuga è l’unico evento che renderà eterno e permanente un amore passeggero.
Questa donna e Graye si sposarono. Che egli non abbia amato, né prima né dopo, la moglie come avrebbe dovuto era noto a tutti; ma pochi sapevano che il suo cuore indomito non riuscì mai a smettere di rimpiangere inutilmente la perdita del suo primo ideale.
Il suo carattere peggiorò alquanto, come accade alle nature emotive sottoposte a una lunga delusione per aver perduto il destino che si erano immaginate. E così, benché fosse di indole naturalmente gentile e gradevole, finì per non essere più oggetto dell’affetto dei conoscenti, com’è destino per alcune di queste persone. La simpatica e sanguigna suscettibilità della giovinezza si trasformò gradatamente in un nervosismo intrattabile e quando non immaginava prospettive legate a una speranza infondata, era vittima di una depressione indescrivibile. Il risultato pratico di questa condizione fu la sconsideratezza, all’inizio quasi inconsapevole, perché ogni debito contratto era stato mentalmente ripagato, con esattezza scrupolosa, con i patrimoni di aspettativa di cui si è detto. Ma con il passare degli anni, proseguì per la stessa strada, poiché gli mancava lo spirito necessario a deviare da un vecchio cammino anche quando si scopre che conduce verso il disastro.
Nell’anno milleottocentosessantuno la moglie morì, lasciandolo vedovo con due figli. Il maggiore, un maschio di nome Owen, appena diciassettenne, fu tolto da scuola e iniziato come apprendista alla professione di architetto nell’ufficio del padre. La femmina era più giovane di Owen di un anno.
Si chiamava Cytherea ed è facile indovinare perché.
3. Dodici ottobre 1863
Tralasciamo due anni per giungere al successivo evento cardine della storia. La scena è ancora la cittadina natia di Graye, Hocbridge, un lunedì pomeriggio del mese di ottobre.
Il tempo era soleggiato e secco, ma l’antico borgo mostrava uno dei suoi aspetti meno simpatici. Prima di tutto a causa dell’ora. Era quel momento stagnante della giornata in cui la luminosità del giorno, sfuggita alle ombre lunghe e fresche e alla novità vivificante della mattina, non ha ancora fatto percettibili passi avanti per acquisire quelle sfumature morbide e rassicuranti che ne adornano il declino. Inoltre, era quella fase della settimana nella quale l’attività lavorativa – che, intrapresa dietro i frontoni di un’antica residenza di campagna, non è priva di una scintilla romantica – è quasi conclusa. Infine, la cittadina aveva decisamente l’intenzione di rendersi attraente mostrando al pubblico che affluiva il talento drammatico locale per la recitazione, e le cittadine di provincia che cercano di essere vivaci sono la cosa più noiosa del mondo.
Le cittadine di provincia assomigliano ai bambini piccoli nel senso che sono più interessanti quando mostrano le loro caratteristiche innate senza sapere di essere osservati. Scoprendosi guardati cercano di essere divertenti facendo i buffoni e producono caricature sgradevoli che li deturpano.
Il quadrante macchiato dalle intemperie dell’orologio del basso campanile della chiesa che si trovava all’incrocio delle tre strade principali comunicava al municipio di fronte che erano le due e mezza: l’annunciata lettura da Shakespeare stava per cominciare. Vennero
aperte le porte della sala comunale e le persone che si erano già radunate all’interno dell’edificio osservarono l’entrata dei nuovi arrivati: gli abiti furono silenziosamente criticati, l’autenticità dei denti e dei capelli venne messa in dubbio, la disponibilità finanziaria di ognuno valutata.
Tra questi ultimi spettatori giunse una fanciulla eccezionale che brillava in mezzo alla banalità come un singolo papavero rosso spicca in mezzo a un campo di stoppie brune. Indossava un’elegante giacchetta scura, un vestito color lavanda, un cappello con decorazioni e nastri grigi e guanti in tinta. Risalì con leggerezza il corridoio laterale della sala, lanciò intorno a sé un’occhiata sprezzante e si accomodò nel posto che le veniva indicato.
La ragazza era Cytherea Graye e aveva ormai diciotto anni. Durante il suo ingresso, e varie volte mentre stava seduta e ascoltava il lettore sulla pedana, il suo aspetto costituì un interessante oggetto di studio per gli sguardi di molti vicini Il viso era molto attraente, benché artisticamente meno perfetto della figura che era assai vicina ai dettami della perfezione. Ma anche questa caratteristica cedeva la palma alla grazia dei movimenti che erano affascinanti e assolutamente deliziosi.
In effetti il movimento era la particolarità che la contraddistingueva, sia che si mostrasse su larga scala negli atteggiamenti del corpo che nei particolari, come nel sollevarsi delle palpebre, nel flettersi delle dita, nel broncio del labbro. Il portamento della testa – un movimento all’interno di un altro movimento – un movimento fluido su un altro movimento fluido – era delicato quanto quello di un ago magnetico. E questa flessibilità ed elasticità non le erano mai state insegnate né erano state acquisite tramite osservazione, bensì nullo cultu4; le aveva sviluppate autonomamente con gli anni. Nell’infanzia, l’ostacolo di un sasso o di un tronco che erano inevitabile motivo di caduta per i suoi compagni di giochi, la lasciavano di solito indenne e diritta in piedi dopo averlo evitato di misura con oscillazioni e piroette per mantenere l’equilibrio. Alle festicciole di Natale, quando aveva solo dodici o tredici anni ed era per questo cordialmente disprezzata dai ragazzi che si credevano uomini, la sua svelta agilità nella danza nascondeva l’incompletezza della femminilità e spingeva quegli stessi giovanotti, in barba alle loro risoluzioni, ad accaparrarsi la sua figuretta infantile come compagna di danza che non potevano permettersi il lusso di disprezzare. E negli anni successivi, quando l’istinto naturale del suo sesso le aveva fatto capire che questa caratteristica era la migliore e la più rara del suo aspetto esteriore, non mancò di curare il perfezionamento dei dettagli.
I capelli sfioravano ricciuti le spalle ed erano di un luminoso color grano che si scuriva fino al nocciola deciso quando il ricciolo si arrotolava su se stesso. Aveva occhi della tonalità dello zaffiro benché più scuri del colore che hanno le gemme; avevano il liquido e appassionato scintillio della lealtà e della buona fede che si distingue da quella luminosità più fredda che sembra esprimere fedeltà solo all’oggetto che hanno di fronte.
Ma cercare di ottenere un’immagine di lei – o in effetti di qualsiasi donna affascinante – da una categoria definita, è difficile quanto apprezzare l’effetto di un paesaggio esplorandolo nottetempo con una lanterna o di un accordo musicale suonandone le note in successione.
Tuttavia si può facilmente ritenere, dalla descrizione che si è qui tentata, che tra i molti aspetti accattivanti della sua figura, questi erano quelli che colpivano di più:
1. In preda a un piacevole dubbio, quando gli occhi si ravvivano furtivamente e sorridono (come sanno fare gli occhi) nello stesso modo delle labbra e, nello spazio di un solo istante, esprimono chiaramente l’intera gamma dell’attesa che comprende lo spazio tra il sì e il no.
2. Quando comunica un segreto, accompagnato involontariamente da un improvviso e minuscolo sobbalzo e da un’estatica pressione esercitata sul braccio, sul fianco o sul collo di chi ascolta, secondo la posizione e il grado di intimità.
3. Quando guarda con ansia una persona oggetto del suo affetto.
Nel corso della suddetta rappresentazione, tutto a un tratto assunse quest’ultimo atteggiamento. Lo sguardo era diretto fuori dalla finestra.
Il motivo per cui i dettagli della presenza di una giovane donna a una rappresentazione assai mediocre non finiscono nell’oblio che la loro intrinseca insignificanza giustifica – il motivo per cui, dopo anni, vennero da lei e da altri ricordati e individuati – è semplicemente che, senza saperlo, la ragazza si trovava al margine estremo di un periodo della vita nel quale il vero significato del termine “riflettere” non era mai stato conosciuto. Era l’ultima ora che godeva con una mente del tutto libera dalla consapevolezza di quel labirinto nel quale entrò subito dopo… per continuare un incerto percorso lungo le sue spire per la maggior parte dei susseguenti ventinove mesi.
Il municipio, nel quale Cytherea sedeva, era un edificio elisabettiano di pietra marrone e le finestre erano divise da un’architrave di muratura in una parte superiore e una inferiore. Attraverso l’apertura della metà superiore da dentro la sala si vedevano i tetti e i camini della strada adiacente e anche la parte superiore del campanile di una chiesa vicina in via di completamento sotto la supervisione del padre di Miss Graye, architetto dei lavori.
Che la cima del campanile fosse visibile dal posto che occupava in sala era un fatto che il suo sguardo ozioso aveva scoperto con un certo interesse e in quel momento era impegnata a osservare la scena che si svolgeva sull’alta cima. Intorno al cono in muratura si ergeva contro il cielo bianco la gabbia di un’impalcatura; e su questa stavano cinque uomini – quattro vestiti di bianco come la nuova costruzione che avevano per le mani, il quinto indossava il normale completo scuro di un gentiluomo.
I quattro operai in bianco erano tre muratori e un manovale. Il quinto uomo era l’architetto, Mr Graye. A quanto pareva, aveva impartito delle istruzioni e adesso, dopo aver indietreggiato quanto permetteva lo stretto passaggio, era perfettamente immobile.
L’immagine che si presentava a un osservatore all’interno del municipio era curiosa e sorprendente. Era una miniatura, incorniciata dal bordo scuro della finestra, e il colore tenebroso dei margini squadrati enfatizzava per contrasto la morbidezza degli oggetti racchiusi.
L’altezza del campanile era all’incirca di centoventi piedi e gli uomini impegnati lassù sembravano del tutto estranei all’ambito e alle esperienze dei normali esseri umani. Sembravano poco più grandi dei piccioni e compivano i loro minuscoli movimenti in un silenzio dolce e incorporeo. Il loro aspetto comunicava a coloro che stavano a terra soprattutto un’idea, vale a dire la loro concentrazione: erano noncuranti – addirittura inconsapevoli – del mondo distratto sotto di loro e di tutto quello che si muoveva sulla sua superficie. Non distoglievano mai lo sguardo dall’impalcatura.
Poi uno di loro si girò; era Mr Graye. Restò di nuovo immobile, facendo attenzione alle operazioni degli altri. Sembrava smarrito nelle riflessioni e aveva rivolto il viso verso una nuova pietra che stavano sollevando.
«Perché sta in quella posizione?», pensò la giovane donna – fino a quel momento distratta e noncurante come uno degli antichi tarantini5 che, in un pomeriggio come quello, assistevano dal teatro all’ingresso nel porto di una potenza che avrebbe rovesciato lo stato.
La ragazza si mosse a disagio. «Vorrei che scendesse», sussurrò, fissando ancora quell’immagine sullo sfondo del cielo. «È così pericoloso distrarsi lassù».
Quando ebbe finito di mormorare quelle parole il padre afferrò con scarsa decisione uno dei pali dell’impalcatura, come per saggiarne la resistenza, poi lo lasciò andare e fece un passo indietro. Nel gesto, gli scivolò il piede. Si chinò per un istante in avanti e di lato, poi ondeggiò nell’aria, scomparendo immediatamente verso il basso.
La figlia angosciata balzò in piedi con un movimento convulso. Socchiuse le labbra e ansimò in cerca d’aria. Non riuscì a emettere suono. Una ad una le persone intorno a lei, inconsapevoli di quanto era accaduto, girarono la testa e sui loro visi si dipinsero curiosità e allarme alla vista della povera ragazza. Ancora un momento ed essa cadde per terra.
L’impressione successiva di Cytherea fu la consapevolezza di essere trasportata con un veicolo sconosciuto attraverso il marciapiede verso i gradini di casa sua dal fratello e da un uomo più maturo. Il ricordo di quello che era accaduto si ripresentò un momento dopo e proprio mentre oltrepassavano la porta – dalla quale solo qualche istante prima era passato un altro e ben più triste fardello – il suo sguardo colse il panorama del cielo di sud-ovest e, senza prestarvi attenzione, la luce bianca del sole che brillava da una fenditura in una nube color ardesia con raggi simili a lance. Le emozioni si sovrappongono alle scene concomitanti – per quanto queste sembrino estranee nella loro essenza – come le acque chimiche si cristallizzano sui rametti e sui fili metallici. Da quella volta nessuna angoscia riportò alla mente di Cytherea con maggior vivacità la scena vista dalle finestre del municipio della luce del sole che si riversa con raggi simili a lance…