Disponibile dal 13 gennaio 2021
TRAMA
“Questo romanzo, grazie a una scrittura formidabile, è commovente, esilarante e doloroso – oltre che bellissimo – dalla prima all’ultima riga.” Ilaria Bernardini
“Impossibile leggerlo senza piangere molto. Ma anche impossibile leggerlo senza ridere forte. Straordinario.” The Guardian
“Un romanzo che colpisce nel profondo delle emozioni. Un bestseller che ha scalato le classifiche inglesi.” The Times
“Martha Friel, la narratrice di questo romanzo folle e affascinante, vi renderà impossibile smettere di leggere.” People
Non passa giorno senza che a Martha Friel venga costantemente ripetuto quanto è intelligente e bella, una scrittrice brillante, amatissima da Patrick, il marito, che la venera da quando si sono conosciuti da piccoli. Un dono, come dice sempre sua madre, che non tutti hanno la fortuna di possedere, tantomeno una come lei. Insomma, Martha Friel non può davvero lamentarsi, è molto, molto fortunata.
E allora perché la sua vita è in pezzi? Perché Martha, alla soglia dei quarant’anni, è senza amici, praticamente senza lavoro e sempre, sempre triste? E come mai Patrick ha deciso di lasciarla?
Forse è solo troppo sensibile, una donna per cui vivere è più faticoso che per gli altri. O forse, questo è il suo sospetto, c’è qualcosa di molto sbagliato in lei. Qualcosa che le è esploso nel cervello come una piccola bomba a diciassette anni e che l’ha cambiata in un modo che nessun dottore o terapista è mai stato in grado di spiegare. Adesso Martha è costretta a tornare a vivere dai genitori, una coppia di artisti bizzarra e disfunzionale, e senza nemmeno il sostegno di Ingrid, l’irrefrenabile sorella. Eppure, forse, questa è la sua occasione per ritrovare un senso e capire se rassegnarsi a essere un caso disperato o tentare di scrivere un nuovo, migliore, finale per se stessa.
Meg Mason ha scritto un romanzo unico. A pochi giorni dall’uscita L’opposto di me stessa ha scalato le classifiche inglesi, diventando un cult celebrato da lettori e librai e in corso di pubblicazione in tutto il mondo.
La voce di Martha Friel è indimenticabile, empatica, autentica, emozionante e divertente. Capace di raccontare in maniera vera e originale una donna di oggi, ma anche di narrare il disagio mentale, l’incomprensione e la confusione del non ritrovarsi.
Ai miei genitori e a mio marito
Eravamo a un matrimonio, poco dopo il nostro. Seguii Patrick, facendomi strada tra la fitta folla del ricevimento fino a una donna in piedi da sola.
Patrick mi aveva detto che, invece di guardarla ogni cinque minuti e sentirmi triste, avrei dovuto semplicemente andare da lei e farle i complimenti per il suo cappello.
«Anche se non mi piace?»
Rispose ovviamente, Martha. «A te non piace mai nulla. Forza.»
La donna aveva accettato una tartina da un cameriere e, mentre la stava portando alla bocca, si era accorta di noi e contemporaneamente del fatto che non sarebbe riuscita a inghiottirla in un unico morso. Quando ci avvicinammo abbassò il mento, cercando di nascondere gli sforzi per farla entrare del tutto, e poi per farla uscire del tutto, nell’altra mano il bicchiere vuoto e una scorta di tovagliolini da cocktail. Patrick si presentò, ma la donna rispose con qualcosa che nessuno dei due riuscì a capire. Aveva l’aria decisamente imbarazzata, perciò io iniziai a parlare di cappelli da donna come se un qualche moderatore mi avesse concesso un solo minuto per sviscerare l’argomento.
Lei fece una serie di piccoli cenni di assenso col capo e poi, appena riuscì a parlare, ci chiese dove vivessimo, di cosa ci occupassimo, eravamo sposati, giusto?, e da quanto tempo, e come ci fossimo conosciuti… una quantità e un incalzare di domande che miravano a distogliere l’attenzione da quella cosa mezzo mangiucchiata che ora era posata sul tovagliolino unto nel palmo della sua mano. Mentre rispondevo, la donna guardava furtivamente dietro di me, in cerca di un posto dove gettarla e, quando ebbi finito, disse che forse non aveva capito cosa intendevo quando dicevo che in realtà io e Patrick non ci eravamo mai conosciuti, perché lui “in pratica c’era sempre stato”.
Mi voltai verso mio marito, che in quel momento cercava di pescare con un dito qualcosa di invisibile dal suo bicchiere, poi tornai a rivolgere lo sguardo alla donna, e dissi che Patrick era un po’ come il divano della casa in cui passi la tua infanzia. «La sua esistenza è un dato di fatto. Non ti chiedi mai quando o come sia arrivato lì, perché non hai ricordi di un momento in cui non ci sia stato. E anche adesso, ammesso che ci sia ancora, nessuno gli rivolge mai un pensiero consapevole.»
«Eppure, suppongo» continuai, perché la donna non diede segno di voler replicare, «se qualcuno insistesse, saresti in grado di elencarne ogni singola macchia. E le relative cause.»
Patrick confermò che purtroppo era vero. «Martha può fare un perfetto inventario dei miei difetti.»
La donna rise, poi lanciò una breve occhiata alla sua borsetta, che le pendeva dall’avambraccio appesa alla piccola tracolla, come se ne soppesasse i pregi di contenitore.
«Bene, chi ha bisogno di un rifornimento?» Patrick mi puntò contro gli indici e premette dei grilletti invisibili con i pollici. «Martha, so che non dirai di no.» Indicò poi il bicchiere della donna, che glielo lasciò prendere, e aggiunse: «Vuole che prenda anche quella?». Lei sorrise e sembrò sul punto di piangere mentre lui la liberava dalla tartina.
Dopo che Patrick si fu allontanato, la donna mi disse: «Lo sa che è molto fortunata ad aver sposato un uomo così?». Io risposi sì e pensai se spiegarle gli svantaggi di avere sposato qualcuno che tutti ritengono adorabile; ma alla fine, in attesa che Patrick tornasse, le chiesi dove avesse preso quel suo stupendo cappello.
Il divano diventò la nostra risposta standard alla domanda su come ci eravamo conosciuti. La raccontammo a tutti per otto anni, con poche variazioni, e la gente rideva sempre.
Una volta mia sorella mi ha inviato sul cellulare una gif con la didascalia Il principe William chiede a Kate se vuole un altro drink. Commento di mia sorella: Sto morendo dal ridere!!!! I due sono a un ricevimento e William indossa lo smoking, saluta Kate dall’altra parte della stanza, mima il gesto di versare qualcosa in un bicchiere poi la indica con un dito.
Quando punta il dito, aveva scritto ancora, è Patrick, letteralmente.
È Patrick, metaforicamente, avevo risposto io.
Lei mi mandò l’emoji con gli occhi al cielo, la flûte di champagne e il dito puntato.
Ritrovai quella gif il giorno in cui tornai a vivere con i miei genitori.
L’avrò guardata cinquemila volte.
Mia sorella si chiama Ingrid. Ha quindici mesi meno di me ed è sposata con un uomo che ha incontrato un giorno in cui è caduta a terra davanti a casa mentre lui portava fuori la spazzatura. È incinta del suo quarto figlio; quando mi ha scritto un messaggio per dirmi che era un altro maschio
mi ha mandato l’emoji della melanzana, delle ciliegie e delle forbici aperte, spiegando che Hamish sta per farselo tagliare, e non metaforicamente.
Da bambine, la gente pensava che fossimo gemelle. Morivamo dalla voglia di vestirci allo stesso modo, ma nostra madre si rifiutava. «Perché non possiamo?» chiese una volta Ingrid.
«Perché la gente penserebbe che sia una mia idea» rispose lei, guardandosi intorno nella stanza. «Niente di tutto questo è stata una mia idea.»
In seguito, in piena pubertà, nostra madre dichiarò che, poiché a Ingrid chiaramente stavano crescendo le tette di entrambe, potevamo solo sperare che a me sarebbe toccato il cervello. Le chiedemmo cosa fosse meglio, e la risposta fu che era meglio avere entrambe le cose o nessuna; l’una senza l’altra era invariabilmente letale.
Io e mia sorella ci somigliamo ancora. Abbiamo tutt’e due la mascella squadrata, ma secondo nostra madre non è poi una gran tragedia. E abbiamo tutt’e due i capelli con la tendenza a diventare crespi e portati quasi sempre lunghi, sul biondo, fino a quando io non ho compiuto trentanove anni: quel mattino mi resi conto di essere disarmata contro l’arrivo dei quaranta e nel pomeriggio li tagliai all’altezza della mascella squadrata, poi andai a casa e li decolorai con la tinta del supermercato.
Ingrid arrivò mentre avevo l’impacco in testa e si unì a me. E da quel giorno entrambe abbiamo lottato contro la ricrescita. Ingrid sostiene che avere un altro bambino sarebbe meno faticoso.
Anche se siamo così simili, la gente pensa che Ingrid sia più bella di me, ne sono consapevole fin da quand’eravamo ragazze. Una volta lo dissi a mio padre, il quale commentò: «Può darsi che la gente noti per prima tua sorella. Ma poi si fermerà a guardare te».
Mentre tornavamo a casa in macchina dall’ultima festa a cui avevamo partecipato insieme, dissi a Patrick: «Quando fai quel gesto di puntarmi contro le dita, mi viene voglia di spararti con una pistola vera». Avevo un tono secco e duro che mi innervosì, così come m’innervosì la sua risposta, il suo «Ok, grazie» privo della minima emozione.
«Non intendo in faccia. Più tipo un colpo di avvertimento al ginocchio o da qualche altra parte che non ti impedisca di andare a lavorare.»
Rispose buono a sapersi e inserì il nostro indirizzo su Google Maps.
Vivevamo in quella casa a Oxford da sette anni. Glielo feci notare, non ricevendo in cambio nessuna risposta, e lo guardai al volante mentre aspettava imperturbabile un varco nel traffico. «Adesso stai facendo quella cosa con la mascella.»
«Sai cosa, Martha? Che ne dici se non parliamo finché non arriviamo a casa?» Tolse il telefono dal supporto e, senza una parola, lo mise nel vano portaoggetti.
Aggiunsi qualcos’altro, poi mi sporsi in avanti e accesi al massimo il riscaldamento. Appena l’abitacolo divenne soffocante, lo spensi e abbassai completamente il finestrino. Era incrostato di ghiaccio e scese grattando rumorosamente.
Un tempo scherzavamo su questo fatto, che io oscillavo tra gli estremi mentre lui viveva sempre e solo nel mezzo. «Quella spia arancione è ancora accesa» indicai, prima di uscire dall’auto. Patrick rispose che l’indomani avrebbe fatto controllare l’olio, poi spense il motore ed entrò in casa senza aspettarmi.
Avevamo preso in affitto la casa con un contratto breve, nell’eventualità in cui non si fosse rivelata una buona scelta e io avessi voluto tornare a Londra. Patrick aveva suggerito Oxford perché aveva frequentato l’università lì e perché pensava che, rispetto ad altri posti, per esempio le cittadine dormitorio attorno a Londra, a Oxford mi sarebbe stato più facile farmi delle amicizie. Per quattordici volte prorogammo quel contratto di sei mesi, come se continuassimo a pensare che potesse non rivelarsi una buona scelta da un momento all’altro.
MEG MASON Ha cominciato la sua carriera come giornalista per The Times e Financial Times. a scritto per Vogue, Grazia, The Sunday Times, Sydney Morning Herald e Sunday Telegraph. I suoi articoli sono apparsi anche sul New Yorker ed è collaboratrice fissa per Elle. Vive a Sydney con il marito e le due figlie.
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