“La porta delle lacrime” di Abraham Verghese


La notte in cui Marion e Shiva vengono al mondo, le rose della direttrice Hirst sbocciano a incorniciare le finestre dell’ospedale di Missing, Addis Abeba. Rose rosse come il sangue che suor Mary Joseph, nella sala operatoria 3, sta perdendo a fiotti mentre cerca di dare alla luce i suoi gemelli, troppo sangue.
Tutto è cominciato sette anni prima, quando una giovane indiana con gli occhi profondi raggiunge l’ospedale in cerca del dottor Stone, chirurgo apprezzatissimo ma uomo impenetrabile, armata soltanto dei suoi voti a Dio. Da quel momento, a ogni operazione, suor Mary Joseph si lava le mani e si piazza di fronte a lui manovrando divaricatori e passando bisturi senza che il dottore debba pronunciare una sola parola. E a ogni operazione l’intesa fra loro cresce. La stessa intesa – quasi telepatica – che ora lega i gemelli, due maschietti che miracolosamente sopravvivono alla madre, morta di parto, e al padre che, sconvolto, fugge abbandonandoli. I bambini crescono nell’ospedale, fra l’autoclave che sibila come un drago e le cure di medici e infermiere che vi lavorano. Entrambi si appassionano alla medicina, entrambi alla stessa donna: per questo Marion, sconfitto, lascerà l’Etiopia scossa da fermenti rivoluzionari per un poverissimo ospedale nel Bronx. Niente al mondo sembra poter ricucire la ferita senza perdono che si è aperta tra i fratelli.
Niente, se non l’incontro improvviso con un padre mai conosciuto.
Nel racconto di una terra in cui il mito sembra emergere naturalmente dal quotidiano e di una famiglia che condensa in sé l’intera esperienza umana, Verghese intreccia i fili della sua trama guidato dal desiderio «di mettere a nudo le anime, oltre che i corpi, dei personaggi» (The New York Times), e dà vita a una storia unica, immensa, indimenticabile. Secondo Shiva, vivere significa richiudere squarci. È una metafora adatta alla nostra professione. Ma esiste un altro tipo di squarcio: la ferita che divide una famiglia. A volte si apre al momento della nascita, a volte più tardi. Stiamo tutti aggiustando quello che si è rotto. Nessun chirurgo può guarire la ferita che divide due fratelli. Ma là dove falliscono la seta e l’acciaio, riuscirà una storia.

«Un romanzo alla Cormac McCarthy, in cui la morte e la vita, il luogo in cui si nasce e la grande Storia concorrono a costruire il racconto di una singola esistenza». Los Angeles Times

«L’occhio di Verghese, come quello di Tolstoj, sa cogliere i fremiti involontari del corpo che svelano i movimenti dell’anima. Grandioso come una tragedia greca, emozionante, bellissimo». Simon Schama


Abraham Verghese, dopo il diploma allo Iowa Writers’ Workshop, nel 1994, ha scritto My Own Country, finalista al nbc Award, e The Tennis Partner, un New York Times Notable Book. È medico, docente e vicepresidente del Dipartimento di Medicina presso la Stanford School of Medicine. Ha ricevuto la National Humanities Medal, cinque lauree honoris causa ed è membro della National Academy of Medicine e dell’American Academy of Arts & Sciences. Presso Neri Pozza è apparso anche, con gran successo di pubblico e di critica, Il patto dell’acqua (2023), scelto da Oprah Winfrey per il suo Bookclub. La porta delle lacrime, già uscito in America nel 2009, ha venduto oltre 1,5 milioni di copie.



Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la responsabile editoriale della rivista on-line "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga. Ha conseguito il corso di formazione "lettura e benessere personale come rimedio dell'anima"