“Tra Libri e Destini: La Curatrice di Librerie”
Lucy è una curatrice di librerie e ama il suo lavoro più di ogni altra cosa al mondo. Dare a un libro la migliore sistemazione possibile, per lei, è un sogno che si realizza giorno dopo giorno. Fino a ieri si occupava di organizzare le biblioteche di grandi collezionisti privati. Ora invece le è stato affidato un incarico speciale nella meravigliosa Heywood Hill di Mayfair, una delle più antiche e importanti librerie di Londra. L’emozione per il nuovo incarico è accresciuta dal fatto che lì, negli anni Trenta, ha lavorato Nancy Mitford, la scrittrice preferita di Lucy. Come se non bastasse, intorno alla figura di Nancy Mitford aleggia un mistero che la madre di Lucy ha tentato per tutta la vita di risolvere. Adesso tocca a lei continuare la ricerca. Forse questo viaggio a Londra potrà finalmente darle delle risposte. Quel che è certo è che si troverà al cospetto di una donna dalla vita straordinaria: Nancy Mitford aveva idee eccezionalmente moderne per l’epoca in cui ha vissuto, soprattutto in ragione di tutto ciò che ha fatto come volontaria durante la Seconda guerra mondiale.
A mio padre,
che mi ha trasmesso l’amore per la lettura sin da piccola e non ha mai detto di no a una gita nel più magico dei posti: una libreria.
1.
Nancy Mitford
Metà marzo 1931
Caro Evelyn,
non c’è occasione più perfetta per indossare un divino diadema di corallo che la presentazione del proprio libro, favolosamente organizzata. Soprattutto quando la serata è offerta dalla mia famosa sorellina Diana, lady Guinness.
Anche se io sarei stata felicissima di bere da una bottiglia correndo per la strada vestita come un personaggio del mio libro, mia sorella – lo sai com’è fatta – ha insistito per organizzare una soirée, e senza dubbio riuscirà a superarsi. Un pensiero che mi tocca nel profondo, visto che i miei genitori hanno sempre disprezzato la mia prosa. Ma non tu, mio caro amico, non tu.
In attesa di quel momento…
Con affetto,
Nancy
Nella casa di Buckingham Street, a due passi dal palazzo reale, la luce dorata gocciolava da ogni singolo lampadario di cristallo. Gardenie, rose e gigli traboccavano da decine di vasi Waterford. Una jazz band di otto elementi suonava un repertorio di successi del momento e di brani più vecchi, meno jazz, che avrebbero sicuramente fatto ballare anche la generazione più anziana.
L’elegante villa in mattoni su quattro piani era piena di gente allegra, che arraffava coppe di cristallo dalla torre di champagne. Metà degli ospiti era furba, l’altra metà sperava di essere fotografata. Erano tutti qui per bere gratis e per le deliziose tartine servite da camerieri in livrea Guinness, una cosa raffinatissima.
All’ingresso c’erano pile di volumi di Danza delle Highland con il mio nome in grassetto sulla copertina rigida. Ogni invitato si portava a casa la sua copia del mio primo romanzo, con il mio bell’autografo scarabocchiato all’interno e una didascalia che io stessa avevo ingegnosamente coniato: Per l’illusionista che è in tutti noi. Con affetto, Nancy Mitford.
Tra il centinaio e passa di conoscenti che c’erano, solo in pochi avrebbero capito il significato di quelle parole. Oh, come sogghignavano neanche fossero demoni maliziosi.
Mentre gli ospiti e l’animazione esprimevano la joie de vivre di mia sorella e di suo marito, l’arredamento della casa era austero – come del resto almeno una decina di vecchie signore presenti – e trasudava addobbi di mia suocera. Che tristezza per mia sorella.
Una cosa spiccava tra tutte: l’opera d’arte astratta che avevamo ideato per uno scherzo giocato all’alta società due anni prima, appeso tuttora in bella vista nel salotto. Ridevamo ancora dell’invenzione dell’anonimo e talentuoso artista «Bruno Hat» e della successiva mostra fasulla che aveva portato decine di nostri amici a fare offerte per un pezzo unico e decisamente orribile con cornice di corda e sughero.
C’era solo una cosa che mancava al festeggiamento perfetto: il mio amore, Hamish St Clair-Erskine. Il mio fidanzato a volte sì e a volte no. In questo momento, non lo era. Eppure, desideravo ardentemente il suo ritorno. Desideravo ridere di nuovo come solo lui sapeva farmi ridere. Ma dopo l’ultima bocciatura all’università, i suoi genitori l’avevano spedito a New York City. Oh, accidenti, perché mai cercavano di distruggere un uomo assolutamente straordinario?
Dopo l’ultimo autografo, sorrisi agli ospiti che si aggiravano nei pressi del tavolo in marmo che avevo usato per le firme. Stiracchiai le dita, con un disperato bisogno di una coppa di champagne, o magari qualcosa di più forte: un cocktail con un goccio di sherry.
Spingendomi attraverso l’orda di corpi, mi feci strada verso la torre di bollicine solo per essere intercettata da uno dei miei più cari amici.
«Ma guarda chi c’è, il geniale Evelyn Waugh», esclamai, prendendolo tra le braccia. Elegante e abbronzato per il suo recente viaggio in giro per il mondo, sembrava di buon umore dopo la non così malaugurata fine del suo matrimonio con quella orribile vacca che aveva abusato di lui in modo così penoso.
«E guarda chi c’è qui, la mia pari in eloquio brillante e bell’aspetto, Nancy Mitford.»
Scoppiai a ridere, la prima vera risata della serata. Ci eravamo tenuti in contatto per lettera nel corso dei mesi, e ringrazio il cielo per questo. Evelyn aveva incoraggiato il mio passaggio dalle rubriche su «The Lady» ai romanzi.
«Ci hai già messo tutti da parte per una vita di lusso e successo?» mi prese in giro.
«Mai! È solo uno sciocco libretto. Davvero, tesoro, l’ho scritto solo perché mi servivano un centinaio di sterline.» Con una risata diedi un colpetto alla sua mano stretta nella mia, mentre lo stappo di un’altra bottiglia di champagne suscitava grida di entusiasmo tra i presenti.
«Oserei dire che ne vedrai molte più di cento, e saremo tutti follemente gelosi», scherzò Evelyn mentre la nostra amica Nina Siefield si univa a noi, facendo oscillare un’oliva nel suo bicchiere di Martini.
«Finché posso vestirmi meglio, cos’altro potrebbe interessarmi?» Sfoderai un sorriso scherzoso. Era la verità, ma anche l’esatto opposto. Scrivere Danza delle Highland era stato un gran divertimento, e anche se volevo avere lo stesso successo di Evelyn per il suo romanzo Corpi vili, ero veramente felice di avere finalmente dei fondi extra.
Appartenere all’alta società non è sempre stato sinonimo di quattrini. Mentre Diana ora viveva una vita di lusso divino con il suo nuovo marito danaroso – erede della fortuna dei Guinness –, i nostri genitori avevano sempre tenuto a freno i miseri mezzi che i loro titoli nobiliari gli concedevano. Eravamo sempre a corto di soldi, al punto che nostra madre vendeva le uova delle galline di casa.
«Sono d’accordo», commentò Nina. «Sarai una stella della letteratura, tesoro. Incomparabile. Ora, Evelyn, vieni a ballare con me, perché mi sto annoiando a morte.»
«Dopo tocca a me, Evelyn, tesoro. Voglio sentire tutto sulle tue imprese in Africa», gridai alle loro spalle.
Evelyn prese il Martini quasi vuoto di Nina e tracannò l’ultimo goccio.
Nina mi fece l’occhiolino e trascinò il nostro amico verso la pista da ballo, dove la band attaccò una canzone dal ritmo frenetico piena di trombe e sassofoni che soffiavano e tamburi che battevano. L’intera sala era il vero e proprio gotha dei Bright Young Things, come il gruppo di vecchi brontoloni amava chiamarci. Eravamo i giovani di spicco delle famiglie aristocratiche e mondane. Quell’ambìto gruppo di giovani che se ne infischiava di essere seguito e fotografato.
Eliza Knight è giornalista e autrice di grande successo in patria. Conduce diversi podcast e vive in Maryland con il marito e le tre figlie. La curatrice di librerie è il suo romanzo d’esordio sul mercato italiano.
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