TRAMA
Sullo sfondo di una Liguria arroccata tra cielo e mare, le vicende di Arianna, dall’infanzia all’età matura, raccontate con sereno distacco e un pizzico di ironia. Un dramma familiare moderno che, con la leggerezza di un battito d’ali, non volge mai in tragedia grazie all’incrollabile forza dell’amore. La protagonista, nata e cresciuta senza l’amore materno, riuscirà infatti a uscire dal suo labirinto tirando fuori tutta l’energia positiva e costruttiva trasmessale dal padre e tenuta soffocata dalla malattia della madre. Un racconto che rimanda, per analogie di contenuto e di impalcatura narrativa, al “Notturno” op. 48 n. 1 di Fryderyk Chopin.
Estratto
Calmi e placidi, simili a due piccoli laghi di montagna quando sulla loro superficie si riflettono i colori della natura circostante, monti e foreste, prati e rocce in una mistura che si fonde con il bianco delle nuvole e ancora con l’azzurro del cielo: così, nel marasma della sua vita, in quel momento, apparvero ad Arianna gli occhi celesti del dottor Bellone. Dentro quel silenzio e quella pace, nella trasparenza di quel blu, Arianna si specchiò. Trasse un profondo respiro e si abbandonò in essi sicura che avrebbe ritrovato se stessa, che avrebbe recuperato la sua vita.
Come in una moviola, durante i loro incontri, in quella stanza dove un benjamin si era incurvato verso la luce della finestra e sembrava volesse uscire fuori per scoprire anche lui cosa c’era oltre; seduta su una seggiola posta davanti a una piccola scrivania al di là della quale c’erano quei laghi in attesa di prendere il colore di lei, si srotolò all’indietro l’ intera vita di Arianna.
Quando tutti i nodi furono sciolti e finalmente riuscì a far chiarezza nel suo passato, Arianna rincontrò se stessa. E si piacque.
ciò che avvertì fu la medesima sensazione di quando uno si risveglia al mattino dopo un lungo sonno ristoratore e pensa che oggi è un altro giorno. Nuovo,diverso. Per sempre.
PRIMA PARTE
Arianna salutò il dottor Bellone sulla porta dello studio, scese i pochi gradini che portavano all’androne, sgusciò fuori da portone e si avviò vesro casa, come succedeva ormai da quattro anni, due volte alla settimana.
Si incamminò lungo il marciapiede della vecchia strada Aurelia e poco dopo si fermò. Appoggiò la borsa a terra e si affacciò al muretto che dava sul mare. Guardò l’immensa distesa blu, quel giorno calma e silenziosa. Sotto di lei il binario della ferrovia e quindi lo strapiombo della scogliera, grigia e bianca tipica di quella parte della Liguria. A sinistra il Parco di Villa dei Pini; alla sua destra un minuscolo giardino ben curato: piccolo lembo strappato a una terra dichiaratamente ostile all’uomo, dove il verde del monte e il blu del mare si incontrano continuamente in un gioco di colori e di trasparenze. L’acqua era cristallina: da lassù Arianna riusciva a contare i piccoli massi adagiati su fondale; le sembrava quasi di poterli toccare con un dito, se avesse allungato il braccio, come fossero a portata di mano; avrebbe giurato di vedere un paio di ziguele fluttuare sinuosamente nelle macchie scure delle posidonie.
Qualche anno prima, dalla ferrovia, avevano gettato del pietrisco verde: sassi provenienti chissà da dove. la velleità di dare a quella piccola baia un tono da spiaggia vagamente esotica. Pochi inverni e i ciottoli erano stati portati via dal mare. Si erano confusi nel fondale con i loro compagni grigi ma riuscivano ancora a dare qualche sfumatura di verde smeraldo al colore del mare. Una tonalità particolare, diversa dal resto della tavolozza.
Arianna aveva appoggiato le mani sul muretto e teso le braccia, e si era sbilanciata un poco in avanti mentre il suo sguardo si perdeva nell’infinito dell’orizzonte. Avidamente assaporò con gli occhi il panorama, con immutato stupore, come fosse la prima volta. La seduceva a rapiva, si sentiva attratta come un pezzo di ferro verso la calamita.
Un gabbiano reale planò davanti a lei,leggero; virò dolcemente, puntò il muso verso il basso e scese in picchiata sul mare su una probabile preda.
Arianna posò lo sguardo su di lui e sorrise: “Papà”, mormorò a fior di labbra, come per chiamarlo.
Trasse un profondo respiro…
L’ Autrice
Francesca Sivori, classe 1960 è una musicista.
Per molti anni si è dedicata all’organizzazione e alla direzione artistica di eventi legati allllegroModerato di Milano https://allegromoderato.it/ è pianista conduttore nei laboratori di musica da camera e ha fondato un’orchestra AM in Madagascar, a Diego Suarez.
Sotto lo pseudonimo di Liz Chester Brown ha scritto il romanzo “Io sono una famiglia” il gabbiano, lo ha auto pubblicato e lo sta distribuendo nelle librerie indipendenti di tutta Italia.
Premi letterari:
- Menzione speciale al Premio Naz. di Poesia e narrativa Alda Merini 2020
- Finalista al Premio Letterario Nazionale Bukowski 2020
- Terza classificata al Premio Nazionale Giovanni Bovio di Trani 2020
- Menzione di merito al Premio Letterario Int. città di Sarzana 2020
- Finalista al Concorso Letterario Mario Soldati 2020
- Menzione al merito al Premio Internazionale Dostoevkij 2020
- Riconoscimento di merito al Premio Internazionale Letterario Città dell Rosa 2020
- Menzione speciale al Premio Letterario Nazionale “Il Paliotto” 2020 di Torino
Ha in cantiere altri due romanzi, uno dei quali racconta la storia di uno dei personaggi de “Io sono famiglia” – Il gabbiano
Per saperne di più visitate il Blog dell’autrice https://www.iosonounafamiglia.com/