Il bello dei libri è che ci portano a conoscere altri mondi. Jasmin Darznik, con questo romanzo, ci porta in viaggio sino a Teheran.
La scrittrice ci racconta la vera storia della poetessa persiana “Forugh Farrokhzad” vissuta nel Novecento. Ci mette al corrente delle dure conseguenze che ha dovuto subire, scegliendo la poesia a una vita da reclusa, e di sottomissione nei confronti degli uomini. Una donna che ha avuto il coraggio di ribellarsi alle crudeli usanze del suo paese natio.
Ciao Jasmin benvenuta a due chiacchiere con lo scrittore…
1)Chi è Jasmin Darznik?
Sono nata in Iran e ho lasciato la mia nazione all’età di cinque anni, per trasferirmi in America con i miei genitori. Ho avuto un’educazione abbastanza tradizionale e sono cresciuta parlando in persiano e sentendomi spesso molto vicina a quella cultura, e a volte l’ho anche criticata. Ho studiato Letteratura presso l’Università di Princeton e ora sono un’insegnante di scrittura creativa in un college a San Francisco.
2)Quando hai scoperto la tua passione per la scrittura e qual è la prima cosa che hai scritto?
Quando avevo venticinque anni, ero una giovane madre, annoiata e irrequieta e non facevo molti progressi nella mia tesi di dottorato. Per un capriccio, decisi di intraprendere un corso di scrittura. Iniziai quindi a scrivere storie su me stessa e la mia famiglia, ricordi riguardo il mio arrivo in America, il crescere come figlia di immigrati, sentirsi incastrata fra due mondi. Per due anni, mi sono presentata a quel seminario ogni venerdì sera, con i fogli in mano e il cuore che mi batteva forte nel petto, mentre condividevo la mia scrittura nei dieci minuti a mia disposizione. È stato una rivelazione per me, in un certo senso il momento più dolce della mia vita scritta sino ad allora. Non stavo scrivendo per pubblicare nulla, anche se quello era un mio sogno lontano.
Alla fine di quel corso, avevo scritto circa cinquanta pagine. “Stai scrivendo un libro”, mi disse finalmente il mio insegnante. Fui presa dalla gioia, per la fiducia che mi riservava, ma anche dalla paura. Se stavo effettivamente scrivendo un libro, avrei dovuto continuare a scrivere… No, avrei dovuto lavorare duramente! Cinquanta pagine è solo un inizio, non è, tuttavia, un libro. Per questo motivo ho continuato.
Il risultato di quel lavoro fu “The Good Daughter”, il mio primo romanzo. [Il titolo italiano è L’Altra Figlia]. The Good Daughter è un libro di memorie sulla mia famiglia, soprattutto su mia madre, ma anche su mia nonna e sulla mia vita. La mia opera si basa su un segreto di famiglia. Quando avevo poco più di vent’anni scoprii che mia madre era già stata sposata prima di coniugarsi con mio padre e che aveva avuto un figlio da quel matrimonio. Era un segreto che aveva tenuto nascosto per circa quaranta anni. Lei era piuttosto giovane quando accadde: aveva solo tredici anni e divorziò a quindici. Aveva dovuto rinunciare a suo figlio e aveva sofferto tanto. So per certo che la sua prima figlia, che io chiamo nel libro “la buona figlia” non ha mai perdonato mia madre per averla abbandonata. In ogni caso, scrivere il libro è stato il modo di dare un senso a quella perdita e alle lunghe ombre che essa proiettava.
3)E’ stato difficile scrivere un libro sulla vera storia della poetessa Forough Farrokhzad?
Forugh è una leggenda per gli iraniani, quindi la sfida era ovvia: come avrei potuto scrivere la sua storia in un modo che fosse autentico e originale? Ho iniziato, ricercando tutto ciò che la riguardasse, inclusi i nomi dei suoi parenti e di altre persone che le erano state vicine. Tuttavia, decisi consapevolmente di non voler riportare le loro testimonianze come se fossi una cronista, perché si trattava di un romanzo e non di un saggio storico. Volevo ovviamente rispettare i fatti biografici, ma per funzionare come un romanzo, avrebbe dovuto possedere una struttura che andasse al di là dei fatti realmente accaduti. Inoltre, sembrava improbabile che se avessi contattato queste persone le mie conversazioni non mi avrebbero condotto a qualcosa di originale. Voglio dire: ormai loro avevano avuto ben cinquant’anni per raccontare o non raccontare la loro versione dei fatti. Quasi tutto nel romanzo ha un fondo di verità o almeno ciò che mi è parso lo fosse. Mi ero prefissata una regola: qualsiasi cosa avessi inventato avrebbe dovuto essere attinente o armoniosa con i fatti realmente accaduti. Questo lasciava ancora molto spazio alla mia immaginazione, per fortuna, altrimenti non penso che avrei potuto continuare a scrivere durante i cinque anni, impiegati per completare il romanzo. Sicuramente c’è sempre il rischio di riproporre una storia vera, ma il mio, doveva essere un romanzo e non un documentario. Dovevo correre dei rischi, altrimenti a cosa sarebbero serviti i miei sforzi?
4) “Canto di una donna libera” ,come ti è venuta l’idea di scrivere questo romanzo?
Come scrittrice mi muovo tra ossessione e ossessione, e questo è ciò che consiglio ai miei studenti universitari di scrittura creativa al California College of the Arts: coltivare le proprie ossessioni. Leggo assolutamente tutto ciò che posso, su ogni argomento, portandomi a lavorare su me stessa come se fossi in uno stato di trance. Spesso è un piccolo dettaglio, una nota a piè di pagina, che mi da lo spunto per creare una storia e mi mette sulla strada giusta .
“Song of a Captive Bird “ (Canto libero di una donna) è iniziato proprio con un’ossessione, quella per l’Iran e una delle sue donne più leggendarie. Per molti anni ho letto tutto quello che potevo su Forugh, non sapendo che mi avrebbe portato a scrivere un romanzo. Poi a un certo punto ho scoperto che aveva assistito alcuni attivisti studenteschi durante il tumulto che si era diffuso attraverso l’Iran nei primi Anni Sessanta. Ho iniziato ad apprendere tutto ciò che potevo. Ho studiato le sue poesie e varie fonti accademiche. Ogni scoperta si è accumulata su una precedente rivelazione. La meno gradita, ma forse la più energizzante, è stata la sua totale invisibilità al di fuori dell’Iran. Alla fine, pensai, che avrei dovuto raccontare la storia di questa donna. Una certa pressione si era accumulata in me, e l’unico modo per liberarmi da ciò era scrivere questo libro.
5) “Canto di una donna libera” è la vera storia della poetessa persiana vissuta nel Novecento “Forugh Farrokhzad”. Come mai hai deciso di raccontare la sua storia?
Più scrivo, più credo che le storie ci scelgano, piuttosto che il contrario. In quanto scrittori, non è tanto il nostro lavoro a inventarle quanto a lasciarle raccontare attraverso di noi. L’arte, se è arte, tenderà a seguire la sua strada, e nelle parole di Theodore Roethke, impariamo andando dove dobbiamo andare. Scrivere la storia di Forugh era dove dovevo andare, capire l’Iran e le forze che hanno plasmato la Rivoluzione del 1979 e mandato così tante migliaia di iraniani – la mia famiglia tra loro – all’esilio. Era anche il mio modo di comprendere cosa significasse, per una donna iraniana, diventare libera e indipendente, e ciò che le è costato – e ancora le costa – farlo.
6) Che cosa vuoi trasmette ai lettori attraverso questa storia?
La prima e veramente la cosa più importante, è raccontare una buona storia. Il messaggio è secondario. Detto questo, non ho alcun interesse ad inserire nella storia la sottomissione delle donne. Questo non vuol dire che non penso che le donne di tutto il mondo affrontino ancora orribili disuguaglianze, ma che il loro coraggio è stato paragonabile alle avversità affrontate. Lo vedo nella vita di mia madre. Lo vedo nella vita di Forugh. Voglio leggere storie che mi insegnino come sopravvivere, come trascendere, come essere libero, e quelle sono anche storie che voglio scrivere.
7) Qual è la poesia che piu’ ti è rimasta nel cuore di “Forugh Farrokhzad”?
Le poesie di Forugh costituiscono la risorsa più importante per il mio romanzo. Molte scene sono nate direttamente dall’analisi del lavoro di Forugh, come ad esempio la sua poesia: “Mi sento dispiaciuto per il giardino”. Nel romanzo immagino la letterale distruzione del suo giardino d’infanzia, un’esperienza che deve aver senz’altro ispirato la sua visione in quel poema . Più avanti nel romanzo c’è una scena che celebra l’origine del suo poema, “Il peccato”. Quella poesia ha totalmente cambiato la sua vita – non potevo non includerla. Era non solo il suo amore, ma il suo vero stato d’animo. Le scene finali del libro sono ispirate dal sentimento delle sue ultime poesie, in particolare “Crediamo nell’alba della stagione fredda” e “Rinato”. Per quanto possibile, volevo che il lettore si sentisse come se fosse davanti a Forugh, ascoltando la sua bella, compassionevole e coraggiosa voce.
Grazie per aver accettato la mia intervista!
Jasmin è nata in Iran e si è trasferita negli Stati Uniti all’età di cinque anni. Si è laureata all’Universita della California a Los Angeles nel 1994 e ha conseguito una laurea in Giurisprudenza presso l’ università della California, Hasting College of Lawnel 1997. Ha poi conseguito un dottorato in letteratura inglese presso la Princenton University nel 2008. e un MFA del Bennington College nel 2014.
Il suo primo libro, The Good Daughter, ” L’altra figlia”: Un ricordo della vita nascosta di mia madre.
Song of a Captive Bird , “Canto di una donna libera”è un racconto di finzione sulla poetessa iraniana Forugh Farrokhzad.
Ora è professore nel programma MFA e in scrittura e letteratura al California College of the Arts.
Autrice tradotta in sedici Paesi, ha scritto un memoir che è stato un bestseller del New York Times e ha ricevuto numerosi premi. Canto di una donna libera (Piemme 2019) apprezzato dalla critica e dal pubblico americani, è il suo primo romanzo ed è stato selezionato tra i migliori libri del 2018 da Vogue e Newsweek.
Trama:
“È il volo che ricorderai, perché l’uccello è mortale”. Forse è per stupire suo padre che Forugh, ancora bambina, scrive la sua prima poesia. D’altra parte per tutta l’infanzia, a Teheran, si è sentita dire che le bambine persiane devono essere mute e obbedienti. Sono gli anni Quaranta, e per le donne non c’è molta scelta, in Iran come in molti altri posti. Ma Forugh è una bambina diversa. I suoi modi di ribellarsi sono spettegolare con la sorella tra le rose fragranti del giardino della madre, o divertirsi con i fratelli, azzuffandosi come un maschio. O, pochi anni più tardi, scrivere poesie, flirtare con i ragazzi. Dopo un matrimonio, un divorzio, un figlio che ha dovuto lasciarsi indietro, Forugh sceglie la libertà. Che significa un nuovo amore, viaggiare, fare cinema, scrivere. Diventando la voce di tutte le donne in un Paese che, mentre si avvia verso l’illusione rivoluzionaria, resta indifferente ai loro sogni e alle loro speranze. Una voce che, nel ’67, quando Forugh ha appena trentadue anni, si spegnerà per sempre, troppo presto. Ispirato alla storia vera della più grande poetessa iraniana, ai suoi versi, alle sue lettere, alla sua vita straordinaria e struggente, questo romanzo cattura l’essenza di Forugh Farrokhzad, la donna che ha rappresentato la nascita di una coscienza femminile in Iran.
Trama:
Un giorno, poco dopo la morte del padre, Jasmin sta aiutando sua madre Lili a traslocare e da una pila di vecchie lettere cade una fotografia: una ragazzina con il velo da sposa accanto a un uomo sconosciuto. Quella ragazzina è evidentemente sua madre, tuttavia Lili accetterà di condividere con Jasmin la sua storia solo dopo molti mesi. Una storia straziante di abusi e umiliazioni, e di una figlia, Sara, che è stata costretta ad abbandonare per sopravvivere. «Eravamo un mondo fatto da due persone, mia madre e io, fino a quando ho iniziato a trasformarmi in una ragazza americana. E’ stato allora che l’altra figlia ha iniziato a parlarmi. L’altra figlia è quella che vive in Iran. Lei non parla come io ho imparato a fare in questo paese corrotto dal diavolo. Di fatto lei non parla molto: ascolta. Sa tutto sulle buone maniere e la modestia: si siede accanto alla madre e abbassa gli occhi ogni volta che un uomo la guarda. Lei è molto, molto carina, il viso dolce e i capelli fluenti proprio come le fanciulle delle miniature persiane. Così l’altra figlia è diventata una provocazione. Un avvertimento. Un presagio».
foto presa dal web.
Forugh Farrokhzad
Nata a Teheran nel 1935 e scomparsa a soli trentadue anni. Ha fatto della libertà il principio fondamentale per la sua opera artistica e per la sua esistenza privata, riuscendo a rinnovare la poesia.
Forugh Farrokhzad è la più importante poetessa persiana del Novecento, popolarissima in Iran.
Alcune Poesie della poetessa
“Una finestra”
Una finestra per vedere
una finestra per sentire
una finestra che come bocca di un pozzo
giunga in fondo al cuore della terra.
E si apra lungo questa continua grazia azzurra,
una finestra che nel favore notturno del profumo di nobili stelle
trabocchi di piccole mani della solitudine,
e da lì potremo invitare il sole
all’esilio dei gerani.
Mi basta una finestra.
Vengo dal paese delle bambole
sotto l’ombra di alberi di carta
nel giardino di un libro illustrato
dalle stagioni secche dell’esperienza arida dell’amicizia e dell’amore]
dai sentieri polverosi dell’innocenza
dagli anni fiorenti nelle pallide lettere dell’alfabeto
da dietro i banchi di una scuola malsana
quando i bambini ormai sapevano
scrivere sulla lavagna la parola pietra
gli stormi confusi volarono dai vecchi alberi.
Vengo dal cuore fra le radici di piante carnivore
e la mia testa ancora
trema all’urlo terribile di una farfalla
crocifissa sull’album con uno spillo.
Quando la mia fede era impiccata alle fragili corde della giustizia
e in tutta la città
facevano a pezzi il cuore dei miei occhi,
quando soffocarono con il fazzoletto nero della legge
gli occhi infantili del mio amare
e dalle tempie pulsanti della mia speranza
sgorgavano fiotti di sangue,
quando la mia vita ormai non era più nulla,
nulla, se non il tic-tac di un orologio,
capii che dovevo amare,
amare, amare follemente.
Mi basta una finestra.
una finestra nell’ora dell’intesa, dello sguardo, del silenzio.
Adesso l’albero di noci è talmente cresciuto
che spiega alle sue giovani foglie
la presenza del muro.
Chiedi allo specchio
il nome che ti salverà,
la terra che freme sotto i tuoi passi
non è più sola di te stessa?
I profeti del nostro tempo
hanno forse portato le scritture della rovina?
Queste esplosioni continue,
e le nuvole sporche
sono forse l’annuncio di un canto sacro?
Tu, amico, tu, fratello, tu che hai il mio stesso sangue
quando arriverai sulla luna
scrivi la storia della strage dei fiori.
Sempre i sogni
s’infrangono dall’alto e muoiono,
io annuso il quadrifoglio
che spunta sulla tomba di antichi sensi.
La donna che divenne polvere nel sudario dell’attesa e del pudore,]
era forse la mia giovinezza?
Salirò di nuovo, io, per le scale della curiosità
per salutare il buon Dio che cammina sul tetto di casa?
Sento che il tempo è trascorso
sento che è un istante la mia parte
tra le pagine di storia
sento che il tavolo è il pretesto di una pausa
tra i miei capelli e le mani di questo triste sconosciuto.
Parla, parla con me
esiste forse qualcuno che conceda a te il suo corpo caldo?
E da te non desideri altro che sentire la vita che scorre?
Parla, parla con me,
salva,
al riparo della mia finestra,
sono amica del sole.
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“Un’altra nascita”
La mia intera vita è un canto oscuro
che nel continuo ripeterti
ti porterà all’alba di eterne crescite e fioriture.
Ti sospiro, oh, e sospiro in questo canto
in questo canto ti ho unito all’albero
ti ho unito all’acqua
ti ho unito al fuoco.
Forse la vita
è una lunga via attraversata ogni giorno da una donna con una cesta in mano]
forse la vita
è una corda con cui un uomo si appende dal ramo di un albero
forse la vita è un bambino che torna da scuola e…
Forse la vita è una sigaretta accesa, nella languida pausa fra due amplessi]
o un passante che passa stupito
e solleva il cappello
e – Buongiorno! – dice, con un sorriso senza senso a un altro passante.]
La vita forse è quel momento serrato
in cui il mio sguardo si annulla nelle pupille dei tuoi occhi,
presentendo che mi mescolerò
alla comprensione della luna, alla conquista del buio.
In una stanza grande quanto una solitudine
il mio cuore
grande quanto un amore
attende i pretesti semplici della sua felicità
e il delicato appassire dei fiori nel vaso
e l’alberello che hai piantato nel giardino di casa nostra
e la voce del canarino
che canta nello spazio di una finestra.
Ecco,
questa è la mia parte
questa è la mia parte
la mia parte
è un cielo che una tenda scosta da me
la mia parte è venir giù da gradini abbandonati
e raggiungere una cosa appassita d’altri tempi
la mia parte è una passeggiata malinconica nel giardino della memoria.]
E morire nella tristezza di una voce che mi dice
– Amo, amo le tue mani –
Seminerò le mie mani in giardino
diverrò verde, lo so, lo so,
lo so,
e le rondini deporranno le uova
nelle pieghe delle mie dita sporche d’inchiostro.
Incollerò alle mie unghie due petali di dalia,
e indosserò i due rossi orecchini
di due rosse ciliege gemelle.
E c’è una strada dove i ragazzi che mi amavano
sono ancora lì
con i loro capelli spettinati e i colli sottili e le gambe magre,
pensano ancora al sorriso innocente di quella ragazza
che una sera il vento portò via con sé.
C’è una strada che il mio cuore
ha rubato ai quartieri dell’infanzia.
Il viaggio di una sagoma lungo la linea del tempo
fecondare con una sagoma la sterile linea del tempo,
la sagoma conscia di un’immagine
che poi ritorna
da una festa nello specchio.
Ed è così che qualcuno muore
e qualcuno resta.
Nessun pescatore raccoglierà mai la perla dall’esile ruscello che sfocia in un fosso.]
Conosco una piccola triste fata
che vive nell’oceano
e suona il suo cuore in un flauto di legno,
piano piano,
piccola triste fata,
che a notte muori con un bacio
e all’alba, con un bacio,
tornerai al mondo.
Forugh Farrokhzad