Ciao Nadia, benvenuta a “Due chiacchiere con lo scrittore”.
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Jenny: Quali sono le fonti di ispirazioni di cui di servi quando scrivi?
Nadia: La mia ispirazione deriva dalla vita reale, eroi ed eroine che sono oltraggiate e che hanno perso la loro dignità. I traggo anche ispirazione dagli scritti altrui, dalle persone che sono abili a far batter i nostri cuori e a espandere le nostri menti, attraverso un mero componimento di poche lettere su una pagina bianca.
Io, inoltre, non sono sicura se il caffè sia più una ispirazione o un carburante.
Jenny: Quando finisci di scrivere, fai leggere a qualcuno i tuoi scritti per avere un parere?
Nadia: Mio marito è la mia “cassa di risonanza”. Io discuto con lui tutti i miei racconti con grande complicità
Qualsiasi cosa, dalla trama alle sfumature dei personaggi. I condivido, inoltre, il mio lavoro con i miei agenti, entrambi, infatti, mi hanno sempre fornito degli ottimi suggerimenti per dare una forma ai miei romanzi.
Jenny: Da dove è arrivata l’ispirazione per “Il cielo piu’ azzurro?”
Nadia: L’ispirazione è giunta tramite la molto discussa e polemica questione sull’immigrazione. I politici vogliono affrontare questo problema per guadagnare i loro voti. Il governo vuole affrontarlo per ragioni finanziarie.
Ma chi ha veramente a cuore il problema sono le madri e i padri, i figli e le figlie che stanno lottando per sopravvivere. Le persone fuggono dalle terre devastate dalla guerra, dalle città afflitte dalla violenza, dall’estremismo e dalla povertà. È travolgente comprendere le ragioni per cui milioni di persone si muovono oltre i confini, ma è più facile capire la storia di un ragazzo e di una madre che farebbe qualsiasi cosa per concedergli di vivere una vita migliore.
Jenny: Hai un personaggio preferito fra quelli del tuo romanzo? Se si, chi è, e perché?
Nadia: io amo ognuno dei personaggi: dal vicino di casa brontolone all’esuberante Max che si rifiuta di essere definito malato o limitato dalla sua malattia. E’ impossibile sceglier un personaggio preferito, dato che ognuno tra loro ha un preciso scopo nella storia. Sto attenta a plasmare nessuno di loro a mia somiglianza. Io lavoro duramente per renderli coraggiosi, piu’ intelligenti, piu’ divertente o piu’ cattivi di me in modo che siano credibili come personaggi.
Jenny: Perché hai voluto raccontare questa storia?
Nadia: Io ho voluto scrivere questa storia per dare ai giovani lettori una chanche per poter trarre delle conclusioni riguardo l’immigrazione. Loro conoscono questo problema, ma in maniera macro, loro, in realtà, vivono in un piccolo modo, incontrano altri bambini con esperienze di vita differenti. Io ho voluto che questa storia fosse un inizio di conversazione da approfondire e non una lettura didattica come loro potrebbero pensare.
Jenny: Molte persone nel mondo reale hanno dovuto abbandonare la loro patria, come la mamma di Jason. Il tuo romanzo è dedicato anche a loro?
Nadia: Certamente! Questa storia è stata ispirata dai miei genitori che si sono rivelati così coraggiosi da abbandonare la loro terra natia in cerca di un futuro luminoso e da molte altre famiglia che hanno compiuto la stessa esperienza. La storia della mia famiglia è una piccola componente della crisi mondiale dei rifugiati, di milioni di persone che fuggono dalle terre lasciando alle loro spalle, con montagne aspre e mari mossi, che hanno dovuto attraversare prima di poter riposare. Spero che questa storia faccia giustizia e porti una maggiore comprensione nel mondo.
Jenny; Hai già in mente una nuova avvincente trama?
Nadia: Io ho in mente un’altra storia per i giovani lettori, ma è ancora troppo presto per parlarne. Per ora i personaggi esistono nella mia mente, trascorrono del tempo e aspettano per me di finire il manoscritto a cui sto lavorando. E’ un privilegio essere in grado di condividere queste amici immaginari con tutto il mondo e io sono immensamente grata a ogni lettore.
Grazie, Jenny, per aver speso parte del tuo tempo per me.
Grazie a te per avermi concesso l’intervista!
foto presa dal web
Nadia Hashimi è nata a New York da genitori afghani, emigrati in America nei primi anni Settanta, ed è cresciuta circondata da una numerosa famiglia che ha tenuto viva la cultura del paese d’origine. Nadia oggi vive in Maryland con il marito e due figli, e di professione fa la pediatra. Ha esordito con il romanzo Due splendidi destini (Piemme, 2015), che è stato un successo del passaparola, elogiato tra gli altri anche da Khaled Hosseini. Quando la notte è più luminosa è il suo secondo romanzo, accolto con uguale entusiasmo dai suoi numerosi lettori.
Hai dodici anni e sei nato in America. Tua madre è afghana e tutto ciò che sai di tuo padre è che una guerra stupida l’ha ucciso. Poi un giorno arriva la polizia, e vedi tua madre presa di forza e portata via, perché immigrata clandestina. La sua presenza è “illegale” nel Paese dove tu sei nato, cresciuto, l’unico Paese che puoi chiamare “casa”. Comincia così la fuga di Jason, improvvisamente straniero a casa propria, per sfuggire alla polizia che ha preso sua madre, e per raggiungere New York, dove una zia è tutto ciò che gli resta della famiglia che credeva di avere. Una vera e propria avventura, per un ragazzino, nella giungla di una città che si rivela molto più amichevole del previsto. Soprattutto grazie a Max: conosciuta per caso in una corsia d’ospedale, dove Jason finisce per uno svenimento, Max è una ragazzina molto speciale, pronta ad aiutarlo e a dargli saggi consigli. Tra incontri bizzarri, nuove amicizie, paura e speranza, Jason riuscirà a ricongiungersi con la zia, e soprattutto a rivedere sua madre e a compiere quella che ormai è la sua missione: ricominciare daccapo, in America, con lei, che nel frattempo ha chiesto asilo politico. Perché nessuna legge può avere il potere di distruggere una famiglia.
Altri libri dell’autrice
Rahima è una bambina a Kabul, oggi. È una bambina fortunata: perché, essendo la più piccola di quattro sorelle, secondo un’antica usanza afghana, si vestirà da maschio, e di un maschio avrà tutta la meravigliosa libertà di correre, giocare, andare a scuola. Ma solo finché non raggiungerà l’età da marito: allora, tornerà nella stessa ombra in cui vivono le sorelle e la madre. C’è una sola donna, nella sua famiglia, che può capire la sua disperazione: è la zia Shaima, la zia zitella che tutti compiangono. Sarà lei a raccontare a Rahima la storia di un’altra donna della loro famiglia, Bibi Shekiba. La bisnonna bellissima, ma col viso deturpato dall’olio bollente, che visse una vita ribelle e anticonformista, non accettando mai il compromesso. La storia coraggiosa della sua antenata spingerà anche Rahima – nonostante venga data in sposa contro la sua volontà – a non perdere la speranza, e a lottare perché anche il suo destino possa essere, un giorno, splendido e luminoso come fu quello della bisnonna
Fereiba è una maestra, ed è cresciuta in un Afghanistan dove la felicità e l’amore erano sogni possibili. I talebani non avevano ancora preso il potere, e suo marito tornava a casa ogni sera da lei e dai loro tre bambini. Finché un giorno non è più tornato. È stato allora che Fereiba ha capito che il suo paese non era più casa sua, ed è partita, insieme ai suoi bambini, verso un posto dove ricominciare, vivere, e dimenticare. L’Inghilterra. Attraversando l’Iran, poi la Grecia, col cuore spezzato dalla tristezza, Fereiba accompagna così i suoi figli verso la salvezza. Finché, nella piazza del mercato di una città greca, Saleem, il figlio più grande, sparisce nella folla. Da quel momento Fereiba avrà una duplice missione: mettere in salvo i due figli più piccoli e ritrovare Saleem, prima che sia troppo tardi. Perché Fereiba sa che anche nelle notti più buie prima o poi sorge la luna, a rischiarare e illuminare la strada.
«Un’occasione così è una fortuna e certe ragazze farebbero di tutto per essere al tuo posto. E poi non sarà per sempre…» Così dice la mamma di Obayda prima di prendere le forbici e tagliarle i capelli, trasformandola in una bacha posh, una bambina che indossa i pantaloni e risolve tutti i problemi della famiglia. Superate le prime difficoltà, Obayda scopre che in fin dei conti mamma aveva ragione: essere maschi offre un sacco di vantaggi nelle zone rurali dell’Afghanistan. Per esempio allontanarsi da casa, giocare in mezzo alla strada, arrampicarsi sugli alberi… una libertà impensabile per una bambina di dieci anni. Ecco perché, quando scopre che è ora di tornare a essere una femmina, Obayda decide che anche una leggenda, quella secondo cui passare sotto l’arcobaleno può trasformare le ragazze in ragazzi, è qualcosa a cui aggrapparsi. A tutti i costi… Età di lettura. da 10 anni.
È un giardino piccolo, quello di Zeba, con un cespuglio di rose in un angolo, ma è il suo giardino. E mai avrebbe immaginato di trovarvi, in un mattino di sole, il corpo senza vita di suo marito. E così proprio lei, moglie innamorata e madre generosa, si ritrova accusata di aver compiuto il crimine che rovinerà per sempre la sua famiglia. È così che funziona, in Afghanistan. Zeba, per lo shock, non è in grado di spiegare dove fosse quando l’omicidio è stato compiuto: e, in un attimo, diventa lei l’unica colpevole possibile. Colpevole di avere, forse, ucciso suo marito, ma soprattutto di non aver saputo badare a lui, come se aver perso per sempre l’uomo che amava fosse una sua colpa. Arrestata e imprigionata, Zeba finisce così nella “casa senza finestre”, una sorta di prigione per sole donne, chiamata Chil Mahtab, quaranta lune, il tempo minimo che una donna condannata deve passarci. Un posto dove finiscono le donne come Zeba, dietro le quali gli uomini nascondono la propria debolezza; o quelle troppo pericolose, che non stanno zitte; o, ancora, quelle la cui vita è stata rovinata in nome di un onore che non appartiene a nessuno, di sicuro non agli uomini. Con loro, Zeba stringerà amicizie e legami: perché c’è più aria nella casa senza finestre che nel mondo là fuori