Intervista a Katia Tenti

foto presa dal web

Katia Tenti è nata e vive a Bolzano. Si è laureata a Trento e per anni si è impegnata nell’approfondimento dei fenomeni di devianza sociale. Dopo essersi occupata di cultura, di teatro e di arte contemporanea, oggi ha scelto di dedicarsi alla scrittura. Per Marsilio Editori ha pubblicato Ovunque tu vada (2014) e Nessuno muore in sogno (2017).


A prima vista, il castello di Fiè allo Sciliar appare come un luogo incantato, una fortezza fiabesca scolpita nell’onice bianco, che si erge maestosa sulle Dolomiti. Ma dietro la sua bellezza si nasconde una storia oscura e drammatica. Nel Cinquecento, tra quelle mura imponenti si consumò uno dei processi più crudeli dell’epoca: trenta donne innocenti furono accusate di stregoneria, torturate e bruciate sul rogo, senza che nessuno osasse provare pietà per loro.

Barbara Vellerin era una di queste donne. Cresciuta a contatto con la natura, dedita alla cura dei malati e allo studio delle piante, la sua vita serena venne spezzata quando il sospetto e la superstizione si diffusero nel villaggio come un’epidemia. Cinquecento anni dopo, Arianna Miele, giovane antropologa, si ritrova a curare una mostra sulle streghe dello Sciliar, convinta che sia l’occasione per dare una svolta alla sua carriera e alla sua vita. Ma presto scoprirà una verità sconvolgente sull’eroe locale, Franziskus von Stauber, e darà finalmente voce a chi ne è stata privata per secoli.

Un romanzo che intreccia passato e presente, svelando segreti dimenticati e raccontando la forza di donne che non hanno mai smesso di lottare.


Buongiorno Katia, benvenuta a “Due chiacchiere con lo scrittore” grazie per aver accettato il mio invito a condividere con me e i lettori alcuni aneddoti del tuo romanzo “E ti chiameranno strega” pubblicato da Neri Pozza

Per ricostruire il contesto storico, ho innanzitutto condotto un’approfondita ricerca basata su fonti primarie e secondarie: documenti d’archivio, saggi storici, e atti di convegni specifici sul processo alle streghe di Fiè allo Sciliar. Ho fatto diversi sopralluoghi nel castello di Presule, parlato con le guide del posto. Ho consultato esperti e studiosi per assicurarmi di comprendere appieno la portata degli eventi. La vera sfida è stata trovare un equilibrio tra l’accuratezza storica e l’esigenza narrativa. Volevo creare un dialogo tra passato e presente che risultasse naturale, pur sapendo che stavo raccontando la storia di donne vissute a cinquecento anni di distanza. È stato fondamentale mantenere coerenza nel tono e nella voce dei personaggi, pur trattandosi di un’opera di fantasia.

Barbara è un personaggio fittizio, ma rappresenta una sintesi di molte delle donne realmente accusate di stregoneria in quel periodo. Alcune di queste donne sono ricordate solo attraverso frammenti documentari, quindi ho voluto dare a Barbara la forza e la complessità che queste storie meritano. Ciò che mi ha colpito maggiormente è l’ingiustizia subita da queste donne, condannate non solo per le accuse di stregoneria, ma anche per la loro volontà di non conformarsi alle rigide aspettative sociali. Ancora oggi, una donna che sceglie di vivere fuori dagli schemi rischia l’emarginazione. La storia di Barbara ci mostra quanto sia potente l’invidia sociale e quanto facilmente possa essere manipolata per opprimere chi è diverso.

Il legame tra Barbara e Arianna risiede nella loro comune esperienza di donne che si scontrano con una società che le giudica e le marginalizza. Sebbene vivano in epoche diverse, le dinamiche di oppressione e discriminazione restano simili. Oggi, nonostante il progresso, esistono ancora forme di esclusione, anche se non si tratta più di condanne fisiche. Il loro rapporto nasce proprio da questa consapevolezza condivisa: il passato getta una lunga ombra sul presente e molte delle battaglie di allora sono ancora attuali.

Queste tematiche sono più rilevanti che mai. Basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanta strada c’è ancora da fare per l’emancipazione femminile, in ogni parte del mondo. Ci sono luoghi dove le donne non possono nemmeno andare a scuola, figuriamoci esprimere la propria individualità. Attraverso il mio romanzo, voglio invitare i lettori a riflettere sulle ingiustizie passate e presenti, senza però proporre una lettura politica. Spero che chi legge possa cogliere la profondità delle verità raccontate e comprendere che, in fondo, il desiderio di libertà e di rispetto è universale.

Le riflessioni presenti nel libro sono quelle che ogni donna, in un modo o nell’altro, ha fatto o fa. Non ho voluto raccontare esperienze personali, ma piuttosto dare voce a riflessioni universali che accomunano molte donne, oggi come allora.

Assolutamente sì. La letteratura ha il potere di illuminare quelle parti di storia che sono state oscurate o travisate. Nel caso delle streghe dello Sciliar, ad esempio, spesso ci si è limitati a un’interpretazione folkloristica, dimenticando che queste donne sono realmente morte sul rogo. Raccontare le loro storie con onestà e rispetto è un atto di giustizia. Oggi, molte scrittrici, come ha fatto al meglio Michela Murgia, stanno facendo un lavoro straordinario per riscrivere queste narrative, restituendo dignità e voce a chi l’ha persa nel corso dei secoli.

Grazie mille, Katia, per aver condiviso con noi alcuni retroscena sul tuo romanzo e per la tua disponibilità

Grazie a te


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Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la responsabile editoriale della rivista on-line "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga. Ha conseguito il corso di formazione "lettura e benessere personale come rimedio dell'anima"