Intervista a Ilaria Rossetti

foto presa dal web

Ilaria Rossetti è nata a Lodi nel 1987. Nel 2007 ha vinto il premio Campiello Giovani con il racconto La leggerezza del rumore (poi pubblicato da Marsilio). Ha scritto i romanzi Tu che te ne andrai ovunque (2009) e Happy Italy (2011), entrambi per Giulio Perrone editore, Le cose da salvare (Neri Pozza 2020), vincitore del premio Neri Pozza, del Premio Salerno Libro d’Europa e del premio del Circolo dei lettori di Milano (sezione giovani), e il saggio Stig Dagerman. Il cuore intelligente (FVE Editori 2021). Insegna alla Scuola Holden di Torino.


La fabbrica Sutter & Thévenot, situata a Castellazzo di Bollate, diviene il fulcro della narrazione, dove centinaia di giovani donne operano nei turni per fornire munizioni ai soldati sul fronte. Intanto, i giovani uomini, strappati dalle loro famiglie e dal lavoro, si trovano a combattere nelle trincee.

Ilaria Rossetti rievoca un episodio quasi dimenticato e più attuale che mai: il lavoro femminile e le morti bianche durante la guerra. Attraverso le voci di tante piccole vite, questo romanzo trasforma la testimonianza storica in una richiesta di ascolto e comprensione.”


Ciao Ilaria, benvenuta a “Due chiacchiere con lo scrittore”. È un piacere averti qui con noi per parlare del tuo romanzo “La fabbrica delle ragazza” edito da Bompiani

Cosa ti ha ispirato a raccontare questa storia ambientata durante la Prima guerra mondiale?

Ho incontrato la vicenda della fabbrica Sutter&Thévenot per caso, mentre iniziavo a costruire una nuova storia, e c’è stato quasi un riconoscimento: mi sono sempre interessata di questioni legate al lavoro e alla cultura (nonché ahimé non cultura) del lavoro e questo fatto storico, con la sua enormità e la sua profonda attualità – si parla di sicurezza sul lavoro e di morti bianchi, di guerra, di lavoro femminile, di emancipazione, di corpi -, mi ha davvero investita.

La fabbrica Sutter & Thévenot a Castellazzo di Bollate è il fulcro della vicenda. Cosa puoi dirci su questo luogo e sulla sua importanza nella tua narrazione?

Questa è una fabbrica che viene installata a Castellazzo di Bollate, alle porte di Milano, durante la Prima Guerra Mondiale, con lo scopo di produrre munizioni e bombe per l’esercito italiano. In quel periodo gli uomini sono al fronte, quindi la stragrande maggioranza delle persone che ci lavorano sono donne. Il 7 giugno 1918 è un venerdì: intorno alle 13.50 alla fabbrica si verifica un’esplosione enorme, che ucciderà 59 persone, di cui 52 donne. Un fatto gravissimo, che però per ragioni di propaganda bellica e necessità militari verrà fatto passare sotto silenzio. Praticamente è il nostro 8 marzo. Da qui si muovono le vicende del romanzo, che in realtà riguardano soprattutto le conseguenze di questa tragedia e che seguono vari personaggi, come Emilia Minora, operaia della fabbrica, e i suoi genitori Martino e Teresa, il disertore Corrado, il carabiniere soprannominato Drumedari, ma anche la proprietaria della latteria, il farmacista del paese, il paese.

Hai utilizzato una lingua intensamente poetica e venata di dialetto nel romanzo. Come mai questa scelta stilistica?

Per me la forma, la lingua, è il centro della scrittura. La vera questione, il vero tavolo di lavoro – forse addirittura più che quello che raccontiamo mi interessa come la facciamo. Credo, al quarto romanzo, di avere maturato una mia voce, che poi si evolve a seconda del ragionamento e della visione che una storia vuole portare: in questo caso volevo ricreare un mondo molto distante dal nostro tempo, semplice, rurale, ancora profondamente connesso al paesaggio, pieno di non detti e di silenzio.

La storia dell’esplosione della fabbrica Sutter & Thévenot è stata precedentemente raccontata da Ernest Hemingway. Come hai approcciato questo episodio storico nel tuo romanzo?

Nel romanzo Hemingway fa un piccolo cameo, ma fondamentale perché dà l’avvio al racconto della giornata dell’esplosione, con l’arrivo dei soccorsi sul posto. Lui come sappiamo ci andò davvero, insieme alla Croce Rossa Americana, e mi sembrava un destino così assurdo e potente: una storia che poi in Italia verrà dimenticata per un secolo incrocia quella di uno dei più grandi scrittori del Novecento.

Cosa speri che i lettori portino con sé dopo aver letto il tuo romanzo?

Sicuramente una memoria rinnovata, che faccia posto alla storia delle vittime della Sutter&Thévenot, ma anche un certo senso di complessità: le persone non sono mai del tutto buone o del tutto cattive, la santificazione della vittima è una cosa molto pericolosa, il potere va sempre guardato con attenzione e criticità, le guerre non finiscono mai davvero per tutti, l’emancipazione femminile è una battaglia che non è finita, in Italia di lavoro si moriva nel 1918 e si muore anche nel 2024. Insomma, tante cose, tanti strati.

Grazie mille, Ilaria, per aver condiviso con noi il dietro le quinte del tuo romanzo. È stato un piacere parlare con te.

Grazie a voi!



Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la curatrice del blog letterario "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga.