Yorkshire, estate 1897. É l’ultimo giorno di scuola, e Tommy Green si attarda in classe dopo il suono della campanella perchè spera che Latimer, il maestro, gli consigli di proseguire gli studi. Come il nonno, il padre e i fratelli prima di lui, a dodici anni il ragazzo è destinato a passare il resto dei suoi giorni nel ventre della terra a estrarre carbone. Una sorte fatta di spaventosa fatica, cunicoli soffocanti e polvere nera. Un destino nefasto che ha ucciso suo fratello Dan a diciassette anni, e che lega tutti gli abitanti di Grindley alla miniera di proprietà dei Sedgewick di Silvermoor. La risposta di Latimer è perentoria e raggelante: chi si crede di essere quel ragazzo di Grindley? È il più bravo a scuola, e allora? Lo è solo perché gli altri sono più ignoranti. Non c’è futuro per gente come lui se non il carbone. Ognuno è nato nel posto che gli compete, come tuona il predicatore Tawney ogni domenica dal pulpito. Trascorre quasi un anno, e la primavera successive Tommy conosce Josie Westgate, della rivale cittadina mineraria di Arden. A differenza di Tommy, Josie non ha mai pensato a un destino diverso da quello di moglie di minatore e madre di minatori. Per questo l’incontro con lo spilungone riccio dagli occhi verdi, che sogna di andare in Africa a domare i leoni, è per lei di quelli che cambiano la vita. Ma mentre lui è cresciuto in una famiglia affettuosa, Josie combatte da sempre contro l’incomprensibile disprezzo della madre ed è in balìa, insieme ai suoi compaesani, della crudeltà dei Barridge, padroni spietati con un pezzo di carbone al posto del cuore. Il nuovo secolo però è alle porte e già si annunciano grandi rivolgimenti sociali. Sempre insieme di fronte alle avversità, l’uno a sostegno dell’altra, Tommy e Josie abbracceranno il vento del cambiamento e della rivolta. Verranno a conoscenza di un oscuro segreto che riguarda Heston Manor, la dimora dei Barridge abbandonata in seguito alla tragica morte del primogenito.
Un segreto che stravolgerà la loro vita e quella della loro comunità.
«La scrittura elegante e d’atmosfera, la fedele ambientazione storica: ecco il marchio di fabbrica di Tracy Rees». Lucinda Riley
«Una lettura intensa, affascinante e romantica». Joanna Courtney
«Tracy Rees ha la rara capacità di farci affezionare ai suoi personaggi fin dalle prime pagine. È un romanzo coinvolgente e toccante, con una storia d’amore che commuove». Gill Paul
A Phil,
ai miei genitori
e
in memoria di mio nonno, Leonard Rees,
che faceva il minatore nel Galles del sud
Prima parte
1.
Tommy
Estate 1897
«Scusate, maestro».
Era appena suonata la campanella che segnalava il termine della nostra ultima giornata di scuola. Gli altri ragazzi erano scomparsi in un batter d’occhio, scatenando un intrepido fuggi fuggi. Per loro finire la scuola significava iniziare una nuova stagione della vita; la possibilità di guadagnare uno stipendio per la famiglia. Subentrare nel lavoro che svolgevano da generazioni, affrontare le sfide dei nostri antenati: ecco cosa significava diventare uomo nelle miniere di carbone. Ma io restai indietro.
Osservai il maestro Latimer riordinare la cattedra e scrollare la giacca che quando faceva lezione appendeva allo schienale della sedia. La bianca polvere di gesso si era depositata sopra quella di carbone che noi tutti indossavamo e respiravamo. Quando ci leccavamo le labbra dovevamo deglutirla. Quel miscuglio di bianco e nero conferiva a Latimer un aspetto stranamente grigio e quasi scolorito.
Mi guardò. «Tommy Green. Ancora qui? Vuoi qualcosa?»
«Gradirei scambiare due parole, signore, vi chiedo solo un istante del vostro tempo».
Latimer continuò a scrollare la giacca e a riordinare i gessetti. Io ero irrequieto e non sapevo dove mettere le mani. Non sapevo nemmeno quali domande fargli. Non conoscevo nulla, a parte le miniere di carbone e i loro proprietari. Che cosa potevo chiedergli?
«Grazie, signore. È solo che, vedete…» Feci un profondo respiro. «Voi siete sempre stato così buono da dire che a scuola sono bravo, signore».
Speravo che mi avrebbe aiutato a proseguire. Forse mi avrebbe interrotto per aggiungere: «Ma certo che lo sei, Tommy! In tutta la mia carriera non ho mai visto un ragazzo così promettente. In miniera saresti sprecato…»
Lui però non disse niente. Ripulì la lavagna, cancellò i proverbi e i versi a cui si era ispirato per impartirci le ultime lezioni su grammatica e morale, e con essi vidi sparire anche le mie speranze.
Nel corso di quegli anni di scuola avevo lavorato duro, guadagnandomi le sue lodi. Avevo vinto dei premi, per tre anni di fila, che durante il catechismo domenicale mi erano stati conferiti dal conte, tutto sorridente, mentre mia mamma, con la cuffietta, applaudiva con scarso entusiasmo. Nessuno di noi era mai arrivato così vicino al padrone della miniera e ogni volta mi aveva stretto la mano e mi aveva detto che ero un ragazzo sveglio. La seconda sarei stato pronto a salutarlo come un vecchio amico, ma lui non diede a vedere di aver riconosciuto lo stesso ragazzo sveglio dell’anno prima.
La terza volta era in compagnia di suo figlio, di sei anni. Il mio quinto compleanno cadeva proprio nel giorno del battesimo del giovane lord Walter Sedgewick e tutti gli abitanti del paese erano stati invitati a Silvermoor per i festeggiamenti, culminati con dei fuochi d’artificio. Questo fatto mi aveva sempre spinto a immaginare tra noi un’affinità. Anche lui mi aveva stretto la mano, solenne come un piccolo giudice. L’avevo fissato fieramente negli occhi. Non mi riconosci? era stata la mia muta domanda. Sei stato battezzato il giorno del mio compleanno, noi due siamo uniti. Ma mi era sembrato soltanto un po’ spaventato. Quando gli avevo lasciato la mano, si era ripulito una macchia di polvere di carbone che gli avevo lasciato sul polsino.
Non avevo dimostrato il mio valore soltanto a scuola. Avevo anche accontentato mio padre affrontando decine di piccole sfide virili. Ero andato a caccia di conigli e quand’ero scoppiato a piangere lui mi aveva appioppato uno schiaffo. All’età di nove anni ero rimasto chiuso nella carbonaia per tutta la notte, così mi sarei abituato ad affrontare l’oscurità da solo, diceva lui. Avevo dovuto guardare dei cadaveri, fissandoli negli occhi sgranati; mi sarebbe toccato vedere la morte parecchie volte, diceva.
Io invece sognavo con tutte le mie forze di lasciare Grindley e andare lontano. Sognavo di incontrare persone che si occupavano e parlavano d’altro, a parte le miniere. Sognavo stanze piene di libri. Ma ogni volta che queste speranze sfuggivano mio malgrado dalle mie labbra di ragazzo, dovevo subire le cinghiate di mio padre. Così imparai a stare zitto.
Quand’ero molto piccolo il mio sogno a occhi aperti preferito era che un giorno il conte sarebbe venuto a trovarci nella nostra casetta e ci avrebbe rivelato che ero un suo figlio da lungo tempo perduto, e fratello di Walter. Sarei andato a vivere a Silvermoor e avrei cavalcato pony tutto il giorno. Ma quando crebbi e cominciai a comprendere quel genere di cose, mi resi conto che quella fantasia avrebbe potuto realizzarsi soltanto a condizione di svergognare mia madre e questo non sarebbe mai accaduto, a meno che lei non fosse stata una persona molto diversa.
Nonostante tutti i miei tentativi di crescere bene, la vita mi aveva messo davanti lo stesso numero di strade che toccavano a tutti noi: una sola. Lavorare in miniera. E ora mi ritrovavo, dodicenne, a coltivare la disperata speranza di far cambiare rotta al mio destino.
Latimer si apprestò al compito successivo, risistemando i libri nell’armadio di legno che per noi era la biblioteca.
«Mi chiedevo, signore, se potrebbe esserci… se potessi…»
Non avevo mai avuto tanto bisogno di andare in bagno, ma riuscii a trattenermi. «Esiste la possibilità di continuare gli studi, signore? Pensate che io ce la possa fare? C’è qualcosa che posso fare nella vita a parte lavorare in miniera? Voi non potete aiutarmi, maestro? Vi prego».
«Senti, senti» disse lui alla fine infilandosi la giacca. «Sei bravo nell’imparare quel che c’è scritto nei libri, forse, ma è chiaro che non hai appreso le lezioni più importanti. Umiltà, accettazione, senso del dovere. Tu sei figlio di un minatore, Tommy, e nipote di un minatore. Non provi rispetto per loro e per quello che fanno?»
«No, no!» risposi concitato. «Non volevo dire questo, signore… ma so che là fuori, oltre Grindley, c’è un mondo. So che ci sono persone che non lavorano sottoterra e mi chiedevo solo se per me esiste il modo di diventare uno di loro. Io non voglio mancare di rispetto a nessuno, signore».
«Capisco». Si sedette e unì le mani a piramide davanti a sé, sul piano della cattedra. Per anni ero rimasto a guardare il maestro Latimer seduto in quella posizione. «Mi dispiace, Green, di averti dato falso motivo d’orgoglio. È vero che parecchie volte sei stato il primo della classe, ma questo non fa che riflettere la triste mancanza di intelligenza di base di cui è dotata la maggior parte dei bambini di Grindley. Non è colpa loro, è questione di razza. Qualcuno deve pur stare ai vertici, Tommy. In una minuscola scuola di paese dove i cervelli più ottusi riescono ad afferrare soltanto le informazioni più semplici, quel qualcuno sei stato tu».
Mi sentii avvampare ma non piansi, altro ostacolo che avevo superato grazie a mio padre.
«Ma, ma, signore… il conte…»
Lui a quel punto mi lanciò uno sguardo tagliente. «Il conte?»
«Lui… Ha detto che sono un ragazzo sveglio. Quando mi ha consegnato il premio».
Il maestro sbuffò. «Durante una premiazione non pretenderai che ti dia dell’asino. Si è trattato soltanto di buona creanza, Green, non era da prendere alla lettera. Tutto è relativo, capisci? Relativo».
Io non capivo, ma ci provavo, perché lo facevo sempre quando mi trovavo davanti a qualcosa di nuovo o difficile. «Questo significa forse che non sono intelligente, maestro, ma che lo sembro soltanto, se messo vicino a qualcuno che non lo è?»
Dal suo viso un po’ di rabbia scomparve. «Green, devi capire che il mondo là fuori è più complesso di quanto tu possa mai immaginare. Le sue vastità e i suoi domini non sono posti per persone come te. Qui sei il più bravo della scuola. Ma là fuori, non saresti niente. Ti schiaccerebbero in un istante, proprio come sono rimasti schiacciati quegli uomini a White Arrow Drift, tanti anni fa. Il pastore non ci ripete sempre che su questa terra siamo nati nel posto che ci compete? Dubiti forse del progetto di Dio?»
Sentivo che mi si era annodata la lingua. Anzi, mi si era proprio bloccata in gola, formava una specie di nodo appiccicoso e non riuscivo né a deglutire né a parlare. Chinai la testa e restai lì, con il viso in fiamme.
«Credo proprio di no» concluse lui come se avessi assentito. «Adesso vai, ragazzo, e per ricompensarti delle tue fatiche in questa scuola non dirò niente a tuo padre. Ma se me ne parlerai ancora farò in modo che ti dia una bella lezione, in modo da toglierti queste idee dalla testa».
Sarebbe stato il carico di bastonate più pesante di tutta la mia vita, lo sapevo bene. Sussurrai: «Ma allora… non esiste nulla? Per me?»
«Nulla» ripeté lui.
Gli voltai le spalle e uscii dall’aula per l’ultima volta. Sulla porta, né il buon senso né la saggezza riuscirono a impedirmi di girarmi e rivolgergli un’ultima domanda: «Che lavoro faceva vostro padre, signore? Anche lui era maestro?»
Il cancellino sfrecciò nell’aria con maligna precisione. «Fuori, Green!» …
Tracy Rees è nata nel Galles e laureata a Cambridge, ha scritto diversi saggi. Il suo primo romanzo, Amy Snow, è stato pubblicato in Italia da Neri Pozza nel 2016. Con la stessa casa editrice ha pubblicato anche Florence Grace, nel 2017 e Casa Silvermoor, nel 2022