“Il mistero della Pittrice Ribelle” di Chiara Montani edito da Garzanti disponibile in libreria e on-line dal 7 Gennaio 2021. Estratto

TRAMA

«Chiara Montani non scrive, dipinge! Le sue parole sono pennellate, le sue pagine affreschi dai colori smaglianti. Leggerla è come perdersi in un dipinto.»
Marcello Simoni

Il fascino della Firenze dei Medici.
Un affresco maledetto.
Una verità perduta.

Firenze 1458. Lavinia, ferma davanti alla tela, immagina come mescolare i vari pigmenti: il rosso cinabro, l’azzurro, l’arancio. Ma sa che le è proibito. Perché una donna non può dipingere, può solo coltivare di nascosto il sogno dell’arte. Fino al giorno in cui nella bottega dello zio arriva Piero della Francesca, uno dei più talentuosi pittori dell’epoca. Lavinia si incanta mentre osserva la sua abile mano lavorare all’ultimo dipinto, La flagellazione di Cristo. L’artista che ha di fronte è tutto quello che lei vorrebbe diventare. E anche l’uomo sembra accorgersene nonostante il contegno taciturno e schivo. Giorno dopo giorno, Lavinia capisce che la visita di Piero nasconde qualcosa. Del resto sulle sponde dell’Arno sono anni incerti: il papa è malato e sono già cominciate le oscure trame per eleggere il suo successore. E Piero sa più di quello che vuole ammettere. Il sospetto di Lavinia acquista concretezza quando lo zio viene ingiustamente accusato dell’uccisione di un uomo e Piero decide di indagare. Ma Lavinia questa volta non vuole restare in disparte. Grazie alla vicinanza dell’artista, che fa di tutto per proteggerla, per la prima volta comincia a guardare il mondo con i propri occhi. Perché lei e Piero sono entrati in un quadro in cui ogni pennellata è tinta di rosso sangue e ogni dettaglio è un mistero che arriva da molto lontano. Perché la pittura è un’arte magnifica, ma può celare segreti pericolosi.
Chiara Montani trascina il lettore per le vie della Firenze rinascimentale e tra le opere di Piero della Francesca, un artista che ha fatto la storia della pittura. Lo immerge nella vita di una giovane donna che vede le sue ambizioni soffocate dalle leggi non scritte del tempo. Lo cattura in un vorticoso susseguirsi di eventi in cui le ragioni dell’arte si intrecciano con quelle della politica e della religione. Un esordio che rimbomba come un tuono.

ESTRATTO

A Giorgio

«Quando sarai convinto che per te non vi è niente d’impossibile, stima te stesso immortale e in grado di comprendere tutto: ogni arte, ogni scienza, l’intima natura di ogni essere vivente.»
CORPUS HERMETICUM, XI – L’intelletto a Ermete (20)

Roma, 20 luglio 1458

Indifferente e altissimo, il sole di mezzogiorno cristallizzava la luce in un’irreale fissità avara di ombre. La tersa solennità di quel chiarore sembrava aver imprigionato il tempo e sospeso ogni forma di vita in un’immota eternità, abitata non più da esseri umani, ma da geometrie scultoree di astratta e ideale perfezione.

Piero annuì soddisfatto. Era esattamente l’effetto che andava cercando. Da settimane sovrapponeva velature a velature per far vibrare i colori di luce e rendere sempre più evanescenti le ombre, che trasparivano appena con le loro leggere sfumature di terra verde. Era a buon punto, ma c’era ancora molto da fare. Sentiva che il cardinale Bessarione celava a fatica la sua impazienza, tuttavia sapeva anche che il prelato non avrebbe mai osato mettergli fretta. Entrambi erano consapevoli che l’importanza di quel dipinto andasse ben oltre la sua raffigurazione formale, ma Piero non avrebbe mai accettato che dalle sue mani uscisse un’opera meno che perfetta. Qualunque fosse la posta in gioco.

Bessarione era bloccato a Roma in attesa degli eventi. L’improvvisa malattia che aveva colpito il papa lo stava consumando rapidamente e forse presto ci sarebbe stato un nuovo conclave. Per questo il cardinale aveva chiamato Piero presso di sé e contava su di lui per portare a termine la missione che gli premeva più di ogni altra. Conscio della responsabilità di cui era stato investito, l’artista si era allora chiuso nella grande sala affacciata sulla loggia e, incurante dell’afa opprimente che vi ristagnava, lavorava giorno e notte, assistito da un aiutante per la preparazione dei colori.

Piero spinse lo sguardo oltre i quattro archi a tutto sesto e vide che una bava di vento scuoteva le alte chiome di un Pinus pinea. Si asciugò il sudore dalla fronte e ripose il pennello, deciso a concedersi una breve pausa. Appena uscito, però, l’alito caldo dello scirocco lo accolse come uno schiaffo. Non c’era modo di sottrarsi all’inferno di quella torrida estate che stava martoriando l’Urbe e aveva ridotto il Tevere a poco più di un rigagnolo. Ripensando alle carcasse di animali che qualche giorno prima aveva incontrato lungo le sue rive, ebbe l’impressione di percepirne il puzzo fin lì, a oltre un miglio di distanza. Se quella siccità fosse continuata, c’era da aspettarsi da un momento all’altro lo scoppio di un’epidemia. Ma per il momento nessuno sembrava preoccuparsene. La città era paralizzata nell’attesa e tutti gli occhi erano puntati sul Vaticano.

Il pontificato di Callisto III era durato solo tre anni, sufficienti comunque ad ammorbare Roma con il suo sfrenato nepotismo e a svuotare l’erario per finanziare la crociata contro i turchi, che il papa stava portando avanti in totale isolamento, dopo aver incassato il rifiuto di tutti i principi cristiani.

Correva voce che anche parte dei tesori pontifici fosse stata immolata sull’altare della guerra santa. Del resto al papa non era mai importato nulla né dell’arte né della cultura. 

Tutti i cantieri avviati dai suoi predecessori erano stati bloccati e anche i preziosi codici della biblioteca voluta da Niccolò V giacevano abbandonati alla polvere e alle ragnatele.

Esasperato dalle ricchezze e dal potere che vedeva accumularsi senza ritegno nelle mani della famiglia Borgia, il popolo covava vendetta. Chissà se, di fronte a quel clima di imminente rivolta, qualche cardinale si era pentito di aver a suo tempo votato per un papa spagnolo e quasi ottantenne.

Allora, però, era ben altra la minaccia che incombeva sulla curia e che aveva spinto il collegio a dirottare in tutta fretta il voto sul primo candidato papabile. In quei giorni di aprile del 1455 un altro cardinale aveva raccolto la maggioranza dei voti. Ma si trattava di un greco, dal preoccupante rigore morale, fervente umanista, che in gioventù era stato legato a doppio filo a filosofi neoplatonici in odore di paganesimo. E le sue vesti nere, oltre alla lunga barba che portava con orgoglio nonostante il divieto imposto dal canone occidentale, non facevano che ricordare quanto le sue origini contassero ancora per lui.

Piero pensò con amarezza come avrebbe potuto essere trasformata la chiesa sotto quella guida illuminata, se il risultato del conclave non fosse stato pilotato con tanta efficacia. Ma non era proprio accettabile che Basilio Bessarione salisse al soglio di Pietro. In quel senso nulla era cambiato ed era inutile farsi illusioni.

Un rumore di zoccoli attrasse la sua attenzione. 

Da lontano, oltre il muro di cinta, vide un gran polverone alzarsi sulla via Appia. Dopo qualche istante, un cavaliere fece la sua comparsa sotto l’edera secca e giallastra del portale, fermandosi al centro del cortile. Appena sceso da cavallo, si rivolse a uno dei famigli che gli erano corsi incontro: «Cerco messer Piero della Francesca. Mi hanno riferito che si trova presso di voi».

Il servo alzò gli occhi verso la loggia. Piero gli fece cenno di tacere e rispose al cavaliere con un’altra domanda: «Cosa desiderate da lui?».

L’uomo sventolò una pergamena chiusa in più punti con dei sigilli.

«Vengo da Borgo San Sepolcro. Ho un messaggio da consegnargli. È appena arrivato da Firenze, e trattasi di cosa urgente.»

Piero scavalcò la balaustra e, facendo i gradini due a due, raggiunse il cortile. Sfilò impaziente la missiva dalle mani dell’uomo e ruppe la ceralacca, con il presentimento che si trattasse di una cattiva notizia.

Nell’aprirla, un oggetto metallico simile a una grossa medaglia scivolò sul selciato e rotolò con traiettoria circolare, andando a sbattere contro il piede del cavaliere. Lui la raccolse e, con la fronte corrugata, ne esaminò una faccia, su cui era inciso il profilo di un vecchio con una lunga barba a due punte.

«Oro zecchino…» Il suo tono lasciava intuire che, se avesse immaginato ciò che nascondeva quella lettera, forse non sarebbe arrivata intatta.

Rigirò poi la medaglia, tenendola fra pollice e indice, e si soffermò anche sul rovescio. «Che mi venga un colpo! Questa è la più strana…»

«Vi ringrazio dell’ambasciata», lo interruppe Piero, stendendo la mano per riaverla. «Non vorrei però trattenervi più del necessario.»

L’uomo gliela lasciò cadere di malavoglia nel palmo.

«Per arrivare fin qui ho deviato non poco dalla mia strada… con questo caldo infernale per giunta», si lamentò, senza accennare a risalire in sella.

Piero gli mise in mano qualche moneta e mandò un servo a prendergli dell’acqua.

Solo quando il cavaliere se ne fu andato, aprì il pugno e guardò la medaglia scintillare al sole. Con l’unghia del pollice ne seguì l’elaborata incisione, raffigurante un solido con dodici facce pentagonali. In ognuno dei dodici pentagoni era inscritta una stella a cinque punte e il tutto era racchiuso in una forma circolare, che rappresentava un serpente nell’atto di divorarsi la coda.

Piero conosceva bene il significato di quell’oggetto e il fatto di trovarlo nella lettera gli lasciava poche illusioni circa la gravità del suo contenuto. Con crescente apprensione, si accinse a leggerla.

Piero, frater,

a lungo ho esitato prima di vergare queste poche righe, ma l’ora si fa sempre più cupa e tu sei il solo che possa recarmi aiuto.

Ormai da giorni forze oscure gravano su di me, togliendomi il sonno e giungendo a minacciare la mia stessa vita. Non è però solo l’angoscia per la mia persona a muover la mia mano nel rivolgerti questo appello, quanto la certezza che un pericolo senza nome incomba anche su di te. Sappi che, se non faremo tutto il possibile per combatterlo, finirà per distruggerci e minare alle radici ciò in cui crediamo.

Per il timore che questa lettera giunga nelle mani sbagliate, non oso aggiungere altro. Appellandomi al nostro patto di fratellanza, ti chiedo solo di raggiungermi al più presto. Prego che tu possa farlo in tempo, prima che sia troppo tardi.

Tuus Domenico

Piero abbassò il braccio con moto lento, continuando a fissare il foglio.

Qualcosa in quello scritto lo lasciava perplesso. Erano passati solo un paio di mesi da quando Domenico gli aveva fatto visita ad Arezzo. Cosa poteva mai essergli accaduto nel frattempo? E poi, il tono… La secca drammaticità di quel testo era tanto distante dall’indole del suo amico quanto le stelle dal giorno. Eppure la grafia era la sua e la medaglia non lasciava adito a dubbi.

In ogni caso Piero aveva già deciso. Risalì e cominciò a riordinare pennelli e colori. Poi si diresse verso lo studio di Bessarione e bussò alla porta.

La stanza era ampia e soleggiata. Pur essendo ingombra di oggetti, l’estremo ordine che vi regnava dava l’impressione che fosse quasi spoglia.

I manoscritti allineati sullo scaffale dietro l’inginocchiatoio erano riposti a seconda del colore e della dimensione dei dorsi, mentre gli oggetti liturgici e il cappello cardinalizio, posati su un piccolo altare, parevano parte del mosaico dorato che ornava la nicchia alle loro spalle.

Bessarione era seduto al tavolo da studio, sopra una pedana rettangolare. Vestiva come sempre la tonaca nera, con il cappuccio abbassato sulle spalle e, nonostante la pesante stoffa che lo ricopriva, non sembrava patire minimamente il caldo. Sul ripiano davanti a lui, rivestito di un tessuto verde profilato di borchie, era appoggiato un leggio monastico con un grosso codice rilegato in pelle rossa. Tutto intorno, disposti a raggiera con un criterio estetico degno di un artista, trovavano posto un reggicandela, una clessidra, delle forbici, vari oggetti per la scrittura, un calamaio rosso e uno nero...

L’ AUTRICE

Chiara Montani, architetto di formazione, ha lavorato nel campo del design, della grafica e dell’arte, esplorando varie tecniche e materiali, e partecipando a esposizioni in Italia e all’estero. Specializzata in arteterapia, conduce da anni atelier sulle potenzialità terapeutiche del processo creativo. Il mistero della pittrice ribelle è il suo romanzo d’esordio.

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la responsabile editoriale della rivista on-line "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga. Ha conseguito il corso di formazione "lettura e benessere personale come rimedio dell'anima"