“Il canto di Mr Dickens” di Samantha Silva

Gloriosa Devonshire Terrace, casa splendida, con il suo ampio giardino, i vasti scaloni, le grandi promesse di felicità e i suoi costi, altrettanto importanti! Cosí pensa Charles Dickens nell’inverno del 1843 mentre, seduto alla sua scrivania, compone l’ultima puntata di Martin Chuzzlewit. Manca solo un mese a Natale, ma Mr Dickens non è molto in animo di preparare festeggiamenti. Al piano di sotto sua moglie Catherine è in travaglio: un nuovo bambino sta arrivando, pronto ad abitare la lussuosa dimora di famiglia, ma che ben presto, ahimè, sarà solo l’ennesima bocca da sfamare. Tutti vogliono qualcosa da lui: soldi, regali, un autografo, qualche riga di dedica o, nel caso della sua famiglia, una festa di Natale piú grande di quanto si sia mai vista. E Martin Chuzzlewit non sta vendendo bene come tutti speravano. Nemmeno un quindicesimo di Oliver Twist, precisano i suoi editori. Che, per di piú, lo ricattano: se non consegnerà al piú presto un nuovo libro d’occasione, e sarà meglio che sia un libro adatto alle feste di Natale, dovrà restituire l’anticipo già versato. Cosí, gli incubi di una povertà che Dickens ha già ben conosciuto ricominciano a tormentarlo.
Ma quello che doveva essere solo un breve libriccino si rivela impresa ben piú ardua, specie perché Dickens sembra afflitto da un caso particolarmente ostinato di blocco dello scrittore. In cerca di idee, vaga per le strade mutevoli di Londra, finché una notte non conosce la misteriosa Eleanor Lovejoy. Avvolta in una mantella viola, Eleanor gli appare come un fantasma gentile o forse una musa, capace di ricondurre da lui l’ispirazione persa. Al suo fianco Charles intraprenderà un viaggio alla scoperta di sé stesso e il libro che ne scaturirà, Canto di Natale, cambierà la storia della letteratura per sempre.
Con Il canto di Mr Dickens, Samantha Silva riporta in vita l’intero universo dickensiano, regalandoci una favola di Natale ambientata per le strade di una Londra fumosa e gelida, ma anche luminosa e piena di fascino, come un grande circo galleggiante pieno di prodigi e misteri. Una lettera d’amore a Charles Dickens e alla sua opera; un romanzo allegro e commovente al tempo stesso, infuso di intelligenza e calore. «Una storia che affascina e commuove. La nebbia e i fantasmi che abitano questo romanzo sono gli stessi che popolano l’originale dickensiano. L’ho letto in un paio di avidi sorsi, come in un brindisi natalizio».
Anthony Doerr

«Silva ci fa guardare le atmosfere di Londra con gli occhi di Dickens: la sua borghesia e i suoi emarginati, la caligine e i ciottoli delle sue vie». The New York Times

«Tutti conoscono il Canto di Natale, pochi sanno com’è nato. Un romanzo coinvolgente». Washington Independent Review of Books «Con l’intelligenza e il brio di una scrittrice affermata, Silva presenta una calda storia di amicizia e rinascita imbevuta di reale spirito natalizio». Booklist

Ad Atticus, Phoebe e Olive

E avremo cene e balli, e spettacoli di magia e tornei di mosca cieca, e serate a teatro, e baci d’addio agli anni passati e baci di benvenuto all’anno nuovo come mai si sono visti da queste parti.

Charles Dickens

Parte prima

1.

Al numero 1 di Devonshire Terrace, in quel giorno di novembre insolitamente tiepido, il Natale era l’ultimo dei suoi pensieri.

La cravatta allentata, il primo bottone del panciotto slacciato, le finestre dello studio spalancate. I riccioli castani ondeggiavano su quegli occhi color ardesia che si illuminavano a ogni parola: questa no, quest’altra invece sí, scarabocchiare e cancellare, con un sopracciglio alzato, il mento abbassato, una risata di gusto. Ogni espressione, ogni parte del corpo coinvolta nell’urgenza. Non esisteva nient’altro. Né la fame né la sete, nemmeno il pulsare della casa, di sopra e di sotto: una moglie prossima a partorire, altri cinque figli già presenti, due terranova, un pomeranian e il Gatto del Padrone che cercava di rubargli la penna con la zampa. Nemmeno il tempo esisteva, nessun passato né futuro, soltanto l’occhio cristallino del presente, e parole che si riversavano fuori da lui prima ancora che riuscisse a pensarle.

L’euforia della passeggiata notturna lo aveva portato dritto alla sua scrivania di primo mattino, senza neppure concedersi il consueto merluzzo con pane tostato. Aveva attraversato due volte la città, impiegando la metà del tempo rispetto al solito, da Clerkenwell aveva tagliato giú per Cheapside, oltrepassando il Tamigi attraverso Blackfriar’s Bridge, e al ritorno era passato per Waterloo, sospinto da una visione singolare: la folla di affezionati lettori che quel pomeriggio si era accalcata con il naso schiacciato contro la vetrina della libreria Mudie’s, di certo in attesa del nuovo numero di Chuzzlewit, con la sua sottile copertina verde, trentatré pagine di testo, due illustrazioni, vari annunci pubblicitari, e l’ultimo capitolo di pura delizia nato dalla penna dell’«Inimitabile Boz»! Perché gli era del tutto evidente che il principale interesse dell’umanità, ora che Martin Chuzzlewit era salpato per l’America, fosse conoscere le sorti di Tom Pinch e dei Pecksniff, e che fosse un suo sacrosanto dovere ragguagliarla in merito.

E cosí Charles Dickens non udí i colpi alla porta del piano di sotto che avrebbero alterato il corso di tutti i suoi Natali a venire.

Come ogni uomo, a trent’anni suonati aveva già avuto modo di sentire un bel po’ di colpi alla porta. Colpi secchi contro usci piú umili, insistenti toc-toc-toc contro porte morsicate dal vento, bistrattate dalla pioggia, e i cui chiodi avevano perso ogni speranza di tenere. Poi, con la fama, erano arrivati colpetti piú delicati contro porte migliori, soglie pompose, fiancheggiate da colonne e incorniciate e smaltate in color indaco, proprio come quella di casa sua, due piani piú in basso, dove i colpi adesso educati non sortivano al momento alcun effetto.

Perché, nella vita di un uomo, ci sono momenti in cui nessun colpo a nessuna porta riuscirà a distoglierlo da ciò a cui si sta dedicando, soprattutto se si tratta di una penna d’oca che svolazza sulla pagina, sputando inchiostro.

2.

Quando l’orologio sulla scrivania segnò le tre in punto, un valletto bassino e minuto (andavano di moda cosí) dai capelli di un rosso fiammante (che non andavano affatto di moda) si presentò alla porta dello studio con un vassoio di panini caldi, pan brioche, burro e tè. Dickens mise il puntino sull’ultima i, brandí le pagine e si alzò.

«Topping! Ho terminato proprio in quest’istante il nuovo numero».

«Che bella notizia, signore».

Dickens addentò un panino: gli stava tornando l’appetito. Tutto quanto, l’intera casa tornava a filtrare nella sua coscienza. Oh, gloriosa Devonshire Terrace, una casa dalle grandi promesse (e dai costi altrettanto importanti), dall’ottima posizione e dall’eccessivo splendore. Lui era molto soddisfatto del suo ampio giardino, amava sentire l’acciottolio delle stoviglie e il suono metallico dei tegami dalla cucina al piano di sotto, il vociare dei bambini che giocavano da qualche parte di sopra. E lí di fronte a lui ecco Topping, il solito concentrato di energia, nella sua tenuta abituale – camicia linda e cravatta al posto della livrea – ma per nulla inappropriata e l’espressione gentile che sembrava chiedere come poteva rendersi ancora utile, visto che darsi da fare era ciò che amava di piú. Topping era il domestico che stava con loro da piú tempo, e Dickens lo considerava un membro della famiglia, qualcosa a metà strada tra il padre che avrebbe sempre voluto e il fratello che gli sarebbe piaciuto avere.

«Oh, Topping». Gli si avvicinò stringendo in mano i fogli. «Ancora una volta, temo di essere inciampato… nella perfezione».

Il valletto strizzò gli occhi – il suo modo di sorridere senza mostrare i denti – che parevano puntare in ogni direzione, tranne che in quella giusta.

Dickens provò un intenso moto d’affetto nei suoi confronti, nei confronti di tutti, in realtà, persino di quella casa cosí bella, che per l’intera giornata si era tenuta come in disparte, quieta, solo per il bene della sua arte. Ed era certo di dover ringraziare Topping per questo.

Un grido prolungato dalla stanza da letto al piano di sopra annunciò che anche Catherine Dickens era in pieno travaglio. I due uomini guardarono in su, e trattennero il respiro finché il grido non si spense. Dickens sorrise a mezza bocca, pensieroso. C’era un altro bambino in arrivo, anche se, a quanto pareva, stava opponendo una strenua resistenza all’idea di venire al mondo.

«Immagino che sarebbe troppo chiedere a Catherine di ascoltarlo adesso» disse Dickens, fingendosi corrucciato.

Le folte sopracciglia di Topping s’incurvarono e ridistesero come bruchi in segno di ironico assenso. «Comunque sia, i signori Chapman e Hall vi attendono al piano di sotto, signore».

«Chapman e Hall sono qui?» Dickens rimise sul vassoio il panino smangiucchiato e allungò i fogli a Topping. Si precipitò davanti allo specchio per darsi una rapida aggiustata ai capelli, abbottonò il panciotto di velluto verde e si sistemò la cravatta di satin blu. «A quanto pare, anche i miei editori scalpitano per scoprire che cosa succede dopo!»

«In effetti, mi sono parsi un po’ sulle spine, signore».

«Ottimo. Vorrà dire che lo leggerò a loro!»

Topping guardò i fogli, incuriosito. «Posso chiedervi se questo mese verrà dedicato un rigo o due a Tapley, l’amico di Chuzzlewit?»

«Chissà, magari tre… o addirittura quattro». Voltandosi, Dickens gli fece l’occhiolino e si riappropriò dei fogli, picchiettandoci su tre volte per buon auspicio. «Credo che sia di gran lunga il mio libro migliore».

Topping batté gli occhi in segno di solidarietà e si fece da parte. Dickens accarezzò il pomo d’ottone del corrimano e corse giú per le scale, due gradini alla volta. Portare a termine qualcosa gli dava sempre la sensazione di galleggiare: l’aria sotto i piedi, i polmoni come vele spiegate. Gli pareva in qualche modo incongruo dover scendere, quando invece avrebbe dovuto librarsi ancora piú in alto, ma lo fece ugualmente, i fogli sottobraccio, con gli angoli che s’increspavano come se fremessero a loro volta d’entusiasmo. Pensò che fosse soltanto ciò che gli spettava: Chapman e Hall che andavano a bussare alla sua porta, e non il contrario. E cosí, come un attore che prevede un pubblico traboccante in platea, strizzato persino nella buca d’orchestra e fin sul loggione, con un balzo entrò in salotto per accoglierli; ma si ritrovò di fronte i due editori seduti sulle poltroncine, rigidi come due sogliole impanate.

«Chapman! Hall!» Porse loro la mano mentre si alzavano. «Che sorpresa».

«Non sgradita, mi auguro» rispose Hall con la sua tipica stretta di mano in punta di dita, flaccida come una foglia di lattuga vecchia.

«Ma certo che no». Dickens riservò a Chapman una calorosa stretta a due mani. «È chiaro che, di norma, non sareste voi i primi a sentirlo, ma non importa».

Salí sul suo poggiapiedi preferito e fece un inchino teatrale, sventolando i fogli. «Signori, ecco a voi la nuova puntata, con dentro tutto ciò che conta».

«Charles» lo interruppe Hall. «Siamo qui per una questione di estrema gravità».

Dickens sbirciò da sopra le pagine. Hall strinse il cilindro, le nocche aguzze che diventavano bianche. Chapman si asciugò la fronte imperlata di sudore.

«Abbiamo persino tirato a sorte» disse Chapman, estraendo dalla tasca una pagliuzza di saggina.

«E lui ha pescato la piú corta!» precisò Hall.

Dickens guardò prima l’uno poi l’altro, confuso. «Però vedo che siete qui entrambi».

Un grido prolungato proveniente dall’alto fece trasalire i due ospiti. «Ma siamo arrivati in un brutto momento, temo» disse Hall.

«Tutt’altro! Credo che troverete questo nuovo numero convincente fino all’ultima parola».

Una serie di strilli laceranti acuí il loro disagio. I due visitatori fissarono il soffitto con orrore.

«Ah, quello» disse Dickens. «Non dovete preoccuparvi. Piú alto è il volume, piú è prossima la fine».

«La fine?» Chapman si portò il fazzoletto alle labbra.

«Un bambino!» rispose Dickens raggiante.

«Non sta vendendo nemmeno un quinto di Nickleby» disse Chapman.

«Nemmeno un quindicesimo di Twist» precisò Hall.

«Dev’esserci un errore».

«Alcuni librai sono stati costretti a venderlo… a prezzo ribassato» disse Chapman in un sussurro, sapendo che sarebbe stato un vero colpo al cuore per l’autore.

«A prezzo ribassato?» Dickens si lasciò cadere sul divanetto di legno dorato, una mano che penzolava oltre il bracciolo. Quell’uomo oscillava come un pendolo, sapeva passare in un istante dal caldo al freddo, dalla luce al buio. «È tutta colpa del nome. Se non è quello giusto… e pensare che ne avevo tanti altri in mente: Sweezleback, Chuzzletoe, Chubblewig…»

«Agli americani non piace» spiattellò subito Hall.

«Il nome?»

«La storia».

«L’America, la repubblica della mia immaginazione?»

I due soci annuirono all’unisono, quasi avessero le mandibole legate tra loro, come marionette.

«L’America, dove non ho mai stretto cosí tante mani, non sono mai stato cosí osannato e avvicinato per gli autografi, dove mi hanno sgraffignato dal piatto bucce d’arancia e gusci d’uovo come souvenir, reciso ciocche di capelli e ciuffi del cappotto di pelliccia?»

«Ormai vi vedono come un… misantropo» disse Hall.

Dickens si alzò, ergendosi in tutta la sua statura. «Un misantropo? Io?»

«Li avete descritti come un popolo di ipocriti, fanfaroni, prepotenti e truffatori» disse Chapman.

«Truffatori?» Dickens gonfiò il petto, indignato. «Bah!»

Si zittí, aspettandosi una ritrattazione, o almeno una reazione. Con la conquista della notorietà, aveva scoperto che un piccolo capriccio al momento giusto poteva sortire meraviglie. Ma non stavolta. I due rimasero assolutamente impassibili. Dickens si portò una mano alla fronte, si sentiva accaldato, gli girava la testa. «Le vendite vanno davvero cosí male?»

Hall fece un cenno a Chapman, che si tastò le tasche per poi estrarne un sottile astuccio di velluto. «Però vi abbiamo portato una penna».

Dickens fissò l’omaggio nella mano di Chapman. Non riusciva a immaginare una sola penna al mondo in grado di lenire quella fitta lancinante. 

foto presa dal web

Samantha Silva, scrittrice e sceneggiatrice, vive in Idaho. Si è laureata alla Johns Hopkins University’s School of Advanced International Studies, e ha studiato per un periodo nella sede di Bologna, in Italia. I suoi racconti e i suoi saggi sono apparsi su One Story e LitHub. Un cortometraggio, The Big Burn, che ha scritto e diretto, è stato presentato in anteprima al Sun Valley Film Festival nel 2018, mentre Il canto di Mr Dickens è stato adattato per il teatro e debutterà a Seattle a Natale 2022. Con Neri Pozza ha pubblicato Amore e furia (2022).

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la responsabile editoriale della rivista on-line "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga. Ha conseguito il corso di formazione "lettura e benessere personale come rimedio dell'anima"