Il grande successo letterario in Francia nel 2019.
Fine Ottocento nel famoso ospedale psichiatrico della Salpêtrière, diretto dall’illustre dottor Charcot (uno dei maestri di Freud), prende piede uno strano esperimento: un ballo in maschera dove la Parigi-bene può “incontrare” e vedere le pazienti del manicomio al suono dei valzer e delle polka.
Parigi, 1885. A fine Ottocento l’ospedale della Salpêtrière è né più né meno che un manicomio femminile. Certo, le internate non sono più tenute in catene come nel Seicento, vengono chiamate “isteriche” e curate con l’ipnosi dall’illustre dottor Charcot, ma sono comunque strettamente sorvegliate, tagliate fuori da ogni contatto con l’esterno e sottoposte a esperimenti azzardati e impietosi. Alla Salpêtrière si entra e non si esce. In realtà buona parte delle cosiddette alienate sono donne scomode, rifiutate, che le loro famiglie abbandonano in ospedale per sbarazzarsene.
Alla Salpêtrière si incontrano: Louise, adolescente figlia del popolo, finita lì in seguito a terribili vicissitudini che hanno sconvolto la sua giovane vita; Eugénie, signorina di buona famiglia allontanata dai suoi perché troppo bizzarra e anticonformista; Geneviève, la capoinfermiera rigida e severa, convinta della superiorità della scienza su tutto. E poi c’è Thérèse, la decana delle internate, molto più saggia che pazza, una specie di madre per le più giovani. Benché molto diverse, tutte hanno chiara una cosa: la loro sorte è stata decisa dagli uomini, dallo strapotere che gli uomini hanno sulle donne. A sconvolgere e trasformare la loro vita sarà il “ballo delle pazze”, ossia il ballo mascherato che si tiene ogni anno alla Salpêtrière e a cui viene invitata la crème di Parigi. In quell’occasione, mascherarsi farà cadere le maschere…
Una storia avventurosa e appassionata, un inno alla libertà delle donne in un mondo che ancora nell’Ottocento era dominato dagli uomini.
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3 marzo 1885
Louise, è ora che ti alzi».
Con una mano Geneviève tira via la coperta dal corpo addormentato dell’adolescente raggomitolata sullo stretto materasso. Folti capelli scuri coprono il cuscino e parte del suo viso. Louise sta russando piano con la bocca semiaperta. Non sente le altre donne già in piedi nel dormitorio. Tra le file dei letti di ferro figure femminili si stiracchiano, si raccolgono i capelli in uno chignon, si abbottonano i vestiti neri sulle camicie da notte bianche e si avviano con passo monotono verso il refettorio sotto l’occhio attento delle infermiere. Timidi raggi di sole penetrano dalle finestre ricoperte di condensa.
Louise è l’ultima ad alzarsi. Ogni mattina un’infermiera o un’alienata vanno a svegliarla. L’adolescente accoglie la notte con sollievo e crolla in sonni così profondi che non sogna mai. Dormire le permette di non preoccuparsi più di quello che è successo e che deve ancora succedere. Dormire è il suo unico momento di requie dopo gli eventi di tre anni prima che l’hanno condotta in quel luogo.
«In piedi, Louise, ti stanno aspettando».
Geneviève le scuote il braccio finché la ragazza apre un occhio. Per prima cosa si stupisce di vedere ai piedi del letto quella che le alienate hanno soprannominato l’Anziana, poi esclama:
«C’è la lezione!».
«Vèstiti, hai dormito abbastanza».
«Sì!».
La ragazza balza dal letto a piedi uniti e prende dalla sedia il vestito di lana nera. Geneviève fa un passo di lato e la osserva. I suoi occhi si soffermano sui gesti frettolosi, sui movimenti incerti della testa, sul respiro rapido. Il giorno prima Louise ha avuto un attacco: non è proprio il caso che ne abbia un altro prima della lezione.
L’adolescente si affretta ad abbottonarsi il colletto del vestito e si volta verso la soprintendente del reparto. Perennemente dritta nel camice bianco di servizio, con i capelli biondi raccolti in uno chignon, Geneviève la intimidisce. Negli anni Louise ha dovuto imparare a fare i conti con la sua rigidità. Non le si può rimproverare di essere ingiusta o cattiva, semplicemente non ispira affetto.
«Così, signora Geneviève?».
«Sciogli i capelli, il dottore preferisce».
Louise si porta le braccia tornite allo chignon fatto in fretta ed esegue. È adolescente suo malgrado. A sedici anni, ha ancora un entusiasmo infantile. Il corpo le è cresciuto troppo in fretta; seno e fianchi, comparsi a dodici anni, non l’hanno avvertita delle conseguenze di quell’improvvisa voluttà. L’innocenza ha lasciato un po’ i suoi occhi, ma non del tutto: è per questo che si può ancora sperare il meglio per lei.
«Ho paura».
«Non fare resistenza e andrà tutto bene».
«Sì».
Le due donne percorrono un corridoio dell’ospedale. La luce mattutina di marzo entra dalle finestre e si riflette sulle mattonelle del pavimento, una luce dolce che annuncia la primavera e il ballo di mezza quaresima, una luce che fa venire voglia di sorridere e sperare di uscire presto da lì.
Geneviève percepisce il nervosismo di Louise. L’adolescente cammina a capo chino con le braccia lungo il corpo e il respiro affannato. Le ragazze del reparto sono sempre ansiose di incontrare Charcot in persona, tanto più quando vengono designate per partecipare a una seduta. È una responsabilità che le sopraffà, una ribalta che le turba. In quelle donne che la vita non ha mai messo in luce, un interesse così poco consueto ha un effetto che sconvolge. Di nuovo.
Dopo altri corridoi e porte oscillanti raggiungono l’anticamera dell’auditorium. Alcuni medici e infermieri sono in attesa, tutti uomini. Penna e taccuino alla mano, baffi che solleticano il labbro superiore, corpi rigidi in vestito scuro e camicia bianca, si voltano tutti insieme verso il soggetto di studio del giorno. Scrutano attentamente Louise con occhio clinico: sembra che le vedano attraverso il vestito. Quegli sguardi voyeuristici finiscono per farle abbassare le palpebre.
Una sola faccia le è familiare, quella di Babinski, l’assistente del dottore, che si avvicina a Geneviève.
«La sala è quasi piena. Cominciamo tra dieci minuti».
«Avete bisogno di qualcosa in particolare per Louise?».
Babinski guarda l’alienata dall’alto in basso.
«Va bene così».
Geneviève annuisce e si accinge a uscire dalla stanza. Ansiosa, Louise le va dietro per un passo.
«Torna a prendermi, vero, signora Geneviève?».
«Come sempre, Louise».
Geneviève guarda l’auditorium da dietro le quinte. Un’eco di voci profonde si leva dalle panche di legno e si diffonde per la sala, più somigliante a un museo o a una mostra di curiosità che a un ambiente ospedaliero. Pareti e soffitto sono tappezzati di quadri e stampe che rappresentano anatomie e corpi, scene in cui si mischiano anonimi nudi o vestiti, angosciati o smarriti. In prossimità delle panche, pesanti armadi che il tempo fa scricchiolare mettono in mostra dietro le ante a vetri tutto ciò che un ospedale può tenere per ricordo: crani, tibie, omeri, bacini, dozzine di barattoli di vetro, busti di pietra e strumenti vari. Già dall’arredamento la sala promette allo spettatore di farlo assistere a qualcosa di particolare.
Geneviève osserva il pubblico. Certe facce le sono note, riconosce medici, scrittori, giornalisti, interni, politici, artisti, tutti allo stesso tempo curiosi, già convertiti o scettici.
Prova fierezza. È fiera che a Parigi un uomo solo riesca a suscitare un tale interesse da riempire ogni settimana le panche dell’auditorium. Eccolo che entra in scena. Nella sala scende il silenzio. Charcot impone senza esitazioni la sua grossa e seria figura a quel pubblico di sguardi affascinati. Il suo profilo allungato ricorda l’eleganza e la dignità delle statue greche. Ha lo sguardo preciso e impenetrabile del medico che da anni studia le vulnerabilità più profonde di donne rifiutate dalla famiglia e dalla società. Sa la speranza che suscita in quelle alienate. Sa che tutta Parigi conosce il suo nome. Gli è stata accordata autorità, e lui la esercita ormai con la convinzione che gli sia stata data per una ragione: che sarà il suo talento a far progredire la medicina.
«Buongiorno, signori. Grazie di essere venuti. La lezione che seguirà è una dimostrazione di ipnosi su una paziente affetta da isteria grave. Ha sedici anni. Da tre anni che è alla Salpêtrière abbiamo registrato più di duecento suoi attacchi isterici. Lo stato di ipnosi ci permetterà di ricreare un attacco e studiarne i sintomi. A loro volta i sintomi ci diranno di più sul processo fisiologico dell’isteria. È grazie a pazienti come Louise che medicina e scienza possono fare progressi».
Geneviève accenna un sorriso. Ogni volta che lo vede rivolgersi agli spettatori avidi della dimostrazione che seguirà ripensa agli esordi dell’uomo in quel reparto.
Victoria Mas ha lavorato nel mondo del cinema. Il ballo delle pazze è il suo primo romanzo