Il consiglio dei saggi
Inbali Iserles
Casa editrice: Salani Editore
Età consigliata 11 anni
Isla è una giovane volpe senza paura. Ha perso la famiglia, sterminata da un branco misterioso e feroce, e l’unico legame che le resta è quello con il fratello Pirie, che però è scomparso. Sola nelle Terre Selvagge la attende un compito di grande responsabilità: raggiungere la Roccia degli Anziani e chiedere il loro aiuto per difendere la libertà delle volpi. Un crudele avversario tiene sotto incantesimo schiere di seguaci, spingendoli a commettere terribili crimini. Per sconfiggerlo Isla può contare solo sulle sue forze e sulle antiche arti magiche che le volpi si tramandano da generazioni. Sarà all’altezza della sua missione? In questa straordinaria avventura niente è come sembra. Età di lettura: da 11 anni.
Estratto
Ai miei genitori, Dganit e Areih Iserles,
gli Anziani più saggi di tutte le Terre
Non mi fermai quando udii il grido. Sul limitare della foresta, dove gli alberi lasciavano il posto a distese di felci ingobbite, non mi fermai né mi guardai alle spalle. Le Terre Selvagge
traboccavano di strani suoni: richiami di uccelli, voci lontane di animali, sciami di insetti che ronzavano ed erba che sibilava sfiorata dal vento.
Un vasto panorama mi si spalancò davanti. In lontananza scorsi vallate e ripide colline che si ergevano verso il cielo sotto un sole fioco. Senza il riparo degli alberi, i campi erano esposti alla vista di chiunque. Decisi di puntare verso le montagne: là avrei potuto restare nascosta all’ombra delle rocce, e sarei stata abbastanza in alto da abbracciare con lo sguardo le Terre Selvagge. E a quel punto avrei saputo dove andare.
Mi rimisi in cammino.
Ma il grido penetrò attraverso i miei pensieri, facendomi drizzare i peli del collo e mozzandomi il respiro in gola. Una goccia di pioggia mi cadde sul naso e mi fece sussultare. Da qualche parte, una volpe chiedeva aiuto.
Continuai ad avanzare tra le felci. ‘Non ti riguarda’ mi dissi in tono fermo.
Dopo aver lasciato il Grande Ringhio avevo strisciato sotto i rami degli alberi coperti di gemme, evitando qualunque creatura percepissi nelle vicinanze, incluse le volpi. Un tempo avevo desiderato più di ogni altra cosa di incontrare rappresentanti della mia razza, nella speranza che mi potessero aiutare a ritrovare la mia famiglia. Ma ora conoscevo la verità: tutti i miei famigliari erano morti, con l’eccezione di mio fratello Pirie, sperduto da qualche parte nell’immensità verde delle Terre Selvagge.
Non avrei più rivisto papà, mamma o nonna. E il loro ricordo stava cominciando a sbiadire dentro di me, sostituito da una sorta di nodo oscuro.
Mi sforzai di non pensare a Siffrin, l’affascinante maschio di volpe che avevo incontrato nel Grande Ringhio e che mi aveva protetta dagli assassini mandati dal Mago, i Forzati dagli occhi cerchiati di rosso. Che mi aveva aiutata a cacciare e a trovare riparo.
Ero arrivata a considerarlo un amico.
Non fidarti di nessuno tranne che della tua famiglia, perché una volpe non ha amici.
Nonna aveva avuto ragione. Siffrin mi aveva ingannata. Era rimasto a guadare mentre le volpi del Mago sterminavano i miei famigliari e poi mi aveva fatto credere che fossero ancora vivi. E portava una cicatrice a forma di rosa spezzata sulla zampa, che aveva cercato di nascondere: il marchio dei Forzati.
Mi aveva mentito fin dall’inizio.
Sbirciai oltre le felci. Alla prima goccia di pioggia se ne aggiunsero altre, che picchiettarono contro le foglie e rotolarono giù sul terreno. Mi fermai e roteai le orecchie: per un istante ci fu silenzio, rotto solo dal fruscio delle felci nella brezza e dal ticchettio della pioggia. Poi la volpe lontana gridò di nuovo.
La sua voce si ruppe in una serie di guaiti. «Aiuto! Qualcuno mi aiuti! Non riesco a uscire!» Poi cominciò a uggiolare come un cucciolo, anche se dalla sua voce si capiva che era un adulto.
Ripresi ad avanzare tra le felci senza smettere di muovere le orecchie. Non riuscivo a capire da dove provenisse la voce: sembrava quasi arrivare da sotto di me, come se uscisse dalle profondità della terra. Drizzai il muso: ero arrivata davanti a un intrico di cespugli e edera da
dietro il quale giungeva rumore d’acqua, forse un torrente. Era lì la volpe che gridava? Che cosa le era successo?
Proseguii con circospezione. In cielo passarono due corvi, le penne nere lucide al sole. Uno aprì il becco e lanciò un cra! cra! Mi avvicinai all’edera e il rumore d’acqua si fece più forte. Infilai il muso tra le foglie e trattenni bruscamente il fiato: la vegetazione si interrompeva di colpo e al posto del terreno si apriva un burrone. Il torrente che avevo sentito scorreva tra le rocce più in basso.
«Aiuto!» gridò di nuovo la volpe. «Sono incastrato!»
Riuscii a vederlo, sul fondo della gola: un maschio dal pelo grigio che ansimava e lottava per tirarsi fuori dall’acqua. «Mi inseguivano i cani, sono caduto giù. Non ho visto il burrone in tempo». Si scrollò e ricadde all’indietro nell’acqua. «Ho una zampa incastrata!»
Continuò a scalciare, ma una delle sue zampe posteriori doveva essere bloccata per davvero. Tutt’intorno, l’acqua torbida gli ribolliva contro i fianchi. Stava piovendo sempre più forte e le sponde rocciose del fiume erano coperte di rigagnoli, che andavano a gonfiare la corrente.
La volpe era in affanno. «Il fiume si alza. La pioggia…» Sputò una boccata d’acqua.
Seguii con gli occhi il percorso del torrente, agitando nervosamente la coda. Sulle pareti della gola, più in alto della testa della volpe, si vedevano strisce scure: i segni lasciati dall’acqua durante le piene del passato. Il fiume si sarebbe alzato sommergendola.
Non fidarti di nessuno tranne che della tua famiglia…
Mi si arricciò il pelo sulla coda. Mi preparai a correre via. Quella volpe non aveva nulla a che fare con me, non era un problema mio. Io dovevo solo badare a me stessa e ritrovare Pirie. Era ora di ripartire.
Ma le mie zampe non si mossero da dov’erano.
Non potevo lasciare quella volpe lì ad annegare.
Fissai la cima della rupe sulla sponda opposta, che era coperta di fitti cespugli. «Hai detto che eri inseguito dai cani. Che fine hanno fatto?» Arricciai il muso. Non riuscivo a sentire altri odori oltre a quelli delle cortecce e del terreno. Il cielo tremolava dietro il velo della pioggia fresca e limpida.
«Mi hanno visto precipitare e sono corsi via latrando. Penso che siano…» La volpe tese il collo per riuscire a guardarmi e le sue orecchie saettarono indietro. «Ma sei solo un cucciolo» fece con voce colma di disappunto.
Percorsi con lo sguardo la parete d’edera cercando appigli. «E con ciò?» risposi. «La so più lunga di quanto tu creda».
Avevo imparato parecchie cose da quando avevo lasciato la mia tana nel Grande Ringhio: ero sfuggita ai cani usando l’Assottigliamento, avevo confuso le mie prede con il karak, avevo catturato topi e ratti usando abilità che non immaginavo di possedere. Certo, mi aveva aiutato Siffrin, ma che importanza aveva? Ora me la dovevo cavare da sola.
Dietro la coltre scura delle nuvole, il giorno si era trasformato in notte senza i colori del tramonto e la pioggia era aumentata ancora, inzuppandomi la pelliccia. Davanti a me il torrente ormai lambiva le spalle del maschio intrappolato e gorgogliava attorno alla sua gola.
Lui gettò la testa indietro e latrò di nuovo il suo grido di aiuto, come se io non fossi lì.
Allungai una zampa verso il burrone. «Vuoi che ti aiuti o no?»
Lui mi scrutò nell’oscurità sempre più densa. «Sì, ti prego… Se c’è qualcosa che puoi fare. Non voglio morire qui. La mia famiglia…»
Mi formicolarono i baffi. Mi sporsi, allungandomi sul declivio della gola. Il terreno era fangoso e le mie zampe affondarono. Scivolai lentamente in avanti aggrappandomi meglio che potevo ai punti più solidi, con la pioggia che mi costringeva a battere le palpebre. Il declivio si fece sempre più ripido: non sarebbe stato facile, ma ormai era tardi per tornare indietro.
Sotto di me il torrente schiumava. Tutte le volpi sono in grado di nuotare se necessario: me lo aveva detto papà, che lo aveva fatto con gusto da cucciolo, quando viveva nelle Terre Selvagge. «Non c’è niente di meglio per rinfrescarsi la pelliccia in una giornata troppo calda» mi aveva raccontato. Ma a me l’idea di saltare in quel torrente non piaceva per nulla. Se non altro, dato che la volpe intrappolata – che ora teneva il muso il più alto possibile per riuscire a respirare – stava in piedi, l’acqua non poteva essere più profonda della sua statura.
«Annego!» uggiolò mentre lo raggiungevo all’altezza del collo, appena sopra la superficie.
«Resta fermo» gli dissi. Un consiglio inutile, dato che non poteva muoversi. Strinsi i denti e saltai nell’acqua, che mi afferrò il ventre con una morsa gelida. Per un attimo sprofondai e il panico mi invase. Il mondo si trasformò in bolle e un rombo inghiottì ogni altro suono. Ma un istante dopo riemersi in superficie. La corrente tentava di trascinarmi a valle, allontanandomi dalla volpe grigia: dimenai con forza le zampe e riuscii a restare dov’ero. Fu un sollievo rendermi conto che papà aveva detto il vero: una volpe sa nuotare per istinto.
Con un guizzo puntai verso la volpe grigia, annaspando per rimettermi dritta: nuotare poteva anche venire istintivo, ma non era una passeggiata. Lo sguardo del maschio incontrò il mio: le sue pupille erano fessure piene di terrore.
«Presto» uggiolò gettando il muso in alto per inalare una boccata d’aria.
Cercai di immergermi, ma la corrente me lo impedì. Presi un lungo respiro e ci provai ancora: ruppi la superficie con il muso e scalciai per andare sotto. La pressione mi schiacciò la gola, ma assottigliarmi mi aveva insegnato a trattenere il respiro.
Era difficile vedere qualcosa nell’acqua torbida. Mi avvalsi degli altri sensi e nuotai vigorosamente contro la corrente. Scorsi il contorno delle zampe della volpe: una era intrappolata sotto un cumulo di sassi. Arrivai fin lì e presi il sasso più grosso tra i denti, ma non riuscii a spostarlo. La zampa libera mi scalciò rigettandomi indietro. Sentii il fiato che stavo trattenendo premermi contro il petto. Mi costrinsi a calmarmi e tentai ancora.
‘Spostati, sasso…’
Mi concentrai su quel pensiero. Una vaga luminosità si diffuse nell’acqua e finalmente il maschio smise di scalciare, permettendomi di raggiungere di nuovo il cumulo di sassi. Il bisogno d’aria stava cominciando ad artigliarmi la gola. Con l’ennesimo strattone mi lanciai sul sasso e lo spinsi col muso: ondeggiò ostinatamente, ma finalmente cadde di lato. Emersi con la testa fuori dall’acqua, affamata d’aria, e nuotai verso la riva.
In cielo le nuvole erano nere di pioggia e il torrente si gonfiava sempre di più. Del maschio di volpe non c’era traccia.
Appiattii le orecchie contro il cranio. La corrente l’aveva forse trascinato via? Mi tornarono in mente le due volpi nelle gabbie dei Catturatori, quelle rimaste indietro quando ero scappata.
Mi trascinai fuori dall’acqua, sdrucciolando sul terreno umido della riva. Per riuscirci mi servì tutta l’energia che mi rimaneva nelle zampe e subito dopo collassai sotto un cespuglio spinoso. Nonostante l’acqua gelata del fiume e la pioggia incessante, avevo un gran caldo.
Richiamai alla mente l’immagine di Pirie, con i suoi occhi scintillanti e il suo mantello a macchie. Cercai di vederlo come lo ricordavo, quando giocavamo insieme e inseguivamo gli scarabei nell’erba della Via Selvaggia vicino alla nostra tana. Cercai di figurarmi l’aspetto della sua coda. Invece nella mia mente irruppe un’immagine ben diversa.
Pirie era vicino, ma nascosto come da una nebbia. I miei pensieri si fusero con i suoi e cominciai a intravedere delle figure lì accanto, sconosciute e minacciose. Una mosse un passo verso di me e colsi il lampo delle sue zanne candide.
Poi Pirie bisbigliò: «Sono nei guai, Isla. È pieno di ombre, qui. E di alberi con rami che afferrano come artigli».
«Tieni duro, Pirie! Ti troverò, te lo giuro!»
Un tocco leggero mi fece trasalire. Aprii gli occhi di scatto, le orecchie dritte e in allerta. Pioveva ancora sulla siepe, e davanti a me c’era la sagoma di una volpe con la pelliccia coperta di fango.
Il respiro mi si fermò in gola. Ero confusa. «Pirie?»
Ma la voce che mi rispose non era quella di mio fratello. «Mi chiamo Haiki. E tu mi hai salvato la vita».
Aggrottai il muso, ancora più confusa.
«Il torrente» continuò lui. «Ci ero caduto dentro ed ero rimasto incastrato. Come sei riuscita a liberarmi? Quel sasso era pesantissimo…» Chinò la testa di lato per fissarmi con occhi pieni di meraviglia. «Qual è il tuo nome, piccola?»
Battei le palpebre per la sorpresa: allora non era annegato. «Mi chiamo Isla».
Lui mi osservò per un lungo istante, poi si scrollò il mantello infangato e lanciò uno sguardo furtivo alle sue spalle. «Quei cani…» disse in un sussurro. «Quelli che mi stavano inseguendo, non credo siano andati molto lontano».
Drizzai la coda. «Dove?»
A pochi passi da noi si udì un rametto spezzarsi.
Dall’oscurità tra le felci giunse una risposta, e non era la voce di una volpe.
«Proprio qui» ringhiò il cane. «Vi stavamo aspettando».
Erano due cani magri dai musi lunghi e le fauci piene di zanne irregolari. Quello che aveva parlato era il più grosso: la sua pelliccia era di un bruno scuro mentre l’altro, una femmina,
era di un nero focato e aveva piccole orecchie flosce. Entrambi torreggiavano sopra me e Haiki, e potevo distinguere le costole che sporgevano dai loro toraci. Nel Grande Ringhio i cani davano la caccia alle volpi per divertimento o per ordine dei loro padroni Senzapelo, ma questi erano decisamente più malconci di quelli a cui ero abituata. Erano in giro di sera con quel tempaccio, senza nessun Senzapelo ad accompagnarli.
E avevano occhi che brillavano di fame.
Un cane poteva arrivare a sbranare una volpe? Un brivido di terrore mi fece rizzare i peli sulla schiena. Lanciai un’occhiata al tappeto di felci: là sotto era pieno di nascondigli in cui dileguarsi, ma prima dovevamo riuscire a scappare. E battere in corsa cani dalle zampe così lunghe non sarebbe stato facile.
Haiki si fece più vicino a me, gli occhi fissi sul cane più grosso. «Sentite, voi due mi sembrate cani beneducati…» cominciò in tono amabile.
Lo sguardo di risposta sembrava dire l’esatto contrario.
«Noi non siamo in cerca guai, davvero» proseguì Haiki, imperterrito. «Non era nostra intenzione sconfinare nel vostro territorio».
Il cane più grosso avanzò di un passo. «Ma lo avete fatto» ringhiò. «Due volpi insieme. Non siamo degli idioti, lo sappiamo benissimo che cosa siete venute a fare. Siete qui per rubare conigli».
La cagna ci fissò con occhi che sembravano volerci scavare nella carne. «Tutti i conigli qui sono nostri».
Aprii la bocca per protestare che io i conigli li avevo visti solo da lontano e non avevo mai tentato di prenderne uno. Non avrei nemmeno saputo come fare.
«Sono nostri!» fece eco il cane più grosso abbassando la testa con un ringhio, la pelliccia gonfia attorno al collo.
Richiusi la bocca senza fiatare.
«Quello era solo allenamento» rispose in fretta Haiki. «Stavo facendo vedere alla cucciola come si fa. È ovvio che non ruberemmo mai uno dei vostri conigli!» I suoi occhi saettarono su di me, poi tornarono ai cani. «È solo che quei conigli si stavano comportando in maniera così strana… Siamo rimasti a guardarli, ecco tutto».
«Strana?» Il cane arricciò il muso. «Strana come?»
«Non li avete notati?» Haiki spalancò gli occhi, sorpreso. «Saltellavano tutti insieme per i campi. Li ho visti bene. Anche i più piccoli… Credo che fossero diretti là». Indicò con il muso le colline in lontananza.
Il cane spalancò la bocca. «Che significa che ‘li hai visti’?»
Ero tesa dal naso alla coda per la paura. Cosa stava cercando di fare Haiki?
I suoi occhi fissavano i cani, colmi di onestà, senza badare agli sguardi minacciosi che ricevevano in risposta. «Sembrava una conigliera intera. Si spostavano in gruppo: conigli grandi, conigli piccoli. Tutti insieme, proprio là». Lanciò di nuovo un’occhiata verso i campi aperti.
«I conigli non fanno mai così di loro iniziativa» rugliò in risposta la cagna dal pelo nero focato. «Che cosa avete fatto per farli scappare a quel modo?» Avanzò di un passo, spostandosi al fianco del compagno.
Io arretrai con il cuore che mi martellava nel petto. Forse se mi fossi assottigliata sarei riuscita a scappare, ma avrebbe funzionato a una distanza così ravvicinata? E Haiki? L’avevo salvato dal fiume: con che cuore ora lo avrei abbandonato in balia dei cani? Ricordai che Siffrin era riuscito ad assottigliarci entrambi la notte in cui lo avevo incontrato: era così che eravamo sfuggiti ai Forzati. Dimenai la coda: il problema era che, per quanto mi bruciasse ammetterlo, Siffrin padroneggiava l’Arte delle Volpi meglio di me.
Molto meglio.
Ma Haiki sembrava avere un piano tutto suo. «Noi non abbiamo fatto niente ai conigli! Dico davvero: li abbiamo solo osservati. Se guardate, li vedrete anche adesso: conigli che migrano a frotte per i campi. Niente alberi a nasconderli, niente vie di fuga… solo conigli allo scoperto. Chiunque riuscirebbe ad acchiapparli». Si passò significativamente la lingua sulle labbra.
Il cane lanciò un’occhiata in quella direzione, ma le siepi e le felci ostruivano la visuale.
«Sciocchezze» ringhiò la cagna. «I conigli odiano bagnarsi. Perché spostarsi proprio adesso?»
«Perché è buio, ovviamente!» ribatté rapido Haiki. «Lo sanno bene che se fossero usciti in massa di giorno li avreste visti. E anche le volpi. E i corvi avrebbero puntato i loro piccoli. Non sarebbe stato affatto sicuro».
Il cane protendeva ancora il collo per cercare di guardare oltre la siepe, facendo schioccare le mascelle. La lingua gli penzolava a lato della bocca.
«Sciocchezze!» ripeté la cagna. «Perché fare una cosa del genere?»
Il cane aggrottò il muso. Il suo sguardo si indurì di nuovo e tornò su Haiki. «Già. Perché i conigli dovrebbero voler andare da qualche parte in massa?»
Gli occhi di Haiki scintillarono. «Perché?» Tacque un istante. Mi tremarono le zampe dal nervosismo, ma la volpe grigia ritrovò rapidamente la voce. «Perché andarsene in massa quando due cani enormi con zampe veloci e grosse zanne spadroneggiano su questo territorio? Se voi foste conigli, non vi prendereste il rischio di una notte allo scoperto nei campi per raggiungere la salvezza sulle colline?»
Era un discorso senza senso: i conigli vivevano sottoterra, non sulle cime delle colline. Era una cosa che sapevo persino io che venivo dal Grande Ringhio. Appiattii le orecchie all’indietro: Haiki stava cercando di lusingare i cani. E, incredibilmente, la cosa sembrò funzionare.
I cani si guardarono l’un l’altro e mossero qualche passo in direzione dei campi.
«Se non vi sbrigate non li raggiungerete più» rincarò Haiki. «Immaginate che banchetto. Dicono che i più piccoli siano particolarmente teneri…»
Il cane si stava già facendo strada nella siepe, la coda che frustava di qua e di là. La cagna fece per andargli dietro, ma poi si fermò e si voltò verso di noi. «Non vi muovete da qui, volpi. Se avete detto la verità sui conigli, potremmo essere così gentili da lasciarvi andare. In caso contrario…» Sollevò le labbra per scoprire i denti.
«Lo so bene che cosa ho visto» replicò Haiki. «Non resterete delusi».
Non riuscivo a credere ai miei occhi mentre guardavo i cani scomparire nella vegetazione. Per un lungo istante rimasi immobile, con Haiki vigile al mio fianco, poi mi acquattai pronta a scattare.
«Di qua» segnalò Haiki. Corremmo via tra le felci, schivando cespugli e radici in un’ampia curva che si allontanava dalla gola e puntava verso le pendici delle montagne, tenendoci bassi sotto la linea del fogliame con le code che sfioravano il terreno. Finalmente la pioggia stava diminuendo, ma fui grata che non fosse ancora cessata: avrebbe nascosto il nostro odore.
Nonostante tutto quel che avevo imparato nel Grande Ringhio, non ero ancora veloce come una volpe adulta e stentavo a tenere il passo di Haiki. Poi, poco più avanti, le felci lasciarono il posto a una distesa di rocce. Haiki si fermò sul limitare della vegetazione per aspettarmi. Io lo raggiunsi con il fiato corto.
«I cani sono laggiù nel campo» mormorò lui.
Ruotai in avanti le orecchie mentre osservavo l’orizzonte: colline sotto il cielo nuvoloso, appena distinguibili nell’oscurità. E due figure ringhianti che andavano avanti e indietro. Si levò un coro di latrati.
«Le volpi sono morte!» tuonò il cane.
Ma ormai eravamo troppo lontani.
Nel Grande Ringhio non c’era un solo angolo che sfuggisse alla luce gialla e ronzante dei globi luminosi. Ma dove mi trovavo ora, nelle Terre Selvagge, la notte era nera come la punta delle orecchie di una volpe. Attraversammo un buio tunnel formato dalle felci, raggiungemmo
i piedi delle montagne e a passi leggeri risalimmo a zigzag lungo una pietraia. Lassù i cani non ci avrebbero più trovato.
Haiki rallentò. Nei suoi fianchi c’erano solchi profondi. Io gli tenni dietro finché non si fermò per riprendere fiato: sedetti a una certa distanza da lui e lo osservai mentre si mordicchiava via grumi di fango dal pelo. Una nuvola di polvere si alzò dalla coda, ma lui non sembrò accorgersene. Non era meticoloso come Siffrin nel pulirsi.
Dopo un po’ si fermò. «Mi hai salvato la vita, Isla. Scappando dai cani sono scivolato e sono caduto nel torrente. Non sarei mai riuscito a liberare da solo la zampa, ma in qualche modo tu lo hai fatto… Hai una forza straordinaria!» Inclinò la testa in segno di gratitudine.
«Tu ci hai liberato dei cani» risposi. «Direi che siamo pari». E ci era riuscito senza fuggire e senza usare le Arti: solo con l’astuzia. Non avevo mai visto nessuno fare una cosa del genere prima di allora.
Latrati furiosi rimbombarono in lontananza.
«I cani hanno detto di averci visti nei campi. Ma io non ero lì». Mi lanciai un’occhiata sopra la spalla. «C’è qualcun altro là fuori?»
«Non che io sappia. Ma i cani, sai, non sono molto intelligenti!»
«Non c’era nessuna migrazione di conigli, vero?»
Haiki storse il naso. «Sotto la pioggia? No di certo. Bestie ombrose, i conigli: non sopportano l’acqua. Ma i cani sono ingordi. Mangerebbero qualunque cosa».
Finalmente la pioggia cessò e le nubi si aprirono per rivelare un cielo trapunto di stelle. Le Luci di Canista brillavano più intensamente di quanto le avessi mai viste nel Grande Ringhio:
levai gli occhi e rimasi ipnotizzata a fissare il pulsare di quei puntini luminosi. Riuscivo persino a vedere schemi, volti e figure tracciati lassù dal fuoco bianco degli astri. Era sempre stato così il cielo, nascosto dietro il bagliore dei globi luminosi e gli occhi inferociti dei Falciatori? O era solo nelle Terre Selvagge che le stelle osavano mostrare la loro scintillante maestosità?
Haiki mi stava osservando. «Bellissime, non è vero?»
Mi avvolsi la coda attorno al corpo. «Non sono abituata a notti così limpide».
«E a cosa sei abituata?»
Mi voltai verso di lui. Da vicino notai che la sua pelliccia grigia si arricciava sulle punte. Aveva zampe corte e muscolose e un muso piuttosto largo. Mi rialzai sulle zampe. «Ora dovrei riprendere il mio viaggio… Ma sono contenta che tu sia in salvo». Mi stiracchiai le zampe, preparandomi a ripartire.
«Io ti consiglierei di restare tranquilla ancora per un po’, nel caso i cani tornassero. Adesso sono là fuori a cercarci».
Mi fermai e scrutai al di là della linea delle rocce, ma da lassù i campi erano così bui che sembrava di stare nell’interno tenebroso di un’enorme caverna. In lontananza, una qualche creatura emise un richiamo, diverso da qualunque voce d’uccello avessi mai udito nel Grande Ringhio. C’era come una nota di accusa in quel suono fioco, una sorta di avvertimento.
Avrei voluto salire in cima alla montagna per studiare il paesaggio dall’alto, ma nemmeno la vista acuta di una volpe sarebbe riuscita a scorgere qualcosa in quella vastissima oscurità. Meglio aspettare il sorgere del sole.
Haiki si sdraiò e sbadigliò. «Tu non sei di queste parti. Si capisce».
La punta della mia coda fremette. Quel maschio ci aveva salvati dai cani con l’astuzia, ma io non sapevo nulla di lui. E l’esperienza mi aveva insegnato a essere sospettosa.
Haiki emise uno sbuffo e distese una zampa posteriore per cominciare a lavarsela, ma si sbilanciò e perse l’equilibrio. Rotolò su un fianco e si rimise in piedi con un guaito. «Nemmeno io, sai? Vengo dalle Terre Inferiori. Ho camminato a lungo».
«E perché sei venuto qui?» Mi pentii subito di averlo chiesto. Meno avessi saputo sul conto di quella volpe dai movimenti goffi e più facile sarebbe stato separarmene.
Ma Haiki sembrò gradire moltissimo la domanda e gonfiò il petto, pieno d’orgoglio. «Sono in missione! Devo attraversare le Terre Selvagge Superiori e trovare gli Anziani!»
Distolsi lo sguardo e fissai il bagliore lontano delle Luci di Canista.
«Hai sentito parlare anche tu di loro?» insistette lui con la sua voce rapida e allegra. Poi, senza aspettare la mia risposta, proseguì: «Da dove vengo io si racconta che gli Anziani sono più saggi di qualunque altra volpe vivente. Sono i custodi della Sapienza delle Volpi! Sanno praticamente qualunque cosa. Abbassò la voce, anche se non c’era nessun altro lì con noi. «Dicono che abbiano dei poteri… che sappiano fare magie…»
Mi costrinsi a staccare gli occhi dalle Luci e ripensai a Siffrin, che diceva di essere il messaggero degli Anziani. Ricordavo bene le sue parole.
Sono i custodi della Sapienza delle Volpi e degli insegnamenti sull’Arte. Sono le sette volpi più sagge di tutte le Terre Selvagge.
Aveva detto anche che Jana, una degli Anziani, stava cercando Pirie. Ma Siffrin aveva mentito su molte cose, il che significava che non mi potevo fidare nemmeno delle storie sugli Anziani.
Nonostante questo, mi sorpresi a domandare ad Haiki: «Tu li hai mai incontrati?»
«Incontrati? Io? Una volpe qualsiasi delle Terre Inferiori? Nessuna tra le volpi che conosco li ha mai visti. Alcuni dubitano persino della loro esistenza. Ma io no. Io e i miei fratelli siamo cresciuti ascoltando storie su di loro e adoravamo le leggende sulla Volpe Nera, che poteva diventare invisibile e assumere la forma di altri figli di Canista».
Feci roteare le orecchie. Anche Siffrin aveva menzionato la Volpe Nera, ma in quel momento non lo stavo ascoltando con attenzione.
Haiki sventolò la coda. «È la più potente tra tutte le volpi, la migliore in assoluto nell’Arte. Hai sentito parlare dell’Arte delle Volpi?»
Mormorai un assenso.
«È con quella che gli Anziani sono sopravvissuti alla ferocia dei Senzapelo» proseguì lui come se io non avessi detto nulla. «In ogni epoca esiste un gruppo di Anziani e una speciale Volpe Nera. E la nostra epoca ne ha bisogno più di ogni altra, non pensi anche tu?»
Appiattii all’indietro le orecchie. «Che cosa intendi?»
Haiki mi guardò come se mi vedesse per la prima volta. «Da dove hai detto che vieni?» Ora nella sua voce si era insinuata una nota di sospetto.
«Da sud e nella direzione del sole che sorge. Un bel po’ lontano».
«Dalle Terre Selvagge Inferiori?»
Presi a mordicchiarmi un’unghia per non dover incrociare il suo sguardo. Per qualche strana ragione non volevo ammettere di venire dal Grande Ringhio, anche se mi sembrava che non avrebbe fatto nessuna particolare differenza.
«Dalla Terra Grigia» dissi infine, usando il nome che davano a casa mia le volpi delle Terre Selvagge.
Haiki mi fissò. «Non avevo mai incontrato una volpe della Terra Grigia. Com’è fatto quel posto? È davvero tenebroso e rumoroso come dicono le storie?» Mi squadrò da capo a piedi. «È per questo che sei riuscita a spostare i sassi nel fiume? È una qualche… Arte delle Volpi della Terra Grigia?»
«Non lo so» risposi con franchezza. «Ho usato solo alcune cose che ho imparato da quando ho lasciato la mia tana».
«Non sei qui con la tua famiglia?»
Un’ombra mi passò sul cuore. Mi concentrai sulla zampa che stavo pulendo con i denti dai grumi di fango. «No. Viaggio da sola».
Haiki si drizzò sulle zampe. «Anch’io!» Sedette e si avvolse la coda attorno al fianco. «Andati tutti». La sua voce si incrinò.
Sollevai lo sguardo. «‘Andati’?»
Haiki sospirò. «Sì, tutti. Tutti i membri del mio branco. Io stavo cacciando un coniglio, ma non un coniglio normale: aveva una coda vaporosa, bianca, e macchie bianche sulla pelliccia. Pensavo che se lo avessi preso mia madre e mio padre sarebbero stati fieri di me»
L’AUTRICE
Inbali Iserles è una scrittrice di successo e un’inguaribile amante degli animali. Fa parte del team di autori della serie Survivors, bestseller del New York Times, per la quale ha scritto con lo pseudonimo di Erin Hunter. In Inghilterra, il suo primo romanzo, The Tygrine Cat, ha vinto il Premio Calderdale per il miglior libro per l’infanzia nell’anno 2008 e, insieme al suo seguito, The Tygrine Cat: On the Run, è entrato nella lista dei ‘Cinquanta libri che ogni bambino dovrebbe leggere’ compilata dall’Independent. Inbali ha frequentato l’Università del Sussex e quella di Cambridge e ha abitato per anni nel centro di Londra, dove l’interesse per le volpi urbane le ha ispirato la serie Foxcraft. Oggi vive a Cambridge con la sua famiglia e l’imprescindibile mascotte del suo lavoro di scrittrice, Michi, che sembra una volpe polare e si comporta come un gatto, ma è un cane.
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