L’autore
Otello Marcacci è nato a Grosseto il 13.3.1963.
Laureato in economia. Vive a Lucca circondato da casini, donne, sogni da realizzare, tasse da pagare, libri da leggere, sei elettroni, vicini inquietanti, ordini angelici di Serafini e tormentato da una maledetta ernia iatale e dalla saudade per le vecchie storie degli anziani.
Ha pubblicato:
Nel 2011 “Gobbi come i Pirenei” romanzo – (NEO Edizioni)
Nel 2012 “Il ritmo del silenzio” romanzo – (Edizioni della Sera)
Nel 2013 “La lotteria” romanzo – (Officine Editoriali)
Nel 2016 “Sfida all’OK Dakar” romanzo – (NEO Edizioni)
Nel 2020 – “La terra promessa – autobiografia Rock” – saggio –( Les Flaneur)
Ciao Otello, benvenuto a “Due chiacchiere con lo scrittore”
- Chi è Otello nella vita di tutti i giorni?
Una persona come tanti che si suda un lavoro, che cerca di essere un buon padre e un cittadino decente. Solo che a volte è veramente molto difficile riuscirci. Io però continuo a provarci.
- Da dove nasce la tua passione per la scrittura?
Per la gente come me la scrittura non è una passione, né un hobby e nemmeno un lavoro, quanto piuttosto qualcosa che non può essere evitato. Scrivo perché devo, perché non posso farne a meno, perché, se non lo facessi, la voce dentro di me qualora non potesse uscire mi farebbe impazzire. Scrivere non mi dà né gusto, né godimento ma solo sollievo alleviando quel dolore che sento quando non seguo le indicazioni stringenti di quella voce. Scrivo e non mi importa se poi ciò che viene fuori sarà pubblicato o no, ma ammetto che quando capita è più divertente. Rimane il fatto che non è fondamentale che succeda.
- Il romanzo che hai scritto a cui ti senti più legato?
Hai figli Jenny? Quando qualcuno chiede a un genitore a quale figlio si sente più legato è probabile che quello vada in crisi. A una domanda del genere la maggior parte delle persone risponde sostenendo che ama tutti i propri figli allo stesso modo. Io credo che siano sinceri nell’affermarlo, eppure allo stesso tempo, mentono sapendo di mentire. Perché se è vero che li amano tutti, a ognuno di essi sono legati in modo diverso per ragioni diverse. Lo stesso identico discorso vale per i libri. Ogni libro ha significato qualcosa a cui sono stato legato e che magari oggi non è più poi così importante per la mia vita, ma rivederli nella libreria mi permette di ricordare cosa fosse e di non perdere contatto o memoria con ciò che ero e sono stato. Quindi, sì, direi che li amo tutti, proprio come quel genitore di cui ti dicevo.
- Hai un luogo o una stanza dove preferisci scrivere?
No, non ce l’ho. So che per alcuni è indispensabile farlo nel solito posto con una disposizione di cose e oggetti accanto sempre uguale. Una cura maniacale dei dettagli anche olfattivi e quando qualcosa è fuori posto si bloccano. Beh io no. Io mi blocco comunque (ride). Io scrivo quando sento l’urgenza e non mi importa il posto. E’ un po’ come quando ami una donna o un uomo alla follia: non puoi aspettare di essere comodo…
- Esiste un libro che ha avuto una grande influenza nella tua vita? C’è uno scrittore che consideri il tuo mentore?
Credo fermamente che non ne esista mai uno solo. Né di libri né di “mentori”. Ogni stagione della vita ne ha diversi. Siamo diversi a 20 anni rispetto a quando ne abbiamo 60 o magari di più. C’è stato un tempo in cui stravedevo per scrittori che oggi non mi sembrano onestamente rilevanti ed ho anche rivalutato altri che invece in età giovanile non riuscivo a far miei. Posso però dirti cosa amo oggi. Beh, non ci crederai, ma ho preso una “sciroccata” pazzesca per Dante. Sì, sì, proprio “quel” Dante che a scuola sembrava così ostico. Adesso in età matura ho finalmente compreso la sua genialità assoluta. La grandezza della sua visione totale e l’immensità della sua cultura che va oltre le barriere del tempo e dello spazio. Il mio nuovo romanzo, quello che tu hai recensito risente molto dell’influenza di Dante. Ovviamente essendo io un miserabile scribacchino non si nota ma c’è ed è pure molto forte. Cosa ad esempio? Il viaggio. Tempi supplementari è anche se non soprattutto, un viaggio. Bene, avevo in testa l’Ulisse di Dante, quello che tutti noi conosciamo che è diverso da quello dell’Iliade di Omero. Non voglio annoiarti oltre misura ma studiando l’Ulisse ho capito le meravigliose metafore che Dante ha utilizzato: Ulisse che è senza la grazia di Dio naviga verso ovest cioè verso il crepuscolo, mentre Dante cammina verso la luce. Poi, certo, Borges ha anche detto che Dante è stato più empio di Ulisse perché aveva la pretesa di vedere Dio, ma santo cielo, leggo oggi la Commedia e a volte lei mi toglie il respiro. E a volte piango. Come uno scemo. Come quando mi ritrovo a leggere la prima parola che pronuncia Dante. Tu la ricordi? Dì la verità, la ricordi? No eh..? (ride)
- Ogni scrittore prima di tutto è un lettore, quali sono i tuoi generi preferiti? E cosa è per te leggere?
Leggere significa vivere una vita diversa dalla propria, ma anche aprirsi al mondo e vedere cose che prima non si notavano. Questo per me è poi la scriminante tra un buon libro e uno di cui si può fare a meno. Ci sono molte persone che dicono che vogliono essere sé stessi nella vita. Io no. Io non mi accontento, io voglio anche essere altro che solo me stesso. E leggere mi permette di farlo. Leggo narrativa non di genere ma anche saggi, molti saggi. Da questo punto di vista come Luciano Canfora nessuno mai. Confesso che preferirei conoscere di persona lui che Sharon Stone. No, aspetta, dai, forse così è troppo. Mi spiace professore, a questo non ci arrivo. (ride)
- Passiamo al tuo romanzo “Tempi supplementari” da dove nasce l’idea di scrivere questa storia?
Tempi supplementari è un lascito. Il testamento di un’epoca che finisce. La mia generazione è l’ultima di un’era che è sparita e con noi scomparirà anche la sua memoria. Le mie figlie non hanno idea che solo pochi anni fa vivevamo e pensavamo in modi totalmente diversi da come loro fanno oggi. Ho sentito la necessità di raccontare a loro chi eravamo e cosa speravamo da un lato, e dall’altro volevo che quelli che l’hanno vissuta facessero un tuffo nella fontana della giovinezza e ricordassero da dove veniamo. La partita di calcio è solo un pretesto per mostrare esattamente questo.
- Qual è il personaggio a cui sei più affezionato e quello che hai fatto più fatica a descrivere?
La voce narrante, Giacomo, è un personaggio che ho amato molto. In parte mi somiglia. E’ un equilibrista che cammina su un filo da un palazzo all’altro di fronte a tutti. In perenne equilibrio e disequilibrio. E’ uno che rischia che ti mostra le sue fragilità che ti parla delle sue paure e le rappresenta di fronte al lettore. Lo amo anche perché a volte ha reazioni violente e rabbiose ma altre più spirituali, quasi psicoterapeutiche nel senso che lascia che tutto sia (Pantarei) e rilassa i muscoli. Marco, invece, il suo amico è stato davvero difficile da essere tratteggiato. Con lui intuisci immediatamente che tutte le regole del gioco sono sovvertite, ma proprio per questo è veramente complicato mostrare i suoi lati. Potrebbe e forse vorrebbe essere bello e ottimista, performante ed adeguato ma allo stesso tempo odia l’idea di esserlo. E’ frenetico ma finisce per essere lento e se il dolore è una stanza segreta lui ci va prendere il caffè ogni sera.
- Il punto di forza del tuo romanzo?
Io credo che sia il fatto che per funzionare non ha bisogno di commissari o di indagini o di sesso facile o di colpi di scena teatrali. La quotidianità nella sua straordinarietà basta e avanza per tenere il lettore incollato alle pagine. O almeno così mi piace pensare. Tu che dici? Mi sbaglio?
- “Tempi supplementari” piacerà sicuramente a tutti quei lettori che…
A tutti coloro che cercano la bellezza. Che detta così capisco che possa sembrare una cosa orrenda perché piena di presunzione. Tuttavia non sto parlando della mia scrittura che pure, va ammesso, è oggettivamente straordinaria (ride) ma dei valori che hanno davvero valore nella vita di un umano: l’amicizia nella sua forme più pure, l’amore ma anche della morte. La morte in fondo è l’ultimo tabù di questa società, l’unica cosa di cui non si può parlare e che qua è toccata anche in senso greco. Ma non te la faccio lunga su questo punto per non sembrare pedante. E piacerà sicuramente anche a chi cerca qualcosa di diverso dal mainstream che va per la maggiore oggi. Non è un romanzo distopico, non è un thriller non ci sono noiosi commissari o avvocati che indagano né storie d’amore noiosissime e super scontate ma ci si possono trovare pornostar a fine carriera, militari ebrei più teneri di un grissino, migranti e suore e mai come ci si aspetta che debbano essere.
- Cosa si potrebbe fare, a tuo parere per incentivare la lettura?
A questo tipo di domanda non riescono a dare risposte decenti menti ben più eccellenti della mia, figuriamoci se posso io. L’educazione alla lettura nelle scuole rimane per me la scommessa migliore nel lungo periodo.
- Da cosa è mosso il tuo protagonista? E qual è il suo obiettivo?
Il romanzo in realtà ha molti personaggi. Giacomo la voce narrante è solo il più evidente. Tutti quei ragazzi cercano la loro via. In altre parole la felicità. Questo li muove. La ricerca della felicità è sancita anche nella Costituzione americana. Per gli americani è un diritto inalienabile e credono persino di averla inventata loro questa cosa. In realtà già Aristotele ne parlava quasi duemilacinquecento anni fa nell’Etica. E la sua risposta finale è che si può trovare la felicità soltanto nella vita di relazione all’interno di una società e come esseri sociali dobbiamo trovare la felicità interagendo in modo positivo con coloro che ci circondano. Ecco qual è l’obiettivo di quei ragazzi.
- Ci lasci con una citazione…
Torno a sopra, ricordi? Parlo di Dante e di quando non ricordavi la prima parola che lui pronuncia nella Divina Commedia? Quella che ogni volta che leggo mi commuove intendo.
Dunque la situazione è questa: lui si ritrova in questo posto dove ha paura, non capisce che succede e soprattutto come venirne fuori. Vede all’improvviso il fantasma di Virgilio, ma ancora non sa che è lui e che cosa è venuto a fare e con voce tremante gli dice:
«Miserere di me» gridai a lui
«qual che tu sii, od ombra od omo certo! »
Insomma, chiunque tu sia, ti prego, abbi pietà di me.
L’apparizione di Virgilio è manifestazione della misericordia di Dio che gli permette di potersi salvare proprio attraverso la poesia. La poesia che diverrà caritas forza che “move ‘l sole e l’altre stelle”.
Grazie per essere stato con noi…
Jenny
Sinossi
I tempi supplementari sono tempi di grazia, nel calcio come nella vita. Quando la superiorità dell’avversario è schiacciante si cerca di coprire la porta fino al fischio finale, e, nel frattempo, si spera: si spera di limitare la sconfitta facendo almeno un goal, si spera che un pallone cada in avanti, quanto basta da far partire l’improbabile contropiede di un mediano; si spera di resistere fino alla fine. E allora si va ai supplementari. Giacomo e i suoi amici vanno tutte le estati al mare in colonia, con le suore, nella pineta di Marina di Grosseto. Quando raccolgono la sfida dei ragazzi di un’altra colonia, inizierà una partita di calcio che durerà per cinquant’anni.