Trama
Questa è la storia di due solitudini che si incontrano.
Di due anime che ritrovano il gusto della vita.
E la bellezza che si nasconde dietro le nostre fragilità.
«Fluida la pasta della scrittura, senza orpelli, ma di grande efficacia, soprattutto nella restituzione degli stimoli sensoriali che l’autrice dimostra di avere a cuore al pari dei fatti.»
Corriere Torino – Chiara Dalmasso
Lorenzo è convinto che la propria vita sia impeccabile così com’è. Una quotidianità scandita da rituali rassicuranti, il lavoro di insegnante al Conservatorio, due amici intimi e il microcosmo del suo appartamento sono tutto ciò di cui ha bisogno per dirsi felice. Finché qualcosa inceppa questo meccanismo, che ha sempre funzionato alla perfezione. Una strana sensazione lo spinge a interrogarsi sul vuoto che gli prende lo stomaco e non lo lascia respirare. Un vuoto a cui non sa dare un nome, ma che gli impedisce di godersi la routine con la serenità di prima. È per questo che Lorenzo non trova altra soluzione al suo malessere se non quella di allontanarsi per un po’. Di partire per l’India con un gruppo di sconosciuti, una realtà così poco familiare da consentirgli di prendere la giusta distanza per rimettere ordine dentro sé stesso. Ciò che non si aspetta è di restare affascinato da uno dei suoi compagni di viaggio: Zoe, una ragazza dai lunghi capelli fucsia, che in circostanze normali avrebbe giudicato sopra le righe. Giorno dopo giorno, Lorenzo si rende conto che Zoe è capace di intravedere la bellezza dell’esistere, anche quando si cela nelle situazioni impreviste. Sa che da lei può imparare ad apprezzare di nuovo la vita in tutte le sue sfumature, ma per farlo deve prima scoprire l’altro lato di Zoe, quello che la ragazza si ostina a nascondere dietro un fare sfuggente e ambiguo. Solo così potrà lasciarsi andare e abbattere anche le sue ultime resistenze.
Estratto
Ad Attilio, la parte migliore di me
«V’è sempre nella mia vita una malinconia,
ma al tempo stesso una felicità indescrivibile.»
Søren Kierkegaard, Diario
Torino
Boom!
Un tonfo secco.
Anche questa mattina il servizio di nettezza urbana è venuto a ritirare il suo carico. La barriera dei vetri insonorizzati non è sufficiente ad attutire l’esplosione quotidiana. Gli occhi aperti all’improvviso dopo una notte inquieta. “È un incubo questo camion dei rifiuti, il modo peggiore per svegliarsi…” Lorenzo è già stanco ancora prima di alzarsi dal letto a una piazza e mezza.
“Che giorno è oggi?” pensa tra sé cercando un riferimento con gli occhi, come se perlustrare la piccola stanza potesse aiutarlo a individuare il giorno della settimana. “Martedì, mercoledì? Boh…”
Le campane del santuario della Consolata suonano inesorabili. Non c’è più scampo, è proprio l’inizio di un nuovo giorno. Come vorrebbe che un maggiordomo invisibile gli servisse la colazione a letto. Gli basterebbe una tazza di acqua calda, a cui ormai non saprebbe più rinunciare, seguita da un buon caffè e una brioche fragrante, leggera, senza burro e con un velo di marmellata alle arance al suo interno. Cosa chiede, in fondo? È un piccolo desiderio. Più forte, però, è la necessità di non incontrare anima viva fino all’arrivo in piazzetta; dunque, è impossibile esaudire il desiderio di un impeccabile servizio a letto. Nessuno supererebbe l’esame e potrebbe circolare per casa senza provocare un grave fastidio, soprattutto subito dopo il risveglio.
Il silenzio del mattino è un raro istante di perfezione, che si riempie di dolci suoni, come lo scricchiolio del parquet che crepita sotto i suoi passi mentre, scalzo, raggiunge il bagno; il gorgoglio della macchinetta del caffè che sbuffa sul gas, oggetto che non esiste più in nessun luogo, soprattutto negli uffici dove troneggiano ingombranti macchine a cialde. Modaiole, brutte e inefficienti. Lui, invece, adora le pause tra il tintinnare del cucchiaino nella tazzina di porcellana Wedgwood e il frusciare degli abiti che accuratamente sceglie, seppur tutti uguali. Come se fosse la fase di un rito, si avvicina alla finestra chiusa: che meraviglioso affresco la vista su piazza della Consolata alle sette del mattino. Muta, sempre per effetto dei vetri insonorizzati, e armoniosa, per volontà del Maestro Guarini che, nel XVII secolo, progettò la chiesa di Santa Maria della Consolazione, il santuario appunto, che domina questo scorcio incomparabile di Torino. Lorenzo ha bisogno di quel silenzio forzato per ammirarne ogni mattina la cupola e la facciata. “Un capolavoro del barocco piemontese”, pensa, mentre sorseggia il caffè. Torna ai suoi dolci suoni, come la doccia che fa scrosciare, quasi simulando i temporali improvvisi dell’estate. Poi, di nuovo il silenzio. Assoluto, rassicurante e profondo mentre, avvolto nel suo accappatoio di spugna blu, s’immerge nei
primi pensieri del giorno, seduto sulla piccola poltrona di alcantara, perla indiscussa della sua saletta da bagno.
“Ah, sì, oggi è mercoledì, dunque inizio alle undici. Meno male, ho il tempo di rilassarmi.” Ecco, in giornate come questa, quando ha più tempo da dedicare a sé stesso, per Lorenzo il risveglio è un momento in cui prendere le distanze da un lavoro che adora, ma di cui non sopporta molti aspetti: la ripetitività, l’assenza di precisione, le aspettative disattese. È come un paradiso costellato di gironi dell’inferno e, per lui, rilassarsi la mattina vuol dire costellare il percorso a piedi fino al lavoro di deliziose tappe nei luoghi che gli sono più familiari.
“Dunque, devo ricordarmi di prendere il materiale che ho lasciato in aula 1. Laboratorio per iniziare, esercitazione a seguire.”
La toilette continua con flemmatica cura. Il taglio della barba è affidato al rasoio in acciaio inox e manico di legno, mentre l’idratazione e il nutrimento della pelle del viso sono garantiti dalla prestigiosa crema che usa da anni e che non cambierebbe per nulla al mondo. Una sforbiciata ai peli delle narici con le forbicine in acciaio lucido dalla lama affilata e la punta arrotondata; una lunga pulizia dei denti con lo spazzolino elettrico a pulsazione, oscillazione e rotazione; un’accurata ispezione alle orecchie con un bastoncino di cotone e un buon deodorante. Inizia il rituale della vestizione, mentre i capelli folti, che lava ogni mattina, vengono abbandonati a un’asciugatura naturale, tanto il ciuffo, che scende sugli occhi e di cui va tanto fiero, trova la sua piega da solo.
Pulisce le scarpe primaverili di camoscio, rigorosamente nere, con la spazzola di setola di cui adora il fruscio.
La liturgia, condotta in religioso silenzio, volge al termine. Uno sbuffo di profumo all’ambra nera di Ortigia e Lorenzo è pronto: si sente un quarantenne di tutto rispetto, così tirato a lucido. Può finalmente uscire.
I due piani di scale che lo preparano all’incontro con il mondo sono per lui uno spazio vuoto in cui si avvita la curva elicoidale dei gradini, il cunicolo di congiungimento con il resto del pianeta. La lenta discesa gli lascia il privilegio di sentire i rumori molesti arrivare piano piano. Quasi gradino per gradino. Giunto al portone del palazzo, di solito, è pronto per affrontarli, ma oggi il mondo sembra impazzito. Un insostenibile accavallarsi di suoni lo stordisce paralizzandolo per un istante. Come convincere l’intero universo che è nel silenzio che si creano le grandi opere? È nel silenzio che le note si affastellano per costruire una sinfonia; ed è sempre nel silenzio che le mani plasmano un blocco di marmo per dar vita a una scultura. Non solo: è nel silenzio che affiorano i ricordi ed è in esso che trovano pace. O almeno così è per lui.
La spazzatrice stradale percorre impazzita la piazza a caccia di ogni piccolo rifiuto. Sarebbe silenziosa, perché elettrica, se non fosse per le due spazzole giganti che ruotano vorticosamente lustrando il pavé a dovere. Sul fianco della vettura lo slogan: «Zero emissioni, zero difficoltà di manovra, zero limiti, zero rischi». “E il rumore?” pensa Lorenzo visibilmente infastidito. “Al rumore non ci pensa mai nessuno?”
Il camion di piccola taglia che entra nella piazzetta diretto verso l’«Osteria del Bacaro»per il rifornimento quotidiano sembra un oltraggio alla bellezza e rumoreggia a lungo per ultimare la manovra che gli consente lo scarico della merce.
Due amiche passeggiano con il cane parlando tra loro con un timbro di voce che perfora il timpano di Lorenzo, mentre un ragazzo con lo skate sottobraccio invita il suo compagno, che si trova in via della Consolata, a raggiungerlo sulla pista da skateboard del Teatro Regio. Urlando, ovviamente.
Un incubo. Lorenzo vorrebbe possedere un unico superpotere: la selezione automatica dei rumori; invece, è condannato a sentire tutto, ma proprio tutto.
“Che meravigliosa giornata di sole, però”, pensa per consolarsi, mentre attraversa la piazza verso la prima tappa obbligata lungo il percorso per il lavoro. Venti metri ed ecco il dehors del «Caffè al Bicerin», lo storico locale che prende il nome dalla bevanda calda che l’ha reso famoso. A Lorenzo piace quel luogo carico di tradizione, a due passi da casa sua, che, nel Settecento, proponeva ai cittadini la famosa bavarèisa,un raffinato mix di caffè, cioccolato e crema di latte dolcificata con sciroppo, servita in un grande bicchiere tondeggiante. Nell’era dell’omologazione alle mode internazionali, vuole restare legato alle proprie radici, alla memoria. Lo esalta pensare che quello è il luogo di Torino dove sorseggiavano il loro bicerin Cavour, Picasso, Dumas, Hemingway. Perché non lui dunque? Quale modo migliore per iniziare la giornata? Quando raggiunge i tradizionali tavolini in ferro battuto, si ripete sempre la stessa scena. Ogni giorno. Si guarda attorno come se stesse soppesando un posto tra quelli a disposizione anche se sa perfettamente che sceglierà sempre lo stesso, quello nell’angolo più vicino alla vetrina del locale, a fianco della grande pianta di potos che cresce in vaso in omaggio alla natura bandita dal centro città. Quella è la posizione ideale per godere della vista migliore della chiesa e per gustare il primo caffè fuori casa della mattina.
Una coppia si siede accanto a lui che è intento a contemplare la facciata della Consolata. Uno stridore fastidioso lo desta dai suoi pensieri. I due, che hanno appena trascinato le pesanti sedie di ferro battuto sul pavé, si scusano con Lorenzo che risponde solo con un lieve cenno del capo. È svanita la possibilità di smarrirsi in quello splendore e il caffè ha già perso il suo fascino. La sua attenzione si sposta sulla coppia che gli sta accanto e che ha appena ordinato proprio il bicerin. Li guarda e intuisce che sono turisti perché stanno per mescolare gli ingredienti con il cucchiaino. Non resiste alla tentazione di intervenire: «Buongiorno. Chiedo perdono… Posso essere così invadente da offrire un suggerimento?».
«Buongiorno, prego…»
«Vorrei svelarvi il segreto del bicerin…»
«Perché, c’è un segreto?»
«Certo. Per una migliore degustazione, il bicerin non deve essere mescolato. Bisogna lasciare che le varie componenti si fondano fra loro direttamente sul palato in modo da poter distinguere densità, temperatura e sapore di ogni ingrediente.»
«Che gentile! Non lo sapevamo, ma ne facciamo tesoro. Possiamo chiederle come nasce questa bevanda che ci è stata consigliata?»
«Era il conforto dei credenti che uscivano a digiuno dalla funzione della chiesa della Consolata, quella che vedete di fronte a voi.»
«Perché a digiuno?»
«Per prendere la comunione. Inoltre, era il nettare concesso in periodo quaresimale perché non era considerato cibo. Bislacco, visto che è una vera leccornia proteica.»
«Ci chiedevamo quale luogo visitare per primo a Torino. Può darci un consiglio?»
«Non potete perdervi questo magnifico esempio di arte barocca che si trova di fronte ai vostri occhi: la chiesa di Santa Maria della Consolazione.»
«Merita?»
Lorenzo sorride e indugia di fronte a tanta ingenuità.
«Be’, la guida che vedo nelle vostre mani potrà fornirvi ogni informazione su questo gioiellino.»
«Davvero? Grazie per il consiglio prezioso.»
Lorenzo si alza facendo un leggero cenno del capo in segno di saluto e se ne va invidiando un poco l’inconsapevole fortuna dei due turisti che potranno godere di uno spettacolo ineguagliabile frutto di una costosa opera di restauro che ha reso omaggio all’antica bellezza del chiostro del convitto, della cupola e delle facciate.
Cammina assorto imboccando via Garibaldi. Si lascia accarezzare dall’aria frizzante del mattino, mentre prosegue verso l’area pedonale priva del rumore molesto delle auto; si sente solo il frusciare delle biciclette che sfrecciano con grazia e insolenza. Seconda tappa immancabile: la «Pasticceria Tamborini», luogo storico che dal 1915 svetta a metà percorso, quasi all’angolo con l’Archivio storico di Torino, nato con l’arduo compito di rifornire la Casa reale. È il posto prescelto da Lorenzo per la brioche di cui adora la fragranza, ma che nasconde al suo interno anche una deliziosa presenza…
L’ Autrice
Antonella Frontani, giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva, è stata responsabile delle relazioni esterne presso il Teatro liricosinfonico di Bologna e vicepresidente di Film Commission Torino Piemonte. È docente del master sul Romanzo musicale presso la Scuola Holden. Con Garzanti ha pubblicato Tutto l’amore smarrito (2015) e L’equilibrio delle illusioni (2018).