Trama
Germania, 1943. Hans Heigel, ufficiale di complemento delle SS nella piccola cittadina di Osnabrück, non comprende né condivide l’aggressività con cui il suo Paese si è rialzato dalla prima guerra mondiale; eppure, il timore di ritorsioni sulla propria famiglia e la vita nel piccolo centro, lontana dagli orrori del fronte e dei campi di concentramento, l’hanno convinto a tenere per sé i suoi pensieri, sospingendolo verso una silenziosa convivenza anche con le politiche più aberranti del Reich. Più importante è occuparsi della moglie Ingrid e, soprattutto, dell’amatissima figlia Hanne. Fino a che punto un essere umano può, però, mettere da parte i propri valori per un grigio quieto vivere? Hans lo scopre quando la più terribile delle tragedie che possono capitare a un padre si abbatte su di lui, e contemporaneamente scopre di essere stato destinato al campo di sterminio di Sobibór. Chiudere gli occhi di fronte ai peccati terribili di cui la Germania si sta macchiando diventa d’un tratto impossibile… soprattutto quando tra i prigionieri destinati alle camere a gas incontra Leah, una bambina ebrea che somiglia come una goccia d’acqua a sua figlia Hanne. Fino a che punto un essere umano può spingersi pur di proteggere chi gli sta a cuore? Giorno dopo giorno, Hans si ritrova a escogitare sempre nuovi stratagemmi pur di strappare una prigioniera a un destino già segnato, ingannando i suoi commilitoni, prendendo decisioni terribili, destinate a perseguitarlo per sempre, rischiando la sua stessa vita… Tutto, pur di non perdere un’altra volta ciò che di più caro ha al mondo. Ispirandosi a fatti drammatici quanto reali, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli ci trasportano nelle tenebre profondissime di una pagina di storia che non si può e non si deve dimenticare – soprattutto oggi – mostrando però che persino nella notte più nera possono accendersi luci di speranza, a patto di vincere le nostre ipocrisie e lasciarci guidare dall’unica che ci accomuna tutti: la nostra umanità.
Estratto
A mio figlio Stefano, che anche se non ama i libri ha la curiosità di mettere il naso (e le mani) in tutto ciò che vede. E spesso lo capisce meglio di me…
FRANCO FORTE
A Valeria e ad Hassan, con tutto il mio cuore.
SCILLA BONFIGLIOLI
Capitolo 1
1
Hans Heigel sapeva che i cambiamenti non avvengono mai all’improvviso.
Ogni mattina, quando apriva la finestra, poteva vedere la collina di Piesberg premere contro la nebbia, tratteggiata da una matita leggera all’orizzonte di Osnabrück. Poi distoglieva lo sguardo, indossava l’uniforme, marciava verso il suo posto di lavoro e si dimenticava di quel rilievo ammantato di foschia. Solo nel pomeriggio, quando rialzava gli occhi dalle sue carte, si accorgeva che la collina si stagliava magnifica sulla città, con le sue pareti di filigrana rosa e viola. Quando fosse riemersa dalla bruma rimaneva un mistero per lui, che non ammetteva distrazioni durante le grigie e monotone ore di lavoro nel suo piccolo ufficio decentrato. Ma di certo il cambiamento era avvenuto a poco a poco, in silenzio, quasi in contrasto con le feroci urla della guerra che divampava lontano.
Hans si strinse nella giacca pulita e rammendata con cura. Quell’atteggiamento di difesa, quel rinchiudersi non solo nella divisa ma anche nel suo piccolo mondo fatto di numeri e logistica, semplice e spaventoso a modo suo, gli era stato indispensabile quando la Germania, dopo la sconfitta della Grande Guerra, si era riscossa e si era scagliata contro chiunque non capisse che era giunto il momento di rialzare la testa dal fango.
In realtà anche lui non capiva. Tutta quella rabbia, tutta quella ferocia che sembrava non avesse mai fine… Ma taceva e curvava le spalle sulle carte, assorto nel lavoro per non sentire come il mondo stava cambiando fuori da quel misero ufficio.
Però sapeva che i cambiamenti arrivavano, ineluttabili, quando meno li si aspettava. Magari non all’improvviso, ma giorno dopo giorno. A poco a poco, come la nebbia che scivolava sui rilievi della collina di Piesberg.
Nel frattempo, meglio tenere la testa china e aspettare di risollevare gli occhi quando il cambiamento si fosse compiuto.
Oltre le pareti del suo ufficio.
Oltre la collina.
Oltre la città.
Quando tutta la foschia che ottenebrava il mondo si fosse finalmente dispersa.
2
«Accendi la radio» chiese Hans a sua moglie mentre sedevano a tavola per colazione.
Ingrid sollevò appena un angolo della bocca e gli versò il tè, apparentemente concentrata a non rovesciarne nemmeno una goccia sulla tovaglia candida. Dopo aver posato la tazza davanti a lui, si sporse a sistemargli il colletto dell’uniforme. Ma non obbedì.
«Ingrid. La radio…»
Da pochi giorni il ghetto di Cracovia era stato smantellato e quello di Varsavia in rivolta. I comunicati radio stavano ancora delineando la situazione in Polonia, sempre più confusa, sempre più in emergenza. L’Aktion Reinhardt era al suo apice e la pulizia del ghetto ebraico era la fase dell’operazione che prevedeva lo sgombero dei territori polacchi dagli ebrei.
«Hans, ti prego» sospirò Ingrid, allontanando dalla fronte un ricciolo biondo che le era sfuggito dall’acconciatura. Non aggiunse altro, limitandosi a guardarlo come a fargli capire che con lei non aveva bisogno di fingere, che non lo avrebbe mai denunciato alle autorità competenti, se non si fosse dimostrato ogni giorno un vero figlio del Reich.
Hans avrebbe dovuto imporsi sulla moglie. Sapeva quanto fosse pericoloso rilassarsi, cedere alle lusinghe dell’armonia che regnava nella sua casa, dove nessuno poteva irrompere all’improvviso per metterlo sotto accusa. Ma Ingrid era così bella mentre piegava la testa e sospirava “Hans, ti prego”; mentre girava su se stessa nel vestito verde pallido; mentre socchiudeva le labbra nella concentrazione di cercare un disco da mettere sul grammofono… che lui non se la sentì di mantenere quel cipiglio che aveva imparato a costruire così bene.
La osservò mentre, di spalle, appoggiava la testina dello strumento sul disco e Wagner spargeva le sue note nella sala da pranzo. Adoravano entrambi la musica e la loro casa risuonava sempre di sinfonie di Beethoven, selezioni classiche e liedertedeschi.
«Così non è meglio?» gli sorrise lei da sopra la spalla.
Hans non rispose, ma dentro di sé rabbrividì: Ingrid era troppo perfetta; tutto sembrava troppo perfetto, in quella casa lontana dalla guerra, dal rombo furioso dei cannoni e dalle urla di morte. Non poteva permettere che la foschia si posasse anche su di loro. Non poteva lasciare che la follia nazista si facesse spazio nel muro che lui aveva eretto per difendere se stesso e la sua famiglia.
Si pulì la bocca e si alzò, sentendo le gambe molli.
«Dov’è Hanne?» chiese guardandosi attorno. «Dorme ancora?»
3
Hanne dormiva. O meglio, fingeva di dormire. Hans lo comprese subito e trattenne un sorriso.
Dalla finestra il sole pallido le accarezzava il visetto e i lunghi capelli dorati sparsi sul cuscino, mentre teneva ostinatamente gli occhi chiusi.
«La colazione è in tavola» si decise a dirle alla fine.
«Uffa» protestò lei, girandosi sul fianco.
Hans le sedette accanto. «Una brava bambina non fa i capricci per alzarsi.»
Hanne sospirò. «Non voglio.»
«Non vuoi fare i capricci o non vuoi alzarti?»
Lei arricciò le labbra in una smorfia di rabbia infantile che riempì il cuore di Hans. Le accarezzò i capelli e si piegò su di lei per annusarli e baciarglieli. Profumavano di pulito e di quell’essenza che il mondo sembrava avere perso da troppo tempo: la purezza.
«Avanti, colomba bella. Giù dal letto. Adesso viene la mamma.»
«Non puoi restare tu?» Hanne spalancò gli occhi per guardarlo. Enormi, liquidi e azzurri come il cielo d’estate. «Resta con me.»
Hans sarebbe morto mille volte, per sua figlia. Avrebbe combattuto qualsiasi guerra da solo, per lei. Ma la verità era che non era bravo a occuparsi di una
bambina. Ingrid lo faceva al meglio, com’era richiesto a una brava madre. Il suo posto era al presidio di Osnabrück.
«Verrò questa sera» promise. Le mise tra le braccia Fräulein Kuken, l’adorata bambola che durante la notte era rotolata giù dal letto. «E mi racconterai tutte le cose che avrai fatto con la mamma.»
Tornò di sotto portandosi nel cuore gli occhi azzurri della sua colomba. Sulla soglia di casa baciò Ingrid sulla guancia, poi si diresse a passo deciso verso il luogo in cui avrebbe continuato a svolgere il suo dovere per la Germania.
Con un brivido si augurò di essere più bravo di sua figlia a fingere.
4
Osnabrück era un agglomerato di case dai tetti geometrici e dalle sfumature pallide, che si confondevano nel cielo del mattino primaverile. Tra gli alberi ai lati delle strade e il silenzio che regnava intorno, era un piccolo paradiso lontano dai miasmi della guerra.
Mentre camminava, Hans non poté fare a meno di pronunciare a bassa voce quella parola: guerra. Aveva uno strano sapore sul palato, come di ferro arrugginito, con una nota nauseante di catrame. Suscitava immagini struggenti nella sua mente, sprazzi di cieli lividi, esplosioni e fragore di armi, il ritmico gracchiare dei bollettini di propaganda alla radio. Ma, a guardare Osnabrück, quelle immagini e quei proclami sembravano solo menzogne, fiabe per adulti messe insieme da qualcuno che aveva come unico scopo quello di creare l’orrore. O forse di fingere, proprio come faceva lui.
Si scoprì a sorridere. Un sorriso amaro che si portava dietro sfumature di vergogna, perché non solo lui non faceva niente per opporsi a quella follia, ma anzi abbassava la testa e induriva lo sguardo per uniformarsi al colore di piombo che vedeva negli occhi di chi gli stava intorno.
I mutamenti non avvenivano di colpo, questo lo sapeva, però da quando era ragazzo le cose erano cambiate parecchio. Anche nella pallida Osnabrück, dove tutto sembrava inerte e immoto. Salivano come nebbia, con quella stolida lentezza che non ti lasciava accorgere di niente.
Hans ricordò come, prima della guerra, le famiglie rinunciassero all’arrosto con patate del sabato per risparmiare il denaro da devolvere all’esercito; ricordava che non c’erano ghetti da nessuna parte, fuori dalle città, e gli ebrei erano liberi di girare per le strade; ricordava la povertà delle campagne e gli occhi cupi della gente.
Adesso, a sentire i bollettini della radio, le strade erano pulite, l’esercito era forte e gli occhi dei tedeschi brillavano di fierezza.
E lui era costretto a rintanarsi sempre di più nel suo mondo di finzione.
Gli autori
Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Scrittore, sceneggiatore e giornalista, per Mondadori ha pubblicato, tra gli altri, Roma in fiamme, Cesare l’Immortale e il fortunato Romolo.
Scilla Bonfiglioli è nata a Bologna nel 1983. Attrice e regista teatrale, oltre che scrittrice, ha pubblicato racconti in diverse antologie e nel Giallo Mondadori.