Da oggi 7 giugno 2022 in tutte le librerie e sugli store on-line
Londra, settembre 1914
«Le mie mani non tremano mai. Sono una chirurga, ma alle donne non è consentito operare. Men che meno a me: madre ma non moglie, sono di origine italiana e pago anche il prezzo dell’indecisione della mia terra natia in questa guerra che già miete vite su vite.
Quando una notte ricevo una visita inattesa, comprendo di non rispondere soltanto a me stessa. Il destino di mia figlia, e forse delle ambizioni di tante altre donne, dipende anche da me. Flora e Louisa sono medici, e più di chiunque altro hanno il coraggio e l’immaginazione necessari per spingere il sogno di emancipazione e uguaglianza oltre ogni confine.
L’invito che mi rivolgono è un sortilegio, e come tutti i sortilegi è fatto anche d’ombra. Partire con loro per aprire a Parigi il primo ospedale di guerra interamente gestito da donne è un’impresa folle e necessaria. È per me un’autentica trasformazione, ma ogni trasformazione porta con sé almeno un tradimento. Di noi stessi, di chi ci ama, di cosa siamo chiamati a essere.
A Parigi, lontana dalla mia bambina, osteggiata dal senso comune, spesso respinta con diffidenza dagli stessi soldati che mi impegno a curare, guardo di nuovo le mie mani. Non tremano, ma io, dentro di me, sono vento.»
Questa è la storia dimenticata delle prime donne chirurgo, una manciata di pioniere a cui era preclusa la pratica in sala operatoria, che decisero di aprire in Francia un ospedale di guerra completamente gestito da loro. Ma è anche la storia dei soldati feriti e rimasti invalidi, che varcarono la soglia di quel mondo femminile convinti di non avere speranza e invece vi trovarono un’occasione di riabilitazione e riscatto.
Ci sono vicende incredibili, rimaste nascoste nelle pieghe del tempo. Sono soprattutto storie di donne. Ilaria Tuti riporta alla luce la straordinaria ed epica impresa di due di loro.
A Paolo,
che ha cucito la prima copertina per Jasmine.
L’amore è sutura.
Sutura e non benda, sutura – non scudo
(Oh, non chieder difesa!),
sutura, con cui il vento è cucito alla terra,
con cui io a te sono cucita.
Marina Cvetaeva
1
Londra, quartiere di Whitechapel, 22 agosto 1914
La vampata sulfurea del fiammifero sembrò presagire l’apparizione del demonio. Se fosse comparso, non sarebbe stato la prima creatura degli inferi a passare di lì, quella notte. Nella mansarda l’aria era ferma e puzzava della violenza consumata, di un’umanità bestiale. Dalla finestra spalancata non entrava un alito di vento a spazzarne le tracce. Sembrava che i passi del male avessero lasciato altre impronte, là fuori. Un pianto sommesso, giù in strada, una nenia funebre, poco lontano.
Cate accese il fornelletto ad alcol, attese che l’acqua bollisse nel contenitore e sterilizzò l’ago.
Di diavoli ne aveva incontrati diversi, fino a comprendere che alcuni esseri erano tormentati da una fame che non aveva nulla a che vedere con il nutrimento. Li osservava esercitarsi con più determinazione di altri nell’arte di sopravvivere, apprendere l’imponderabile, mandare a memoria ogni errore. Con i frammenti d’ossa dei propri simili costruivano corazze, e con la potenza delle mandibole risalivano la china.
La vedova Harris apparteneva a quel tipo di esseri.
Cate sentiva i piccoli occhi della padrona di casa zampettarle addosso. Le correvano su e giù dal viso, lungo le braccia, saltavano sulla schiena. Occhiate furtive come una coda che sparisce svelta in un recesso. La docilità di cui l’anziana ammantava lo sguardo non riusciva a celare la vera natura che lo faceva ardere: l’indole di chi si cibava delle anime cenciose di Whitechapel.
Cate passò il filo attraverso la cruna dell’ago, il più sottile che era riuscita a trovare nella borsa di cuoio. Fece cenno alla vedova di accostare la lampada.
Non sottovalutava il brivido che l’attraversava quando la donna le era vicina. Abigail Harris era costantemente a caccia e sapeva meglio di altri che la sopravvivenza di ogni forma di vita non poggia sulla forza muscolare, ma sulla capacità di adattamento. La sua metamorfosi in nera crisalide era cominciata dopo la morte del marito, ai colpi battuti alla porta dai creditori. La disperata Abigail si era liberata della pelle con cui era nata e con le poche sterline rimaste aveva trasformato la soffitta di casa in un bordello.
La prostituta giaceva in un angolo della camera a ore, sprofondata nella poltrona. Su quel velluto i clienti erano soliti sedere per sciogliere e riannodare lacci di scarpe e di menzogne, accanto al letto sfatto.
Dormiva, stordita dal brandy da pochi scellini che Abigail le aveva versato in gola. Cate le aveva pulito il viso da croste e lacrime, aveva coperto la nudità con un lenzuolo pulito.
Era solo una ragazzina, con la sventura di avere in dote una bellezza che stava già sfiorendo e la povertà che l’avrebbe resa schiava di un uomo fino all’ultimo respiro.
In quel corpo magro e abusato, a Cate parve di scorgere quello del Cristo avvolto nel sudario.
Le voltò con delicatezza il viso a favore della luce. Il taglio squarciava la guancia dall’orecchio alla bocca.
La guerra aveva svuotato Londra degli uomini e Abigail aveva iniziato a cercare i clienti tra la feccia dei bassifondi. Si era adeguata alle nuove circostanze, a spese delle ragazze che si alternavano nel bordello per qualche spicciolo, una scodella di porridge e una tazza di acquavite, per ricacciare indietro la nausea.
Cate affondò l’ago nella pelle e iniziò a ricucire la vita strappata. Imbastiva punti minuscoli, faceva combaciare i lembi di barbarie e compassione.
La signora Harris si sporse per osservare. Non v’era vista che potesse turbarla.
«Tornerà come prima?»
«Se la ferita non si infetterà. Dovrete pulirgliela con una soluzione di acqua e sale e proteggerla con bende sterili. Più vicina, la lampada. Grazie.»
Cate tirò di nuovo il filo. Aveva scelto di praticare una sutura continua, serrata, per ridare a quella bambina il volto della speranza. Dicevano che le venisse bene rimettere insieme esistenze in frantumi.
Abigail non protestò per il lavoro che le sarebbe toccato. Rappresentava un disagio trascurabile, in confronto a quanto sarebbe potuto accadere. Aveva cacciato il cliente violento e spedito un garzone a chiamare Cate, «la dottoressa italiana». La conoscevano così all’ospedale di Harrow Road.
La campanella dell’ingresso tintinnò nella notte, due strattoni energici.
La padrona di casa strinse lo scialle sul petto.
«E adesso quale altro diavolo è venuto in visita?»
Cate pensò che la loro fosse stata una particolare convergenza di pensiero, eppure speculare.
Abigail posò la lampada accanto al catino e si sistemò le ciocche canute sotto la cuffietta di mussola. Palpò la tasca pesante del grembiule. Il rigonfiamento della stoffa non lasciava dubbi sul contenuto.
«Se è tornato, lo rispedisco all’inferno. Voi continuate, su, non fermatevi.»
L’ago tra le dita, Cate la guardò uscire dalla stanza e tirarsi dietro la porta. Il demonio era già in quella casa, pensò, e ora stava scendendo le scale tenendo le sottane tra dita paffute. Era difficile riconoscerlo, quando non aveva l’aspetto del lupo delle fiabe.
«Sei tu, il diavolo, vecchia senza cuore» mormorò tra i denti.
Attese qualche istante, ma nessuno urlò, e la signora Harris non sparò.
Cate si passò un braccio sugli occhi che bruciavano, stirò la schiena indolenzita e si rimise al lavoro.
Ancora un punto, un altro filo spezzato da riannodare alla trama di un’esistenza.
La giovane gemette. Aveva le palpebre tumide, le labbra tremavano.
Cate le accarezzò la guancia sana con le nocche.
«Manca poco, coraggio.»
La vide allungare a fatica una mano verso il pavimento, dove c’era un cuscino. Riuscì a sfiorarne il bordo con l’indice. Una lacrima rotolò fino al mento e cadde sul lenzuolo.
Cate aveva già visto quel gesto, in una città della terra natale rimasta straniera, nell’affresco di una cappella che non aveva nulla di modesto, che gridava al cielo la potenza rabbiosa e disperata degli esseri caduchi: il dito proteso dell’essere umano che cerca il contatto con Dio.
E Dio era su quel guanciale, nella forma di un bimbo addormentato, i pugnetti chiusi contro le guance arrossate.
Cate sentì il petto gonfiarsi di angoscia.
Che ne sarebbe stato di loro? Se non quella notte, la notte successiva, o nelle notti d’inverno, o da lì a qualche anno?
Si lavò le mani e prese il bambino tra le braccia. Il tepore di quella vita così fragile era quello di un cuore furioso già abituato a lottare. Se non altro, la sventurata aveva partorito un maschio. Gli sarebbero state risparmiate alcune disgrazie.
Cullò il piccolo, lo baciò, ma rammentò a se stessa di non affezionarsi.
Cate riparava quel che poteva, interveniva e se ne andava, ma era così difficile lasciare le vittime, riconsegnarle all’atto successivo della tragedia.
Il bimbo si agitò, il visetto corrugato in un pianto che stava per scoppiare.
Cate se ne separò con riluttanza. Nessuno nasceva per salvare il mondo, né per essere salvato. Sull’anima di ciascuno non poteva gravare la condanna di un auspicio. Se il destino esisteva, allora non poteva essere che quello di cercare la propria strada.
Lo posò sul petto della madre. La aiutò a cingerlo, li avvolse entrambi nel panno affinché non si perdessero. Ne annodò le estremità così che la notte non li avrebbe presi, come la sua nonna italiana aveva fatto con lei e con sua madre, quando Cate era nata. Ma quella era una notte placida, la luna una moneta d’argento. Il mondo era sazio di sangue, eppure a ovest stava già montando una nuova tempesta. Oscura più dell’oscurità, si illuminava a tratti dei bagliori dei fulmini.
La signora Harris riapparve sulla porta, tamponandosi la fronte con un fazzoletto ricamato.
«Ci sono due signore all’ingresso. Due signore vere, a quest’ora, in casa mia.» Non dissimulava lo stupore. «Cercano voi, ma hanno detto di concludere in modo accurato il lavoro. Incredibile: attenderanno.»
Ilaria Tuti vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Ha esordito nella narrativa con Fiori sopra l’inferno (Longanesi 2018). Il secondo romanzo, Ninfa dormiente, è del 2019. Entrambi vedono come protagonisti il commissario Teresa Battaglia, uno straordinario personaggio che ha conquistato editori e lettori in tutto il mondo, e soprattutto la terra natia dell’autrice, la sua storia, i suoi misteri. Con Fiore di roccia (2020), e attraverso la voce di Agata Primus, Ilaria Tuti celebra un vero e proprio atto d’amore per le sue montagne, dando vita a una storia profonda e autentica. Nel 2021, con Luce della notte e Figlia della cenere, torna alle storie di Teresa Battaglia. Del 2021 è anche la nomina di Ninfa dormiente agli Edgar Awards e il Premio letterario Rapallo per la donna scrittrice per Fiore di roccia. I suoi romanzi sono pubblicati in 27 Paesi.
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