Sinossi
È il 1970 e Henny, che ha «l’età del secolo» ed è concentrata sui preparativi per il suo settantesimo compleanno, chiede divertita all’amica di sempre: «Hai mai tradito tuo marito?». Guardarsi allo specchio è più difficile, ma dentro si sente ancora una ragazzina; perché cos’è il tempo, in fin dei conti? A festeggiare con lei, insieme alle immancabili amiche, al marito e ai figli, ci sarà una nuova generazione appena entrata nell’età adulta: Katja, una fotografa che decide di mettere in secondo piano la sua vita per documentare con le immagini quel che accade nei focolai di guerra sparsi per il mondo; Florentine, modella di fama internazionale tornata a sorpresa ad Amburgo con una notizia che lascerà parenti e amici a bocca aperta; e poi Ruth, giornalista e militante, che fatica a liberarsi dalla travagliata relazione con un uomo violento pericolosamente vicino alle frange più estreme. Fra le tre giovani donne si ricrea lo stretto sodalizio che ha unito le loro madri e nonne e, con grande felicità di Henny, la generazione successiva alla sua porta avanti la tradizione: condivide felicità e sfortune, i momenti insignificanti e quelli importanti. A fare da sfondo, le grandi vicende politiche e sociali degli anni Settanta e Ottanta: la Germania divisa, la guerra in Vietnam, il terrorismo, l’immigrazione; e poi gli scandali della Casa Bianca visti dall’Europa, lo scioglimento del blocco orientale e infine l’evento risolutore per eccellenza: il crollo del Muro nel 1989. Ma prima che la storia intervenga ad abbattere questa barriera, chiudendo un’epoca e aprendone una nuova, le vite delle protagoniste subiranno diversi scossoni.
Dopo Figlie di una nuova era ed È tempo di ricominciare, la trilogia di Carmen Korn trova in questo volume la sua commovente conclusione.
«L’hanno definita la Elena Ferrante della Germania, e non hanno avuto tutti i torti».
Romana Petri, «iO Donna»
«La saga della Korn sa immergerci nella Germania del secolo scorso coi suoi traumi oscuri e le sue zone rimosse…».
Leonetta Bentivoglio, «Robinson – la Repubblica»
«La scrittura di Carmen Korn è fluida, leggera, ma anche attenta a quei particolari che riescono con efficacia a trasmettere il giusto livello di commozione».
Luigi Forte, «TTL – La Stampa»
Estratto
A Maris, Paul, Michael, Hannah
e a tutti gli altri bambini che verranno
Personaggi
HENNY E LA SUA FAMIGLIA
Henny Unger, nata Godhusen
Classe 1900. Unger è il cognome del suo terzo marito. Dopo essere rimasta vedova di Lud Peters e aver divorziato da Ernst Lühr, ha trovato la felicità con il medico Theo Unger. Ostetrica, non lavora più alla clinica Finkenau, ma occasionalmente dà una mano allo studio ginecologico della figlia Marike.
Theo Unger
Classe 1892. Tanti anni prima una sbronza imprevista si è messa in mezzo fra lui e Henny. Ora che sono sposati, Theo è felice di avere accanto non solo la donna che ha sempre amato, ma anche tutta la sua famiglia.
Marike Utesch, nata Peters
Classe 1922. È nata dal matrimonio di Henny con Lud. Dopo che Theo è andato in pensione, ha preso lei le redini dello studio ginecologico in Neuer Wall. Dal dicembre del 1945 è sposata con Thies Utesch, suo primo amore. I loro figli sono Katja e Konstantin.
Katja Utesch
Classe 1950. Il suo ex ragazzo, Karsten Jentzsch, l’ha soprannominata la Bisbetica. È vero solo in parte. Certo è che Katja è una donna molto determinata, che sa quello che vuole. Solo su Karsten non riesce a decidersi: è attratta da lui, ma non sopporta la sua arroganza e il suo esibito maschilismo.
Konstantin Utesch
Classe 1962. Il fratello minore di Katja, crescendo, si trasforma sempre di più in un ragazzo ambizioso.
Klaus Lühr
Classe 1931. È nato dal secondo matrimonio di Henny. Il suo programma radiofonico presso l’emittente amburghese NDR, Dopo il tramonto, è diventato una rispettata istituzione. Vive dall’età di diciannove anni con il pianista Alex Kortenbach. Alex, che ha perso la famiglia durante il bombardamento del 1943, quando lui era in Argentina, convive ancora con il senso di colpa, ma è felice di essere stato accolto nella famiglia del suo compagno.
LINA E LA SUA FAMIGLIA
Lina Peters
Classe 1899. Ex insegnante, è comproprietaria della libreria Landmann. È molto legata alla cognata Henny e ai due nipoti, anche dopo la morte prematura dell’amato fratello Lud.
Louise Stein
Classe 1901. È la compagna di Lina ormai da molti anni. Un tempo quella degli aperitivi all’aperto era una tradizione allegra a cui Louise teneva molto, ma ora si è trasformata in una
dipendenza. Louise beve a tutte le ore del giorno.
Momme Siemsen
Classe 1912. Libraio, socio di Lina e Louise. Sposato con Anni, da cui ha avuto tre figlie, vive con la famiglia presso la pensione di Guste dal giorno in cui è arrivato ad Amburgo da Dagebüll, nello Holstein, in cerca di fortuna.
IDA E LA SUA FAMIGLIA
Ida Yan, nata Bunge
Classe 1901. La ragazza viziata, di buona famiglia, non immaginava certo le sorprese che la vita le ha riservato. Dopo il fallimento del suo primo matrimonio, prestigioso ma infelice, ha sposato Tian Yan, commerciante di origine cinese, e si è trasferita con lui e la figlia Florentine nella pensione di Guste, insieme ai Siemsen. Käthe, Henny e Lina sono le sue migliori amiche.
Guste Kimrath
Classe 1887. Tanti anni fa Guste ha aperto la sua bella casa in Johnsallee a chi era in cerca di un rifugio, ma quello che ha offerto loro era ben più che vitto e alloggio. Le due famiglie che ancora vivono sotto il suo tetto le sono molto devote.
Florentine Yan
Classe 1941. È la figlia di Ida e Tian, da anni modella di successo internazionale. Ha amato a lungo due uomini, Alex Kortenbach e Robert Langeloh, tecnico del suono. Solo anni dopo ha capito che non potrà mai avere Alex. Prova sentimenti sinceri verso Robert, che chiama Husky per via del finto occhio azzurro che porta a causa di una ferita di guerra che gli ha portato via il suo, di colore verde.
KÄTHE E LA SUA FAMIGLIA
Käthe Odefey, nata Laboe
Classe 1900. Lei e Henny, vicine di casa durante l’infanzia, sono cresciute insieme. Durante la guerra è stata rinchiusa in un campo di concentramento per via della sua adesione al comunismo. Finita la guerra, è riuscita a tornare a casa solo dopo molte traversie.
Rudi Odefey
Classe 1900. È il marito di Käthe, appassionato lettore di versi. Ancora non si capacita di avere accanto a sé dal 1919 una donna che non ama la poesia. Käthe per lui è ancora la ragazza sensuale e sfacciata per cui ha perso la testa tanti anni prima.
Ruth Odefey
Classe 1944. Rimasta orfana durante la guerra, è stata adottata da Rudi e Käthe. Crescendo è diventata una ragazza molto seria e ombrosa. Lei e il suo amore per il losco András Bing restano un enigma sia per i suoi genitori adottivi sia per le sue amiche di sempre, Florentine e Katja.
Era la prima giornata di sole in un marzo torvo e piovoso. Forse era per questo che Henny e Käthe erano di umore così allegro da mettersi a giocare mentre facevano la loro passeggiata.
«Tocca a te adesso», disse Käthe.
Ma Henny scosse il capo. Aveva ancora i capelli biondi che le incorniciavano il viso in morbide onde. I riccioli di Käthe invece erano scuri. Entrambe si aiutavano con delle tinte. I capelli bianchi li lasciavano volentieri ai loro mariti.
«Lascio tutta la gloria a te», disse Henny. «Con quella gonna aderentissima poi…».
Käthe afferrò un lembo dell’abito a maglia che indossava sotto la giacca a tre quarti. «Questa è molto elastica. Non mi è d’intralcio».
C’era di che rallegrarsi se erano così in forma e piene di energia. Henny avrebbe compiuto settant’anni alla fine del mese: aveva l’età del secolo, e così anche Käthe che li aveva compiuti a gennaio. Si sentivano ancora giovani. Cos’è il tempo, in fin dei conti?
«Passiamo alla Finkenau, ti va?», propose Käthe. «Un saluto al nostro vecchio posto di lavoro».
«Il viale dei ricordi lo abbiamo percorso abbastanza per oggi. Andiamo direttamente da Lina».
Lina era la sorella del primo marito di Henny. Dopo la morte prematura di Lud le due erano rimaste grandi amiche.
«C’è anche Ida? Credevo andasse a Parigi a cercare la figlia perduta».
«Florentine torna ad Amburgo la settimana prossima». Henny si voltò per dare un’ultima occhiata allo stabile dove aveva trascorso l’infanzia e la prima giovinezza e dove poi era tornata nel ’43, dopo che le bombe le avevano distrutto la casa. Vide una tendina scostarsi al secondo piano, proprio come se ci fosse stata ancora sua madre a sorvegliarla dalla finestra. Else era morta quattro anni prima.
«A maggio riapre Karstadt», disse Käthe mentre svoltavano in Hamburger Straße. Osservò con aria scettica il grosso centro commerciale. «Un blocco di cemento. Non si può certo dire che sia bello».
«Adesso non cominciamo a lamentarci che le cose di una volta erano migliori!».
«Sarei l’unica, credo. Però il vecchio Karstadt… ti ricordi che bello che era? La sala da ballo in terrazza!».
Fu un sollievo per gli occhi ritrovarsi davanti alla casa a due piani affacciata sul canale che era sopravvissuta ai bombardamenti e nella cui mansarda vivevano ancora Lina e Louise. Mattoni rossi e stucchi bianchi. La finestra a tre ante era spalancata ad accogliere i raggi tiepidi
di un sole che mancava da settimane. Käthe intonò una canzone, a voce abbastanza alta da farsi sentire anche dentro:
Frühling kommt, der Sperling piept,
Duft aus Blütenkelchen.
Bin in einen Mann verliebt
und weiß nicht in welchen.1
Henny lanciò un’occhiata divertita all’amica.
«Hai mai tradito tuo marito?».
«Non ci ho mai nemmeno pensato. Dove lo trovo uno come Rudi?».
Ridevano ancora quando arrivarono alla porta aperta in cima alle scale, dove le padrone di casa le accolsero con calore.
«Mmh, pasticcini!», esultò Käthe di fronte al vassoio di delizie al cioccolato posato sulla tavola apparecchiata per cinque. Sulla tovaglia con l’orlo a giorno spiccavano anche le belle porcellane ereditate dai genitori di Louise e un bricco di cristallo con un motivo a giacinti e margherite.
Käthe era una grande estimatrice dell’arte pasticcera francese. All’inizio della loro storia, Rudi l’aveva invitata diverse volte alla sala da tè del Reichshof, dove le leggeva poesie e le offriva biscottini al burro. E questo all’indomani della fine della prima guerra mondiale! Else, la madre di Henny, l’aveva accusata di alto tradimento per aver osato tanto.
«Lina e io ci siamo ricordate che una volta questi pasticcini si chiamavano Liebesknochen, ossa d’amore», disse Louise.
«Oggi non lo capirebbe nessuno», osservò Ida.
«Lo trovo un termine molto erotico», disse Käthe.
«La primavera accende i sensi di Käthe. L’avete sentita, quando eravamo ancora in strada, che cantava quella canzone sfacciata dell’Angelo azzurro?», disse Henny, divertita.
Ida andò a sedersi accanto a Käthe. «Magari mi contagi col tuo buonumore».
«Perché, ne hai bisogno?».
«Mi serve un cambiamento. Dentro e fuori. Tian è un testone. Un tappeto nuovo no, un rivestimento nuovo per il salotto no…L’appartamento di Florentine è tutto ipermoderno e alla moda. Com’è che fa quella canzone dell’Angelo azzurro?».
Käthe rise. «Henny mi ha detto che Florentine torna a casa».
«Sarebbe ora. È dall’inizio dell’anno che non si fa vedere».
«Ha ancora il fidanzato?».
«Sì. Robert è paziente con lei».
«È innamorato», commentò Lina.
Paziente e innamorato erano parole che descrivevano Robert piuttosto bene, in effetti.
«L’anno prossimo Florentine compie trent’anni», disse Ida prendendo un pasticcino alla frutta. Quante calorie poteva avere?
«Ne ha appena compiuti ventinove», la corresse Henny. «La vorresti accasata e con la cuffia in testa? Non sono più i tempi…».
«Quella non ci pensa proprio a sposarsi. E meno che mai a fare figli. Tian e io vorremmo tanto un nipotino!».
A Henny sfuggì un sospiro di soddisfazione: lei ne aveva due, di nipoti. L’unica intorno a quel tavolo a fregiarsi del titolo di nonna.
Ida le lanciò un’occhiata. «Sei fortunata», le disse.
Henny alzò le spalle sentendosi quasi in colpa.
Anche a Parigi sembrava che fosse finalmente arrivata la primavera. Florentine si era tolta il lungo cappotto e lo aveva buttato sopra una delle poltrone di vimini del Deux Magots. Aveva addosso lo sguardo di Jean, uno sguardo prolungato e indagatore che si soffermò sulla sua pancia appena pronunciata. «L’ho sentito dire ma non volevo crederci. Chi è il fortunato futuro padre?».
«Uno di Amburgo. Non è del nostro ambiente».
«Mistero, allora?».
«Sì». Florentine scoppiò a ridere.
Jean, il fotografo del Lussemburgo, era uno dei primi con i quali aveva lavorato agli albori della sua carriera di modella. Non era affatto sicura di voler rifiutare la proposta che le aveva fatto poco prima che il cameriere venisse a posare due tazze di caffè macchiato sul loro tavolo.
«Lasciami scattare queste foto. Le offrirò a “Paris Match”. Tu con un abito superaderente. L’art director andrà in visibilio. Florentine Yan col pancione! Nei prossimi giorni ho a disposizione uno studio. Qui nel quartiere».
Florentine prese tempo, scartando piano una zolletta di zucchero. «Ne sei proprio convinto?».
«L’importante è che ne sia convinta tu. O forse pensi che il tuo uomo, ad Amburgo, non sarebbe d’accordo. Vi sposerete?».
«Non ci penso proprio, a sposarmi», fu la secca risposta. «Qualunque cosa dica lui».
«Voi ragazze emancipate…», disse Jean alzandosi in piedi. «Faccio una telefonata in redazione». Era elettrizzato all’idea di quelle foto di lei con la pancia. Si frugò le tasche in cerca di spiccioli e poi sparì all’interno del locale, nel cui retrobottega c’erano tre cabine telefoniche. Florentine fece scorrere lo sguardo lungo Boulevard Saint-Germain e si riempì di paura per la sua stessa audacia. I suoi genitori avrebbero appreso della gravidanza dalla copertina di una rivista. Per non parlare dei due uomini che amava.
Sbriciolò un biscotto che le avevano servito con il caffè e lo sparse in terra per i piccioni che si erano radunati vicino al tavolo. Del resto, la rivista non sarebbe uscita subito. Avrebbe avuto tutto il tempo di informare la sua famiglia della situazione, prima che apparisse il numero con le sue foto. E di decidere se dire o meno, ai suoi e al diretto interessato, che non era affatto sicura che il padre fosse Robert.
Jean tornò al tavolo con l’aria di uno che ha appena vinto alla lotteria. «Le vogliono per il prossimo numero. Insieme a un servizio di quattro pagine su quel film con Ali McGraw, Lovestory».
Le cose hanno fatto il loro corso.
Erano quasi le undici quando Ida arrivò a casa. Erano andati tutti a dormire, l’unica luce accesa era quella del loro appartamento. Tian si mise a sedere quando la sentì entrare e posò il libro sul comodino. «Ti sei divertita da Lina?», le chiese.
Ida guardò suo marito.
«È stato un bel pomeriggio», disse.
«Che si è trasformato in una bella serata. Ne sono lieto». Se fosse stato lui a tornare a casa con tanto ritardo, Ida gli avrebbe fatto una scenata. Ma lui era tollerante per natura. «Ha telefonato Florentine. Dice che è impaziente di vederci. Anche Robert».
«Be’, grazie al cielo. Il tuo mal di testa come va?».
«Non ce l’ho più. Ho preso una compressa. Ho pensato di dedicarmi un po’ a mia moglie stasera».
«Sono troppo stanca, Tian».
«Allora, vieni qua. Riposati».
Tian la seguì con lo sguardo mentre andava in bagno. Avevano tutti e due sessantotto anni ma erano ancora una bella coppia. Perché si sentiva come se fosse un vecchio decrepito?
Ida tornò in camera con una delle sue camicie da notte più castigate. Nel cassetto aveva ben altro. «Spegni la luce, per piacere».
L’unica lampada accesa era quella sul lato di Tian, col suo paralume di seta color sabbia. Tian la spense. Dalla finestra entrava la luce di uno spicchio di luna. Ida si era sfilata la camicia da notte e ora stava nuda in mezzo alla stanza.
«Vieni», disse. «Levati il pigiama».
Stava sognando, per caso? Tian si alzò in piedi, si spogliò. Quell’Ida nuda poteva sparire da un momento all’altro, come un miraggio.
«Käthe mi ha contagiata».
Tian non domandò cosa intendesse dire. Aveva in mente una spoglia baracca nei boschi. Era una gelida giornata di dicembre, ma anche senza camino, senza stufa, avevano saputo scaldarsi. Il ricordo lo aiutò a sentirsi anche adesso, per qualche momento, giovane e forte. Giovane e forte com’era un tempo.
«Louise, ti prego. Non versartene altro».
«Solo un goccetto. Il bicchiere della staffa».
«Sono stanca morta».
«Siediti qui con me invece di trafficare in camera da letto. È già tutto in ordine».
Lina guardò severa la sua compagna che si versava un generoso bicchiere di whisky. I cocktail che beveva prima, almeno, contenevano anche frutta. «Ti prego, fa’ un altro tentativo con la terapia», le disse.
«Stavo pensando piuttosto alla chirurgia plastica».
«Ci mancava solo questa».
Louise si portò gli indici alle tempie e tirò la pelle del viso verso l’attaccatura dei capelli.
«Così somigli a Suzie Wong».
«Addio palpebre cadenti!», disse Louise con aria sognante e ripeté lo stesso gesto con la pelle del mento e del collo. «Bobo mi ha detto che certe sue clienti, con cinque o sei tagli, sono tornate come quando avevano vent’anni».
«E chi sarebbe Bobo?».
«Il mio parrucchiere. È un nuovo acquisto del salone».
Lina si sedette vicino alla donna che amava e con cui condivideva tutto da decenni. «Tu il problema ce l’hai in testa, non in faccia, Louise. Ti prego, dammi retta, ricomincia la terapia».
«Non devi preoccuparti di questo. La depressione mi passerà non appena potrò guardarmi allo specchio senza vedere questa vecchia carampana… Lina, eravamo così giovani quando ci siamo conosciute!».
Lina sospirò. L’uomo arriva troppo in fretta alla giovinezza. E mentre la vive non ne conosce il valore.
«Ne ho parlato con Ida. Anche lei vuole farsi un ritocchino».
«Siete matte tutt’e due».
«Non essere così antiquata. In America lo fanno tutti, lo sapevi?».
Lina si alzò in piedi. «Non ci credo». Poi aggiunse: «Intanto comincia con un bel sonno di bellezza».
«Dovrei dormire per almeno cent’anni».
«Bobo ti ha già suggerito un chirurgo?».
«Mi ha dato il suo biglietto da visita».
«Parlane prima con Marike. O con Theo».
«Sono due ginecologi! Non voglio mica rifarmi la vagina. Anche se non sarebbe affatto una brutta idea…».
«Sei ubriaca». Chiuse l’ultima anta della finestra rimasta accostata e cominciò a spegnere le luci. «A letto, forza».
«Il modo di fare da maestrina ti è rimasto sempre», disse Louise con una nota di fastidio. Tuttavia obbedì, si alzò e andò in bagno.
Henny aveva fatto una deviazione per accompagnare Käthe a casa. La Körnerstraße, dove da molti anni abitava con Theo, non distava poi tanto.
Videro la silhouette scura di Rudi al piano terra, dove c’era ancora la luce accesa. Forse le aveva viste, ferme davanti casa a chiacchierare, o forse no. Ebbe comunque la discrezione di non intromettersi.
«Ci pensi mai che Theo potrebbe morire?».
«Mi ha promesso di arrivare ai novanta».
«Prego che ci riesca». Käthe sospirò. «Io non so come farei se rimanessi senza Rudi. In tutti quegli anni che è stato in Russia, mi ero praticamente convinta che fosse morto e mi ero un po’ abituata. Adesso non lo so se ci riuscirei».
«C’è un motivo particolare per pensare a queste cose?».
«No. Non ha malattie. Almeno a quanto ne sappiamo. Ma il tempo si è messo a scorrere più in fretta, ultimamente».
«Sembravi così allegra questo pomeriggio!».
Käthe la guardò intensamente. «Non sto più bene la notte, Henny. Al buio mi assalgono i demoni, o meglio, i ricordi. I ricordi possono farti molto male. Rivivo la morte di mia madre al campo di Neuengamme. E poi penso a Kurt… chissà, forse ce l’avrebbe fatta anche lui a sopravvivere ai nazisti».
«Non sarebbe mai emigrato».
«Rudi e io siamo sopravvissuti ai campi di concentramento».
«Eravate più giovani».
«Kurt non aveva neppure cinquantasei anni quando si è ucciso».
«Il suicidio gli ha permesso di mantenere la sua dignità. Per lui era importante che non fossero i nazisti a togliergli la vita». All’improvviso Henny sentì freddo, o forse era solo il dolore per la morte dell’amico Kurt Landmann che tornava a galla.
«Hai freddo?», disse Käthe.
«Tu no?».
«Sì, ho freddo anch’io. Grazie per avermi accompagnata fin qua». Käthe si chinò e depose un piccolo bacio sulla guancia di Henny. «Una volta ero io l’intrepida».
«Lo sei ancora. Non ero mica io quella che saltava in mezzo alle macchine».
«Non saltavo in mezzo alle macchine».
«Ben otto salti! Sono fiera di te».
«Voglio vivere ancora a lungo».
«Vivremo ancora a lungo. È presto per ricongiungerci con Kurt».
Käthe guardò la sua amica allontanarsi. Camminava a passo rapido, nonostante la gonna stretta.
Non fu facile infilarsi quei capi aderenti e supersexy. La moda parigina cominciava allora a subire l’influenza del movimento hippy e si vedevano in giro abiti larghi, maniche svolazzanti e camicie ampie dal taglio rustico che sembravano i cuscini di un divano.
Jean si era fatto trovare in Rue Tiquetonne, nell’atelier di uno stilista che, incurante delle ultime tendenze, stava sperimentando un tessuto simile in tutto e per tutto alla pelle di serpente, col quale realizzava abiti fascianti.
Florentine indossò un modello bianco gesso con venature nere e le parve di somigliare a un grosso pitone che aveva appena ingurgitato un coniglio e si accingeva a una faticosa digestione.
«Guardati… uno splendido serpente! In redazione impazziranno».
Florentine faticava a stare in equilibrio sui tacchi alti degli stivali: il corpo adesso le dava sensazioni nuove. Non sembrava più lo stesso.
«Vous êtes un rêve», le disse la vecchia Audrey che la stava truccando. Se Robert o Alex avessero visto quelle foto avrebbero creduto di sognare. O di avere un incubo. Del resto, che possibilità c’erano che le vedessero? Alex parlava un discreto francese, ma le riviste di moda non erano certo fra le sue letture preferite. Oltre ai quotidiani leggeva al massimo «Der Spiegel» e «Jazz Podium».
«Così, perfetto! Le mani sulla pancia. Florentine Yan in dolce attesa! Fantastico».
Scattò qualche altra foto con la Polaroid e poi si avvicinò per mostrargliele. «Ha ragione Audrey. Sei un sogno».
«Sembro una capra morta di sonno».
«Finiscila. Sei luminosa. A che mese sei, a proposito?».
«All’inizio del settimo».
«Quindi quando dovrebbe nascere?».
«A giugno».
«Sei nervosa? Non fai che leccarti le labbra. Rouge à lèvre, Audrey».
Florentine si lasciò sfuggire un sospiro mentre le veniva messo altro rossetto. «Temo che queste foto non siano una buona idea».
«Troppo tardi», disse Jean sorridendo.
«Se non fosse che mi piace tanto il tuo tedesco zoppicante, non mi sarei mai fatta convincere».
«Tua figlia un giorno mi ringrazierà per queste splendide immagini della vostra gravidanza».
«Figlia?».
«Bella come sua madre», aggiunse Jean. «Voglio sperare che tu abbia scelto uno alla tua altezza».
Robert guardò l’orologio uscendo dagli studi radiofonici. Era troppo presto per andare in Johnsallee, a casa di Guste, a trovare Ida e Tian, che tanto lo avrebbero voluto come genero. Lui, per parte sua, aveva rinunciato alla speranza di portare Florentine all’altare. Scacciò il pensiero, che pure gli si affacciava alla mente con frequenza.
Non dubitava che lei lo amasse. Così come amava Alex, che tuttavia, come ben sapeva anche lei, era impegnato. Mise da parte anche questo pensiero e decise di fare una sosta al Funk Eck per bere un caffè mentre fumava una sigaretta.
Si stava accendendo la seconda quando vide Klaus, suo collega ormai da anni alla NDR, entrare nel locale. Gli ci volle qualche istante per riconoscere nella ragazza che era entrata al suo fianco la nipote. La piccola Katja si era fatta grande. Si alzò quando i due si avvicinarono al suo tavolo. «Sedetevi. O forse stavate parlando di qualcosa e preferite stare soli?».
«Si tratta di problemi sentimentali, purtroppo», sospirò Katja.
E quando Robert lanciò all’amico un’occhiata interrogativa, precisò: «I problemi sono i miei. Klaus mi fornisce una spalla su cui piangere».
«Comunque me ne stavo andando. Mi aspettano a cena da Guste».
«Ho sentito dire che Florentine torna la prossima settimana».
«Per fortuna. Sto andando in rovina con tutte queste telefonate all’estero».
«Non credo che si tratti solo di questo».
«Lo sai quanto tengo alla nostra Sweet Lorraine».
Klaus lo sapeva bene.
«Alex invece è ancora a Montreux con il quintetto?», disse Robert tanto per cambiare discorso.
Klaus annuì. «Mi manca molto».
Robert alzò una mano per chiamare il cameriere. Pagò il conto e salutò gli altri due. Mentre si allontanava sentì Katja sibilare: «Quanto lo odio, Karsten…». L’amore non era facile per nessuno.
Raggiunse la macchina e prese il sacchetto con due bottiglie di vino. Le aveva comprate per portarle a cena. Un Riesling bello fresco.
«Spero tu abbia ancora il tuo bell’occhio azzurro, caro Husky», gli aveva detto Florentine al telefono. «Sai quanto mi piace. Non ti azzardare a cambiarlo».
Come se in qualche modo avesse percepito che Robert aveva accarezzato il proposito di sostituirlo finalmente con uno verde, il suo colore naturale. Era tornato dalla guerra con un occhio soltanto nel ’45 e non gli sarebbe dispiaciuto, dopo venticinque anni, andare in giro con due occhi dello stesso colore.
Giunto davanti alla bella casa in Johnsallee, Robert si passò una mano tra i folti capelli ancora scuri. Un occhio verde, uno azzurro… non gliene importava niente. Fintanto che Florentine continuava a non fare caso alla differenza d’età…
Ecco gli altri libri della saga:
Primo volume
Secondo volume