Anteprima “Il romanzo segreto delle streghe” di Louisa Morgan

Bretagna, 1821. Da quando la Grand-mère Ursule è morta, sacrificandosi per salvare la sua famiglia, la magia sembra essere definitivamente scomparsa. Possibile che l’ultima scintilla di stregoneria se ne sia andata con lei?
Le sue discendenti continuano a praticare in segreto le vecchie usanze, facendo rituali e cerimonie arcane nella speranza che un giorno la famiglia Orchière possa acquisire di nuovo l’antico potere.
Quando Nanette, la più giovane tra le nipoti, compie diciotto anni, viene ammessa nel cerchio sacro: è l’ultima discendente femmina della Grand-mère, l’ultima speranza per la famiglia.
Prima che possa rendersene conto, Nanette sente la magia risvegliarsi dentro di lei.
I tempi però sono cambiati: cacciatori di streghe e superstiziosi sono una minaccia e l’antico sapere va tenuto nascosto. Le nuove generazioni devono imparare non solo a usare la magia, ma anche a proteggerla. E quando la guerra all’orizzonte incomberà su di loro, rischiando di spazzare via ogni cosa, le streghe verranno chiamate a una sfida impossibile: cambiare il corso della storia.
Autrice vincitrice dell’Endeavour Award
L’amore è la magia più potente

«Un romanzo di portata epica.»
Booklist
«Gli appassionati di magia adoreranno questo libro, che racchiude una storia d’amore indimenticabile.»
Kirkus Reviews
«La narrativa storica al suo meglio. Deliziosamente coinvolgente.»
Boston Globe

In memoria di mia madre,
June Margaret Bishop Campbell
Che la tua discendenza possa proseguire per sempre.

INTRODUZIONE

1821

Le nuvole stratificate, grigie come la brace fredda, si spostavano da una parte e dall’altra, rispecchiando i movimenti delle onde sottostanti. Nascondevano le stelle e la luna, e oscuravano la spiaggia e il viottolo che la costeggiava. Oltre il sentiero, nel campo dei menhir, alcuni carrozzoni circondavano un piccolo falò. La luce del fuoco baluginava sui volti inquieti delle persone lì riunite e si rifletteva negli occhi dei loro cavalli agitati. Il mare invisibile sciabordava e sibilava, unico suono che si udiva a parte il crepitio della legna che bruciava. Le fiamme proiettavano il loro chiarore vacillante sui menhir, dando l’impressione che le pietre si spostassero dal loro allineamento secolare, che ondeggiassero e tremassero come fantasmi nella notte. Una bambina, Nanette, gemette e nascose il viso tra le gonne ruvide della sorella Louisette. Le Orchière più anziane si guardarono nervosamente alle spalle e poi l’un l’altra.

Due dei massi, crollati su un fianco in un’epoca ormai dimenticata, formavano una buca per il fuoco dove erano stati arrostiti due conigli, sfrigolando e girando sopra la brace. Adesso i conigli non c’erano più, la loro carne era stata mangiata e le loro ossa sepolte nella cenere. Una delle donne attizzò il fuoco, poi si fece da parte per far posto a sua nonna.

La Grand-mère Ursule prese a camminare in cerchio intorno alla buca, stringendo in mano un vaso di pietra colmo d’acqua salata e mormorando tra sé e sé mentre vi aspergeva il terreno. Quando ebbe finito, brandì il suo bastone di quercia verso il cielo e sussurrò una serie di parole. Il clan rimase a osservare in un silenzio teso mentre lei deponeva il bastone e cercava in una borsa di tela la sua pietra da scrutamento. La portò nel cerchio benedetto sostenendola con entrambe le mani e la sollevò alla luce del fuoco.

Si trattava di un pezzo di cristallo che era stato estratto dall’argine di un fiume dalla grand-mère della grand-mère della Grand-mère Ursule. La sua sommità era stata sfregata e lucidata fino a diventare quasi sferica; la base era di granito grezzo, e presentava la stessa forma frastagliata che aveva quando il cristallo era emerso dal fango.

La pietra da scrutamento si illuminò di rosso, avvampando di una luce che pareva bruciarvi all’interno; ricordava le fiamme dell’inferno che i cristiani temevano, e si rifletteva sul volto segnato della Grand-mère, scintillando nei suoi occhi neri. Nanette sollevò la testa dalle gonne della sorella per sbirciare, ma tornò subito a coprirsi gli occhi, sicura che la pietra ardente avrebbe bruciato le mani di sua nonna.

Ursule ripeteva una cantilena mentre rigirava la pietra, cercando l’angolazione che le permettesse di vedere meglio. La sua voce spettrale provocava brividi intensi lungo il collo degli osservatori. Era la più grande delle streghe, colei che aveva ereditato tutti i poteri della stirpe delle Orchière, e guardarla all’opera incuteva soggezione anche nei cuori di coloro che le erano più vicini.

Gli uomini si muovevano inquieti sul posto e lanciavano occhiate preoccupate alla strada che portava al villaggio di Carnac. Le donne schioccavano la lingua e stringevano a sé i loro bambini nell’oscurità.

Quella notte, tutto il clan era in preda alla paura. La notizia di un altro rogo era giunta alle orecchie degli uomini quando erano andati in paese a comprare fagioli e lenticchie. Nanette li aveva sentiti raccontare la storia, anche se l’avrebbe capita fino in fondo solo in seguito, una volta cresciuta.

Il fatto era avvenuto nella vicina città di Vannes. Si diceva che un certo Bernard, un sacerdote giovane e ambizioso, avesse individuato una strega. Si era incaricato di esaminarla per verificarne i segni prima di denunciarla sulla pubblica piazza. L’arcivescovo, desideroso di farsi un nome come uno che bruciava le streghe, aveva appiccato il fuoco alla pira di propria mano.

La notizia di quel rogo aveva suscitato grande fermento nel villaggio di Carnac. Gli abitanti avevano esultato quando padre Bernard, un uomo con radi capelli rossi e occhi troppo piccoli per il suo viso, era apparso nella piazza del mercato. Nanette aveva cercato di tapparsi le orecchie quando Claude, tornato in fretta e furia dalla città, aveva raccontato quella storia, ma Louisette le aveva allontanato le mani. «Devi sentire», aveva dichiarato. «È necessario che tu sappia».

«Si dice che lui odi le streghe a causa di sua madre», aveva spiegato Claude.

«Perché?», aveva domandato Louisette.

«Aveva un’escrescenza sul seno e morì in preda al dolore. Bernard accusò la vicina, una vecchia che a malapena vedeva e sentiva, di averle lanciato una maledizione».

Louisette commentò tristemente: «Non c’era nessuno a proteggerla».

«No, nessuno. Hanno tenuto uno dei loro processi e l’hanno condannata nel giro di un’ora».

«L’hanno bruciata, quella poveretta?», chiese Anne-Marie a bassa voce.

Claude emise una risata amara. «Avevano intenzione di farlo. Bernard aveva fatto preparare la pira. Il palo era pronto. Ma la vecchia morì nella sua cella la notte precedente».

«Probabilmente non era affatto una strega». Louisette attirò a sé la piccola Nanette, assestandole delle leggere pacche su una spalla con aria assente. «Ma lui si è sentito ingannato».

«Da allora dà la caccia alle streghe».

Un cupo silenzio calò sui carrozzoni in cerchio. Il giorno era finito da un pezzo, e il crepuscolo profumato di salsedine nascondeva i solchi e le buche della strada, rendendo pericoloso mettersi in viaggio prima che facesse mattina.

Ma anche restare lì era pericoloso. Erano solo tre uomini e cinque donne, con qualche bambino e un’anziana. Avrebbero potuto fare ben poco, contro una folla assetata di sangue.

I gitani erano sempre stati presi di mira, ed erano sempre diffidenti. Quando la voglia di sangue si abbatteva sulla gente e questa veniva sopraffatta dalla brama di sentire l’odore della carne bruciata e le urla agonizzanti delle streghe accusate, non c’erano leggi né ragione che tenessero.

«Dovremmo andarcene» disse Paul, il marito di Anne-Marie. «Spostarci a sud».

«Troppo buio», brontolò Claude.

Louisette annuì. «Non è sicuro per i cavalli».

Tutti compresero. Non restava altro da fare che affidarsi alla Grand-mère.

L’anziana prese a ondeggiare alla luce del fuoco. La nuvola dei suoi capelli grigi le fluttuava sulla testa. Le sue palpebre rugose si strinsero mentre fissava la pietra da scrutamento. Sembrava lei stessa un menhir: segnata dal tempo, eterna, imperscrutabile. Le sue labbra sottili si muovevano e la sua voce si alzava e si abbassava mentre recitava l’incantesimo. Il clan riunito rabbrividiva per la paura.

Dopo un po’, il canto della Grand-mère si spense. Smise di ondeggiare e abbassò il cristallo con braccia tremanti. Con una voce che sembrava una corda di violino sul punto di spezzarsi, dichiarò: «C’è una casa».

«Una casa?». Nanette alzò la testa per vedere chi avesse parlato. Era stata Isabelle, che tra le sei sorelle era quella che si spaventava più facilmente.

Louisette alzò la mano per zittirla. «Dove, Grand-mère?»

«Al di là del mare», rispose Ursule. «Sopra una scogliera. È lunga e bassa, con il tetto di paglia e le imposte rotte. Ha un recinto da riparare. Dietro c’è una collina, e la brughiera che sale». Le sue palpebre si chiusero, poi si riaprirono per guardare i volti alla luce del fuoco. La sua voce si fece più fievole. «Dovete andare là. Tutti voi».

«Ma, Grand-mère», intervenne Florence. «Come faremo a trovarla?»

«C’è un’isola, su cui sorge un castello. Sembra Mont Saint-Michel, ma non lo è. Dovete superarla. Dovete andare in barca».

Il clan sospirò, rassegnato. Quando Ursule faceva una profezia, non c’era da discutere. Lo sapeva persino Nanette, che aveva quattro anni.

L’anziana si afflosciò sui talloni e poi si inginocchiò. La testa le ricadde sul petto. Nanette si agitò ansiosamente contro il fianco di Louisette, e la sorella maggiore la zittì. Attesero nella gelida oscurità, ascoltando il mormorio dell’oceano e lo sporadico scalpitio di uno dei cavalli che si aggirava tra le pietre.

Verso mezzanotte, le nuvole sopra la spiaggia si aprirono, lasciando entrare un sottile raggio di luce lunare che cadde direttamente sui carrozzoni in cerchio. Luccicò sulle tele dipinte, sulle pentole e sugli attrezzi appesi, e brillò sui volti stanchi dei membri del clan. La Grand-mère si alzò in piedi prendendo una rumorosa boccata d’aria e fulminò con lo sguardo la fessura nella copertura nuvolosa.

«Spegnete il fuoco!», ordinò.

Uno degli uomini si affrettò a obbedire, spegnendo le fiamme con un secchio di acqua di mare che tenevano a portata di mano per quello scopo. Quando la voce di un bambino si alzò per chiedere perché, Ursule rispose: «Rimani immobile, Louis. Tutti quanti. Fate silenzio». Prese la sua borsa di tela e la usò per coprire la pietra da scrutamento. Si alzò in piedi con movimenti rigidi e si chinò per prendere il bastone. Lo sostenne con entrambe le mani, indicando la fessura che si era aperta nelle nuvole. Mormorò qualcosa, un’unica frase enfatica che a Nanette suonò come: «Nascondeteci!».

Tutti, bambini e adulti, guardarono verso l’alto. Per un lungo momento non ci fu risposta al comando della Grand-mère, ma poi, lentamente, le nuvole cominciarono a spostarsi. Si ammassarono una sull’altra, strato su strato, rimarginando la fenditura come se fosse una ferita da chiudere. Nessuno si mosse, né parlò, mentre la luce svaniva dalle tele dipinte dei carrozzoni. Il fuoco non era altro che un cumulo di cenere che fumava debolmente nell’oscurità.

Mentre la vista degli Orchière si adattava, il loro udito si acuì. Il mare si acquietò, e la marea cominciò a ritirarsi dalla spiaggia. Il vento si placò. Sembrava persino che i cavalli avessero smesso di respirare. A poco a poco, le loro orecchie tese captarono il calpestio ovattato di piedi sulla terra battuta del viottolo, e delle voci di persone che si avvicinavano.

«Grand-mère», mormorò una delle sorelle. Nanette pensò che si trattasse di Anne-Marie, ma a volte le confondeva. Lei era di gran lunga la più giovane delle sei sorelle, e l’unica a non aver mai conosciuto la loro madre, che era morta dandola alla luce. «Non dovremmo…».

«Silenzio!».

La Grand-mère Ursule era minuta e ricurva come una bambola di cuoio e legno, ma tutti conoscevano il suo vigore. Strinse il bastone tra le mani nodose e sussurrò qualcosa sottovoce, parole talmente sommesse che solo coloro che le erano più vicini riuscirono a sentire. Un ultimo incantesimo.

Madre Dea, ascoltami, ti imploro vivamente:

nascondici in modo che nessuno veda niente.

Lascia che viva la mia amata gente.

Louisette mise una mano sulla bocca di Nanette per evitare che gridasse, mentre un’ombra profonda, più densa di qualsiasi oscurità naturale, avvolgeva l’accampamento. Lo scalpiccio delle persone che si avvicinavano si faceva via via più forte. Alcuni inciampavano e imprecavano, altri pregavano con voci monotone; uno o due ridevano. Quando giunsero alla curva del viottolo che costeggiava il campo di menhir, gli Orchière si bloccarono. I bambini più grandi si rannicchiarono a terra. Gli uomini si prepararono allo scontro.

Gli abitanti del villaggio arrancarono sulla strada in una folla disordinata. Si avvicinarono all’accampamento, con il mare scuro alla loro sinistra e le enormi pietre alla loro destra, e proseguirono. I loro passi non esitarono, né si abbassò il tono delle loro voci. Marciarono in avanti, una moltitudine affamata e irrazionale in cerca di una vittima, ignara dei carrozzoni fermi tra i menhir e delle persone accovacciate intorno a un focolare spento. Ci vollero cinque minuti interi perché i cittadini di Carnac passassero oltre e non fossero più a portata di udito per i membri del clan.

Solo quando se ne furono andati, gli Orchière tornarono a respirare liberamente. Attenti a non fare rumore, comunicarono tra loro facendosi dei gesti e si ritirarono nei carrozzoni per riposare finché potevano. Bisbigliandosi a vicenda nelle orecchie, gli uomini organizzarono dei turni di guardia, e le donne rimboccarono le coperte ai loro figli e andarono a letto a loro volta, esauste.

Ma la Grand-mère Ursule rimase dov’era, con il bastone in mano e gli occhi rivolti verso il cielo. Restò lì a vigilare finché la luna non tramontò dietro le nuvole. Rimase ferma mentre l’alba spuntava lenta sulle file di menhir.

Nessuno la sentì sospirare ed esalare il suo ultimo respiro quando si accasciò a terra. La sentinella di turno era concentrata sulla strada. Le donne, le sue nipoti, dormivano accanto ai loro figli e non si accorsero che le aveva lasciate finché non si alzarono nel freddo del mattino.

Fu Nanette a trovare le vecchie ossa di Ursule rannicchiate vicino al focolare, con i capelli sciolti sul viso. 

foto presa dal web

Louisa Morgan è lo pseudonimo della pluripremiata autrice americana Louise Marley. Ha all’attivo oltre venti romanzi che spaziano in diversi generi. Vive negli Stati Uniti, nella regione del Pacifico nordoccidentale. Per saperne di più: www.louisemarley.com

Author: Jenny Citino
Jenny Citino è la responsabile editoriale della rivista on-line "Librichepassione.it" Amante della lettura sin da bambina, alterna questa sua passione con la musica classica, il giardinaggio e la pratica dello Yoga. Ha conseguito il corso di formazione "lettura e benessere personale come rimedio dell'anima"