Le grandi condottiere che hanno cambiato la storia
Da Atena a Giovanna d’Arco, dalle aviatrici della seconda guerra mondiale alle combattenti dei giorni nostri
Da Giulio Cesare a Napoleone Bonaparte, sono molti i nomi di grandi condottieri e guerrieri conosciuti praticamente da tutti.
È grazie a personalità del genere, celebrate dalla storiografia, che tendiamo ad associare l’arte della guerra e le gesta militari alla sfera prettamente maschile; eppure, per quanto spesso poco conosciute, altrettante sono le donne che hanno saputo ritagliarsi il proprio posto nella storia con la forza delle armi.
In questo affascinante libro, Matteo Liberti porta alla ribalta le figure femminili che nel corso dei secoli si sono distinte per le proprie doti militari, sia come strateghe sia, soprattutto, come combattenti. Dalle figure mitologiche alle sovrane antiche fino alle donne guerriere dei periodi più recenti, il lettore scoprirà storie eroiche e sorprendenti, capaci di mettere in ombra le tanto decantate controparti maschili.
Dalla dea Atena alle Valchirie, dalla regina Boudicca alle sorelle Trung, da Giovanna d’Arco ad Anita Garibaldi, dalle spietate brigantesse alle letali aviatrici della seconda guerra mondiale: un viaggio appassionante alla scoperta delle più grandi guerriere della Storia.
Abili strateghe ed eroiche combattenti che hanno attraversato la storia e sono entrate nella leggenda
Semiramide
Zenobia
Matilde di Canossa
Giovanna d’Arco
Caterina Sforza
Inés Suárez
Molly Pitcher
Théroigne de Méricourt
Francesca Scanagatta
Louise Michel
Le amazzoni del Dahomey
Le brigantesse
Soldaderas
Le partigiane
L’unità di protezione delle donne
Semplicemente, a Patrizia, Chicca, Ginevra,
Marta, Alhena, Anita e Lunafutura
INTRODUZIONE: UNA STORIA DA “COMPLETARE”
Fin dall’alba dei tempi la storia umana, accanto alle imprese dei grandi condottieri i cui nomi sono noti a tutti, ha registrato le gesta di un grande numero di combattenti donne, pronte a imbracciare le armi e a gettarsi nella mischia per difendere la propria terra, la propria gente, la propria famiglia o sé stesse. Oppure per vendicare un torto subito o, ancora, per mutare in meglio la società (assai raramente, invece, per puro desiderio di conquista o per smania di potere). Le donne impegnate nei campi di battaglia hanno peraltro dovuto affrontare, in moltissimi casi, un duplice nemico: quello rappresentato dagli eserciti avversari e quello celato nelle convenzioni sociali, che le avrebbero volute indaffarate solo nelle faccende domestiche, non certo negli affari pubblici, tanto più se riguardanti l’ambito bellico… Non a caso, molte delle combattenti di cui si parla nel libro, per poter partecipare alla guerra, furono costrette a indossare abiti maschili, fingendosi uomini. Altre, all’opposto, ostentarono con orgoglio la propria femminilità, al fine di dare uno smacco ancora più netto alla controparte maschile, e altre ancora fecero entrambe le cose, rivelando solo al momento opportuno la propria identità. In tutti i casi, le gesta di tali donne non furono meno degne di quelle dei più celebri eroi appartenenti al cosiddetto “sesso dominante”, solo che i cronisti hanno preferito, quasi sempre, soffermarsi sulle imprese maschili; soprattutto quando le guerriere chiamate in causa hanno inflitto sonore sconfitte all’altro sesso.
Con rare eccezioni, questa latente misoginia storiografica ha contrassegnato tutta la nostra storia almeno fino al XX secolo, quando nuovi filoni di ricerca hanno iniziato a riconsegnare alle donne combattenti d’ogni epoca i loro giusti meriti e la dignità del racconto delle loro storie, mentre in parallelo la società civile cominciava a ovviare alle secolari sperequazioni che riguardavano il mondo femminile in termini di diritti.
La riscoperta del ruolo femminile nella società, scenari di guerra inclusi, si è ulteriormente rafforzata nel corso del terzo millennio, anche grazie a una nuova serie d’istanze inerenti alla parità di genere, e in tale rinnovato scenario il presente volume si prefigge di dar voce a una serie di donne guerriere di cui si è spesso parlato in modo limitato o inadatto (andando magari in cerca di aneddoti pruriginosi o sensazionalistici, a scapito di una lucida analisi delle loro vicende), nella convinzione, da parte di chi scrive, che la grande Storia, per come la conosciamo, presenti ancora diverse parti da “completare”.
Spaziando da figure mitologiche come la dea della guerra Atena, le Amazzoni e le Valchirie, fino ad arrivare a guerriere in carne e ossa come Boudicca, Caterina Sforza, Giovanna d’Arco e Anita Garibaldi (solo per citare alcuni dei nomi più celebri), le vicende umane risultano d’altronde piene zeppe di figure belliche femminili, anche se molte sono appunto ignote al grande pubblico. Alzi per esempio la mano chi conosce le mirabolanti gesta delle sorelle Trung, eroine nazionali del Vietnam, o di Tomoe Gozen, guerriera del Sol Levante che brillò tra i samurai, o di Théroigne de Méricourt, “amazzone” della rivoluzione francese, o ancora di Nadežda Andreevna Durova, cavallerizza russa che sfidò Napoleone, di Antonia Masanello, patriota che si batté assieme ai Mille di Garibaldi, di Lozen, temeraria apache che perseguitò i “visi pallidi”, delle Streghe della notte, aviatrici sovietiche incubo dei nazisti, o, per restare al terzo millennio, di Viyan e delle altre eroine curde schierate in difesa della loro terra? Probabilmente, tutti questi nomi e scenari, così come molti altri non citati in questa breve carrellata, evocheranno a molti poco o nulla, ma non perché le storie che celano siano di poco interesse, bensì perché la storiografia non le ha riportate, se non marginalmente.
Quella che segue è dunque il racconto, caso per caso, delle vicende delle più intrepide combattenti della Storia: donne nel cui curriculum risalta in modo marcato l’essere state capaci di condurre e muovere gli eserciti al pari (e a volte meglio) dei condottieri uomini. In altre parole, partendo dal mito e risalendo le epoche fino a oggi, sono state esaminate molteplici figure femminili affermatesi non agendo dietro a qualche grande uomo, come suggerirebbe un proverbio ormai stantio e fuori luogo, ma stando semmai davanti; per di più sui campi di battaglia, terreno da sempre molto caro alla parte maschile della società. Lungo il percorso, oltre ai vari aneddoti militari, non mancheranno inoltre più ampi riferimenti di ambito socioculturale: molte di queste donne hanno infatti segnato l’immaginario collettivo quali simbolo di riscatto femminile, ispirando in epoche recenti numerosi romanzi, film e fumetti (si pensi, per fare un esempio “pop”, alla figura di Wonder Woman).
Per concludere, o meglio per iniziare, l’intento del libro è, nel suo piccolo, quello di offrire un po’ di materiale utile al completamento di quelle parti della Storia, belliche e non solo, in cui il ruolo delle donne è stato tanto roboante quanto trascurato. Parola di uomo.
Matteo Liberti
I. GUERRIERE DEL MITO
ATENA
La dea della guerra
Per dare il via a una storia dedicata alle donne guerriere di tutti i tempi non si può non partire da Atena, colei che, secondo la mitologia greca, della guerra fu non solo una protagonista (indossando per esempio l’armatura per difendere l’Olimpo dall’attacco dei temibili “giganti”), ma addirittura una divinità, tanto che, a ben vedere, si potrebbe iniziare da lei anche se il lavoro in oggetto fosse dedicato agli uomini.
Tale dea guerriera, figlia di Zeus e di Meti (o Metide)1, era peraltro associata non solo agli eventi bellici, ma anche alle arti e al concetto di sapienza, ritrovandosi perciò in una posizione centralissima nel cosmo culturale di matrice greca. Non a caso, proprio a costei, inserita dalla tradizione nel novero delle dodici divinità principali del mito2, era dedicato il tempio tuttora più iconico dell’antica Grecia, il Partenone, al cui interno svettava una mastodontica statua alta oltre dieci metri, che la ritraeva a figura intera e che è nota come Atena Parthènos, “Atena vergine”.
Una “vergine guerriera”: questo era dunque, nell’immaginario greco, il simbolo per eccellenza del mondo bellico, ma non dei suoi aspetti più turpi e violenti (rappresentati invece dal dio Ares), bensì di quelli strategici, dove a essere necessario, prima ancora della forza, era l’intelletto. Proprio a tale sfumatura concettuale è legata la fortuna della principale città greca, Atene, ubicata nella regione storica dell’Attica e sviluppatasi già a partire dal II millennio a.C., che dalla stessa Atena prende di fatto il nome.
In breve, il mito racconta che, al momento dell’implementazione dell’embrionale nucleo cittadino di Atene (il cui cuore era nell’odierna acropoli), la dea si confrontò con il dio del mare Poseidone, onde stabilire a chi spettasse la protezione della città e il diritto di attribuirle il proprio nome. I due, di fronte alle genti locali, incaricate di giudicarli (con quello stesso spirito democratico che segnerà poi la politica ateniese, pur con forti limitazioni per le donne), si sfidarono a colpi di gesti simbolici e promesse. Nel dettaglio, secondo una delle molteplici versioni del mito, per ingraziarsi il popolo, Poseidone gli donò un cavallo, simbolo di vigore e di coraggio, promettendo inoltre il suo appoggio in guerra. Atena, invece, batté il suolo con la sua lancia e ne fece germogliare una pianticella dalle foglie d’argento con piccole bacche scure. Era l’ulivo, pianta più nobile tra quelle che crescono sulle sponde del Mediterraneo, dai cui frutti era possibile ricavare il preziosissimo olio. Con questo dono, promise inoltre saggezza e pace, ed ebbe infine la meglio.
In altre parole, la dea della guerra vinse la contesa senza incitare alla guerra, mostrandosi così coerente con quel concetto di “sapienza” che la connota. Atena rappresenta infatti, innanzitutto, la luce dell’intelligenza, il cui compito è guidare gli esseri umani sia in battaglia sia nella vita di tutti i giorni (in proposito si usa anche parlare di Athena Poliàs, con riferimento al termine polis, indicante la città-stato dell’antica Grecia). E quando la guerra chiamava, costei, a differenza del citato Ares, non ispirava nei comandanti degli eserciti azioni brutali, bensì brillanti stratagemmi, come avrebbe fatto, secondo i racconti omerici, con diversi illustri eroi, tra i quali Achille e Ulisse, impegnati nella guerra di Troia (nella quale la dea parteggiò per gli achei, opposti ai troiani).
Pur amante della pace, laddove fosse necessario, Atena non ci pensava comunque troppo a scendere personalmente sul campo di battaglia (anticipando, nel mito, quel che accadrà a moltissime donne in carne e ossa), come fece quando un gruppo di giganti – figure mitologiche connotate da un’enorme altezza – volle sfidare gli dèi dell’Olimpo. In questo caso, all’Athena Poliàs “subentrò”, se così si può dire, la Pallas, o “Pallade”, com’è anche chiamata la divinità in oggetto, usando un’espressione derivata dal greco e traducibile come “brandire”, “scagliare”, con riferimento alla lancia usualmente impugnata dalla dea (esistono tuttavia molte altre interpretazioni per tale epiteto, la cui vera origine rimane incerta).
Ebbene, allorché i giganti presero di mira l’Olimpo, Atena, a differenza di altre divinità, prese dal panico, non esitò a scagliarsi contro di loro con tutta la propria forza. Il tema della gigantomachia, o “guerra dei giganti”, sarà poi rievocato in vari ambiti artistici, dai fregi dei grandi monumenti sacri alle decorazioni del vasellame, così come sarà di frequente immortalata la figura di Pallade Atena, ritratta con in mano l’inseparabile lancia da diversi pittori, anche in epoca moderna (si pensi, tra le tante opere, al celebre dipinto Pallade Atena realizzato nel 1898 dall’austriaco Gustav Klimt).
A ben vedere, la stessa, mitologica nascita di Atena cela in sé la sua doppia anima di guerriera e di pensatrice, di abile stratega e di amante delle arti e del ragionamento intellettuale (anche al di fuori del puro ambito bellico). Al riguardo, si narra che Zeus, di fronte alla gravidanza di sua moglie Meti (figlia di Oceano, dio delle acque), decise di fagocitarla, dando credito a una profezia secondo cui i figli avuti con lei lo avrebbero un giorno superato in potenza. A ogni modo, la gravidanza di Meti proseguì all’interno dello stesso Zeus, il quale cominciò per conseguenza a soffrire di una terribile emicrania. Non potendone più, chiese a Efesto, dio del fuoco e della metallurgia, di aprirgli la testa con un’ascia. Così fu, e a quel punto, mentre l’emicrania scemava, dal cranio della massima divinità dell’Olimpo spuntò fuori proprio Atena, già adulta, vestita da guerriera e armata di tutto punto (pure in questo caso esistono comunque delle narrazioni vagamente dissimili della vicenda). La dea della guerra, dunque, venne al mondo uscendo fuori da un cervello, evento che non poteva non garantirle una notevole sapienza, spesso più utile in battaglia rispetto alla forza bruta.
Tra le diverse cause belliche abbracciate da Atena, oltre a quella degli achei nella guerra di Troia, è da segnalare quella degli Argonauti, il gruppo di valorosi combattenti che, sotto la guida dell’eroe Giasone e a bordo della nave Argo, si mise in cerca del vello d’oro, mitologico oggetto in grado di lenire qualsiasi tipo di ferita. Tra l’altro a tale spedizione, destinata al successo, insieme ai tanti eroi uomini partecipò in prima persona anche Atalanta, mitologica eroina nota per l’abilità nella caccia e per la straordinaria velocità. E a proposito di altri esseri femminili, c’è da rimarcare come Atena, nel rapportarsi a loro, non sempre diede il meglio di sé, avendo anche lei, come ogni divinità dell’Olimpo, uno smisurato ego con cui fare i conti. È esemplare, in tal senso, l’episodio che la vide entrare in polemica con la giovane Medusa, ragazza dallo splendido volto, che si sarebbe vantata di essere più bella di lei. Per punizione, costei fu trasformata da Atena in un mostro, con serpi al posto dei capelli e occhi in grado di pietrificare chiunque li avesse incrociati. Un aneddoto simile riguarda inoltre un’audace fanciulla di nome Aracne, che eccelleva come Atena nell’arte della tessitura e che arrivò a dichiararsi più brava della dea. Sfidata a duello, allorché si mostrò in effetti più abile di Atena, la figlia di Zeus senza star troppo a riflettere – così come avrebbe richiesto il suo status di promotrice della saggezza – si scagliò contro l’opera della rivale, riducendola in pezzi, e tramutò poi la stessa Aracne in un ragno, onde castigarla per la sua arroganza.
Passando dagli insetti ai volatili, è interessante notare come uno dei simboli di Atena, assieme alla lancia e allo scudo (o “egida”, indistruttibile protezione realizzata con pelle di capra), sia costituito dalla civetta, un rapace notturno dalle grandi abilità predatorie accanto al quale la dea viene spesso raffigurata e che allude, a sua volta, al concetto di saggezza. Da ciò deriva un ennesimo appellativo della dea: “Atena Glaucopide” (o Glaukopis), dove il secondo termine è traducibile con “sguardo scintillante”, in riferimento agli occhi del suddetto uccello (il vocabolo glaukopis include d’altronde la medesima radice presente nella parola glaux, indicante proprio la civetta).
Il volatile notturno tanto caro ad Atena, detto anche “civetta di Minerva” in omaggio alla versione romana della dea della guerra, divenne presto una sorta di “logo”, tanto da essere inserito su alcune monete ateniesi battute nel V secolo a.C. (i tetradrammi), tornando a campeggiarvi ai giorni nostri: l’animale in questione, il cui nome scientifico è Athene noctua, appare infatti oggi sulla moneta da un euro greca. Oltre a ciò, molti guerrieri ateniesi sfoggiarono sui propri scudi l’immagine della civetta (o in alternativa del gufo, rapace appartenente alla stessa famiglia), proprio per creare una connessione diretta con Atena, ossia con la divinità che meglio di tutte – Ares incluso – li avrebbe potuti assistere in battaglia.
Un’ultima curiosità: per quanto bellissima, fascinosa e assai corteggiata, Atena non cedette mai alle lusinghe dell’amore e del sesso, mantenendosi vergine. In tale peculiarità non è difficile intravedere una certa ombra “maschilista”, tipica della cultura greca in cui sorsero certi miti, come se in fondo una donna in grado di competere su ogni fronte con gli uomini non potesse farlo anche nel talamo senza perdere la propria onorabilità. Ma vi è anche altro. Come ogni episodio che compone l’antico mito di Atena (un mito a cui, è bene sottolinearlo, si è qui fatto cenno soltanto in piccolissima parte, funzionale all’argomento specifico del volume), anche la questione della sua verginità rivestirebbe un carattere allegorico, divenendo il simbolo dell’inespugnabilità di Atene, la sua città.
La mitica vicenda di Atena, figura che nel mondo romano fu appunto traslata in quella di Minerva, non si esaurì peraltro nei tempi antichi, continuando a stimolare nel corso dei secoli – soprattutto dopo i fasti rinascimentali – sia gli studiosi sia gli artisti. Nel Novecento, le molte sfaccettature del personaggio hanno inoltre contribuito alla nascita di numerose interpretazioni psicanalitiche del suo mito, nel frattempo rilanciato anche in ambito letterario, cinematografico e fumettistico.
Alla base delle varie narrazioni vi è sempre lo stesso concetto, ossia che, in pace come in guerra, la sola forza non basta mai. Ed è proprio questo, in fondo, l’insegnamento principale lasciato da Atena, che si ritroverà poi nelle storie di molte delle donne guerriere che, dentro e fuori dal mito, verranno dopo di lei.
AMAZZONI
Pentesilea e le altre guerriere che turbarono il sonno ai greci
«Guida squadre d’amazzoni, dai brevi scudi lunati, / Pentesilea feroce e in mezzo a migliaia infuria, / […] amante di guerre e vergine ardisce scontrarsi con uomini». Così scrisse Virgilio (I secolo a.C.) in un famoso passo dell’Eneide (I, 490-493), narrando le imprese delle amazzoni nella guerra di Troia e citando in particolare il nome di Pentesilea, loro regina che supportò i troiani contro i greci sfidandone l’eroe più valoroso, Achille, che ebbe infine la meglio. L’esatto esito finale dello scontro muta tuttavia a seconda delle varie versioni del mito, in una delle quali si narra che Achille, mentre Pentesilea era ormai morente, osservandola, se ne innamorò perdutamente. A immortalare i due mitici duellanti fu tra gli altri il celebre ceramista ateniese Exekias (v secolo a.C.), ritraendoli su una celebre anfora a figure nere nella quale si vede Achille, ritto in piedi, che sta per infliggere il colpo mortale a Pentesilea, inerme in ginocchio.
Il famoso guerriero acheo non fu l’unico protagonista della mitologia a doversi confrontare con una valorosa amazzone: tale esperienza capitò infatti a vari altri eroi e persino a un semidio, Eracle. Ma come e perché si formò il mito delle amazzoni, indomabili guerriere la cui società era interamente a gestione femminile? E quali sono i maggiori rilievi archeologici a supporto della loro leggenda, la cui eco è tuttora vivissima (tanto da stimolare molte ricerche sul tema oltre a ricostruzioni letterarie, cinematografiche e fumettistiche)? Per scoprirlo, è utile ripartire dalle coste del Mar Nero, dove, in base alle fonti antiche, avrebbe avuto origine la società delle amazzoni. Proprio qui, sono state in effetti rinvenute delle evidenze archeologiche connesse a figure di donne combattenti, appartenenti, molto probabilmente, a tribù nomadi provenienti dalle steppe eurasiatiche che nel corso del tempo, amalgamandosi al popolo iranico dei sarmati, si andarono dislocando lungo le coste del Mar Nero;
Matteo Liberti nato a Roma nel 1977, si è laureato in Storia Contemporanea alla Sapienza Università di Roma e ha poi conseguito un master in Storia e Storiografia multimediale. Giornalista e divulgatore storico, dirige il periodico mensile «InStoria – rivista online di storia e informazione», da lui stesso fondato nel 2005. Dal 2008 collabora con il magazine «Focus Storia» e con altre testate del mondo Focus. Per la Newton Compton ha pubblicato Storia segreta dei pirati e Donne guerriere.